NOTO
NOTO Debutta domani sera al Maggio Musicale Fiorentino «L'ape iblea», l'opera di Perniisi su testi di Consolo ispirati al dramma della città siciliana NOTO per la cattedrale EFIRENZE OME suona una cupola che si squarcia e precipita? Con un accordo fortissimo che si inarca e si pietrifica, fermo nel tempo infinito di una pausa che giunge dopo il dolore. Poi, l'ape schiantata dal crollo, con un nuovo soffio di vita riprende a frullare il suo ronzio, un lungo suono sussurrato, ancora vivo. Fuggirà per sempre dalla città morta come Sarajevo, o resterà tra le pietre color del miele? C'è una lama di speranza in più nella pagina di Francesco Pennisi, il compositore siciliano che ha vestito di musica e canto L'ape iblea, l'elegia di Vincenzo Consolo dedicata a Noto. Una partitura figlia del miglior talento del suo autore: mobile, ansiosa, elegante, addensata di rabbie improvvise, sfuggente in una filigrana di colori preziosi, di suoni che ondeggiano all'orizzonte del tempo. La Sicilia della memoria e del presente, il richiamo di una melodia che Pennisi ha ritrovato sfogliando il gran libro di Alberto Favara, l'etnomusicologo che raccolse i canti arcaici della sua terra. E' attraversata, la musica, da un filo che si dipana instancabile, tessuto, perso e ripreso dall'arpa e dal pianoforte, immagine sonora del volo. Un filo di vita, non quello delle Parche. «Conoscevo i libri di Consolo, ma non avevamo mai lavorato insieme», racconta Pennisi. «Quando la Rai e l'Orchestra della Toscana mi proposero questo progetto, pensai a lui». Ma l'idea di un'opera per Noto ancora non c'era: «E' venuta da sola. In treno verso Milano, andando al nostro primo appuntamento, sfogliavo i giornali che quel giorno commentavano l'anniversario del crollo: nel torpore di un dormiveglia da treno sembrava inevitabile ricordare, rivedere quanto mi era apparso avvicinandomi anni prima a quella città-teatro». Sollecitata da un testo fertile di accenti, richiami, assonanze, impennate ritmiche, questa musica è teatro: labirinto di vie e prospettive quale era la città barocca, apparizioni di immagini lontane - la Sicilia «biblica e coranica» - evocate in primo piano nella litania di nomi greci e fenici, bizantini e spagnoli. Secoli che non hanno tempo, l'ieri che esiste nell'oggi, in un album di famiglia che racchiude civiltà, dominazioni, dolori, rinascite, 1'«antico scuotimento» che tutto ha inghiottito e l'onda della «cara memoria», quando il canto si distende in un gesto di abbandonata sensualità «Non ho pensato ad altro che ad una voce femminile», dice Pennisi. Sarà il soprano Susan na Rigacci, interprete tra le più sensibili della musica nuova. Esiste, oggi, una scuola siciliana del comporre? Pennisi e Girolamo Arrigo, poi Salvatore Sciarrino, i più giovani Marco Betta, Giovanni Sollima, il misterioso, silente e furente Incardona, lontani nello stile, ma attratti tutti dal fiume di orgogliose memorie della propria terra, che vortica sotto le note della loro musica. L'ape iblea di Consolo-Pennisi debutta domani sera al Teatro Verdi di Firenze. Dirige Alessandro Pinzauti, voci recitanti sono Marco Brancato e Alessia Patregnani. L'opera rientra in un progetto di RaiRadio Tre e Orchestra della Toscana, che sta diventando un punto di riferimento per la creatività contemporanea: quattro compositori (Vacchi, Pennisi, Lombardi e Corghi) incontrano altrettanti scrittori (Scabia, Consolo, Sanguineti, Saramago) e insieme costruiscono nuovi lavori, che avranno sia una rappresentazione dal vivo, sia una realizzazione speciale per la radio, curata in collaborazione con il centro di ricerca Tempo Reale di Firenze. Sandro Cappelletto LABIRINTO E CROLLO Da «L'ape iblea» pubblichiamo il brano finale «Labirinto e crollo» M'aggiro in una Sarajevo di lenta erosione, sordo scuotimento, rottura d'equilibri, immane sfaldamento, foresta di puntelli. Antigone furiosa, urlo, impreco, per il ludibrio osceno. Chiusa nel mio nero, sola sulla scalea, piango per l'oltraggio, l'ingiustizia, l'empietà d'un Creonte dissennato. E subito il boato, 10 schianto spaventoso, 11 crollo della cupola materna, La polvere imbianca il cuore della notte, il mio mantello, asciuga in gola urlo, gemito. Il nome tuo NO T0 s'è spezzato. L'ape, crisalide trafitta, pupilla vuota, ombra. Vincenzo Consolo liii V. « i % i tr * Nella composizione riecheggiano il presente, la memoria e i canti arcaici, di un 'isola ^ attraversata nei secoli da mille civiltà
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