Prima l'arringa di Tonino poi l'affondo dei gestori di Ugo Bertone

Prima l'arringa di Tonino poi l'affondo dei gestori LA MARATONA TRA AZIONISTI E POLITICI Prima l'arringa di Tonino poi l'affondo dei gestori u i * -y% PTORINO IACCIA o non piaccia, sono qui. Non per fare lo sfascista, ma per dar voce alla maggioranza silenziosa e silenziata». Alle due del pomeriggio l'onorevole Antonio Di Pietro, si sfila, per un attimo, l'abito referendario per indossarne uno nuovo: il campione del «popolo dei piccoli azionisti». L'elenco degli iscritti a parlare lo colloca al numero trenta della giornata ma il parlamentare azionista accetta «l'accortezza» (o cortesia, in dipietrese stretto) del socio Vittorio Medioli, rappresentante di 125 piccoli risparmiatori, che gli cede volentieri il posto. Venti minuti o poco meno dura l'arringa del socio Di Pietro: qualche applauso, soprattutto quando invoca informazioni su «consulenze e stipendi degli amministratori», qualche scivolone, come quando ammonisce Rossignolo a «non mettere i buoi davanti al carro, pardon i carri davanti ai buoi» a proposito delle trattative con Unisource. Ce n'è, comunque, abbastanza per far di lui uno dei protagonisti di questa giornata campale per la finanza italiana tra capannelli di dipendenti, sigle più o meno note di associazioni di risparmiatori, sindacati e politici. C'era un po' di tutto, insomma, nel «popolo del risparmio» accorso al Lingotto. C'erano pure, meno pittoreschi ma più temuti, i veri signori del risparmio, ovvero i gestori dei fondi. E il vero affondo l'hanno condotto loro. Massimo Fortuzzi, quarant'anni appena compiuti, gestore di «Finanza e Futuro» (Deutsche Bank), rovina la giornata di Rossignolo quando annuncia l'astensione sul bilancio. «Manterremo il nostro investimento - precisa - ma vi chiediamo di procedere speditamente alla presentazione del piano industriale». Più o meno lo stesso discorso lo fanno Fabio Galia (Sogersel) e Gabriella Agliata (Arca); l'unico a favore è Giordano Lombardo di C re digest (in consiglio Telecom, tra l'altro, c'è Alessandro Profumo) mentre Massimo Ferrari (Romagest) si astiene e rincara la dose: la quota detenuta dai fondi «è vicina a quella controllata dal nucleo stabile...». Ma tutto questo capita dopo che il senatore Di Pietro si è dichiarato paladino del «popolo degli azionisti» di cui «piaccia o non piaccia» fa parte pure lui. «Sia ben chiaro - tuona dal palco - non ho nulla contro gli amministratori o contro i grandi azionisti...». «Ma voglio sapere se intendete consentire - continua - e come e quando all'ingresso dei rappresentanti dei piccoli azionisti nel consiglio. E se intendete sensibilizzare le istituzioni competenti, affinché il residuo pacchetto di azioni Telecom in mano al Tesoro sia messo sul mercato o dato a disposizione dei dipendenti e non del nucleo stabile». E' uomo da sciabola e non da fioretto, l'ex magistrato. Rivendica l'ingresso dei piccoli azionisti nel consiglio; annuncia, con enfasi, la confederazione di tante sigle di associazioni di piccoli risparmiatori (tra cui spunta anche la sua «Italia democratica») per «contare di più»; avverte di «non voler combattere nessuno e di non voler prevaricare nessuno» ma evoca la necessità di «maggior trasparenza per evitare che accada quel che è già successo in Enimont». Sa di interpretare l'umore del milione e mezzo di soci quando incalza Rossignolo dicendo che «tutti noi vorremmo leggere un bilancio non solo bello da vedere, ma che si capisca davvero, e magari poter conoscere anche i vostri stipendi...». Oppure quando insiste per un allegato che faccia chiarezza sui compensi per le consulenze o sulle commesse a società legate, in varia maniera, ai grandi azionisti. E non manca, cosa che non guasta, un tocco giallo: perché, si chiede Di Pietro, la riforma Draghi avrà attuazione solo dal 1° luglio prossimo? Con la nuova legge i piccoli azionisti avrebbero potuto organizzare per davvero la raccolta dei voti dei risparmiatori. E invece, oggi vale il tetto delle 200 deleghe ciascuno... «Ma non sottovalutateci - chiude non metteremo i bastoni tra le ruote, ma staremo molto attenti». L'assolo dell'ex pm cade in una sala provata dalla maratona inaugurale di Rossignolo e rassegnata ad una passerella oratoria imponente, dato che gli iscritti a parlare sono una cinquantina, alla faccia di un cartello (autore il sindacato) che all'ingresso accoglie i soci: «E' penoso - si legge -1'85% degli azionisti ha perso la voce...». Sarà, ma non sembra: c'è chi si lamenta, come Gianfranco Dellalba (una lunga militanza radicale e non violenta alle spalle) «perché gli ordini di battaglia alle truppe di Milosevic nel Kosovo passeranno tramite la nostra consociata Serbia Telekom»; con sobrietà Raffaele Costa rivendica il ruolo di Torino, sempre meno coinvolta nelle grandi scelte operative del colosso telefonico, «ormai romanizzato» e Ilario Floresta, Forza Italia, chiede «l'inserimento di altre realtà finanziarie nel nocciolo duro». Sembra di stare in Parlamento, più che a un'assemblea sociale. Poi prende la parola Fortuzzi. E Rossignolo perde il sorriso. E non sa che, proprio in quel momento, sul Tg 3, il direttore dell'Ansa Giulio Anselmi si sta augurando che Telecom possa uscire da «quel grigio in cui si trova...». Ugo Bertone Di Pietro incalza «I piccoli in consiglio Attenti a non finire come l'Enimont» Il senatore Antonio Di Pietro con un gruppo di azionisti nei piazzali del Lingotto a raccogliere firme e chiedere a Rossignolo una presenza dei piccoli in consiglio A fianco un banchetto del sindacato

Luoghi citati: Italia, Kosovo, Serbia, Torino