Il gran ritorno di Bertoldo di Filippo Ceccarelli

Il gran ritorno di Bertoldo Il Ccd elegge presidente Fontana, ex corsivista con pseudonimo Il gran ritorno di Bertoldo DROMA UNQUE, Bertoldo è vivo, e lotta insieme a loro. Nel senso che i consiglieri nazionali del Ccd l'hanno eletto presidente del partito. «Per acclamazione - fa notare con rassegnata benevolenza il suddetto Bertoldo, e cioè Sandro Fontana, che usò a lungo quello pseudonimo per firmare i suoi commenti sul Popolo -. Oramai si fa tutto per acclamazione, non è più come ai tempi nostri che ti dovevi strappare voto dopo voto...». E' stato pure acclamato, se è per questo, al posto di Mastella. «Ruolo di garanzia, compito defilato - continua a sminuirsi Fontana - insomma, dò una mano». Ancorché presidenziale, in effetti, con dozzine di partiti e partitini in giro, e sei-sette ex democristiani, per giunta, la nomination di Bertoldo fa inesorabilmente parte della piccola cronaca che pure vorrebbe essere un modo elegante per dire che lascia il tempo che trova. Ciò nonostante, Fontana resta un personaggio. Intercambiabile, se si vuole, all'interno della diaspora, essendo al tempo stesso storico e politico, giornalista e testimone privilegiato dell'autunno democristiano. E' stato infatti senatore, vicesegretario ai tempi di De Mita, deputato europeo ed erede di Carlo Donat-Cattin, per quanto costretto a dividere l'eredità con il segretario del Ppi, e cioè con Franco Marini: «Ma lui - taglia corto - è arrivato all'ultimo momento». Vecchie ruggini forzanoviste, evidentemente - le stesse che più o meno nello stesso periodo spinsero il direttore del Popolo verso un tiepido forlanismo. Nel frattempo, Fontana ha scritto diversi libri anche interessanti sul movimento cattolico, s'è occupato di Europa e al momento del big bang democristiano ha optato per il Ccd: «Un piccolo partito che ha fatto la scelta giusta del bipolarismo, senza lasciarsi tentare dalle derive trasformistiche». E qui ce l'ha con gli scissionisti di Mastella, pronti a fungere da «ruota di scorta» dell'Ulivo. Piccolezze post-Dc. Ancora più misere se paragonate all'unica ragione che fa di Fontana un personaggio, se non mdimenticabile, almeno indimenticato della stagione del Caf, di cui fu paladino, surclassando in fantasia addirittura Intuii. I tempi di Segni, dei graffi contro i «salotti», delle picconate di Cossiga («Angoscia tremenda - ricorda oggi Bertoldo - non potevo né solidarizzare, né prendere le distanze»), delle disfide quasi scelbiane contro gli intellettuali (una, profetica, riguardò Ceronetti, Raboni e Vertone, che giustamente avevano intravisto la morte della De), contro Santoro, Curzi e Taleka- E così si torna a quel suo pseudonimo di arguto villano cinquecentesco, a quei corsivi che Michele Serra definì «camionette della Celere». Articoli senz'altro menacciuti, eppure colti; virulenti per quanto forbiti; fin troppo prodighi di automatismi, con impressionante ricorrenza di richiami a Stalin e alle Br, e però anche capaci di esprimere l'orgoglio De. Per il glorioso quotidiano De furono gli ultimi sprazzi. «Lo dirige Bertoldo - titolò l'Europeo - lo ispira Forlani, non lo legge nessuno». In realtà ci campavano giornalisti e politici. Alcuni dei quali si aspettavano che da un momento all'altro, inebriato dalle sue stesse randellate, Fontana cambiasse pseudonimo per assumere quello del protagonista di un terribile fattaccio di cronaca: «il canaio». Un «canaro» più elegante e più colto, certo, ma altrettanto spietato con i nemici della De. Invece, nel 1993, Bertoldo divenne ministro. E come il protagonista della favola cinquescentesca di Giulio Cesare Croce, anche lui promosso regio consigliere a corte, soffrì moltissimo per non poter più mangiare rape e fagioli. Filippo Ceccarelli bui.

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