More, intollerante con humour di Masolino D'amico

More, intollerante con humour Londra, una biografìa best seller ne rivede la figura: ma per qualcuno è ancora troppo indulgente More, intollerante con humour Vittima di Enrico Vili, cacciatore di eretici SA qualche settimana una nuova biografia di Tommaso Moro è fra i libri più venduti in Inghilterra, cosa forse sorprendente per uno studio erudito, senza concessioni al romanzesco e con citazioni in inglese arcaico, saporito ma ostico a molti; ma il nome dell'autore, Peter Ackroyd, brillante poligrafo specializzato in rivisitazioni di grandi figure di intellettuali del passato è una garanzia, senza contare il fascino sempre esercitato dalla figura dell'incrollabile oppositore di Enrico Vili, rilanciato negli Anni 60 dalla commedia e dal film Un uomo per tutte le stagioni. L'attributo, in origine affibbiato al Moro dal suo grande amico Erasmo da Rotterdam - uomo «omnium horarum» - alludeva in origine alla pohedricità dell'illustre giurista, latinista, grecista, diplomatico, oratore, polemista, nonché attore dilettante. Alla luce degli studi recenti come questo di Ackroyd, e come il precedente, documentatissimo Thomas More dell'americano Richard Marius (1983), sembra però meno lecito allargarlo fino a fare dell'autore di Utopia un uomo aperto verso il futuro. Già Marius, che è fra i curatori della monumentale edizione Yale delle opere del Moro, 16 volumi fra il 1963 e il 1990, sottolineò fino a che punto il pur brillantissimo e apparentemente spregiudicato consigliere del sovrano fu un esponente del passato, soprattutto nel suo inflessibile opporsi a ogni fermento di rinnovamento nella Chiesa: avversario della Bibbia in inglese tradotta da William Tyndale, scese in campo a confutare Lutero con una sequela interminabile di libelli spesso pieni di invettive scatologiche non meno violente di quelle dell'ex monaco tedesco, e in seguito diventò cacciatore di eretici, bravo a incastrarli negli interrogatori e spietato nelle punizioni: ne mandò sul rogo almeno sei. Oggi si tende dunque a ridimensionare il More iUuminato per mettere l'accento sull'intollerante oscurantista: sulla London Review ofBooks James Wood accusa Ackroyd di avere ancora una volta edulcorato il personaggio a fini di propaganda cattolica. E l'Utopia? L'elegante trattatello in latino nacque come gioco erudito, quasi una risposta all'Elogio della follia («Elogium moriae», non senza alludere al cognome del Moro) che Erasmo aveva scritto mentre era suo ospite. Chi prende sul serio il suo apparente proporre come ideale una società dove la proprietà è in comune, dove esiste il divorzio, ecc., trascura il fatto che tali usanze sono attribuite a un popolo ignaro del messaggio cristiano e del peccato originale; in realtà l'Utopia è un gioco intellettuale paradossale, uno stimolo alla discussione nella tradizione dei dibattiti delle scuole forensi. Tuttavia almeno due elementi continuano a rendere Sir Thomas More assai attraente. Il primo, che lo rese popolarissimo in vita e leggendario dopo la morte, è il suo umorismo schiettamente londinese, vivo in infiniti episodi e battute, non importa in quale misura apocrifi, culminanti nella celebre marcia verso il supplizio, quando a una donna nella folla che gli rinfacciava una antica sentenza a suo sfavore rispose calmo «Ricordo benissimo il tuo caso, la ripeterei», o quando alla guardia che lo aiutava a salire i gradini del patibolo disse, «Grazie, poi a scendere ci penso da solo». Il secondo elemento è la fermezza con cui rifiutò di rinnegare la sua coscienza. Quando Enrico Vin si arrogò le prerogative papa¬ li allo scopo di divorziare dalla moglie Caterina d'Aragona per sposare Anna Bolena, il Moro si dimise dalla carica di Lord Cancelliere, e tacque. Lì per lì fu lasciato in pace, ma in seguito il sovrano perfezionò l'emancipazione da Roma e cominciò a chiudere i monasteri che non accettavano la sua autorità; e il Parlamento promulgò un atto che dichiarava traditore chi non giurasse di aderire a questi provvedimenti del re. Fu questo atto che il Moro non volle sottoscrivere, anche durante i quindici mesi in cui fu incarcerato nella Torre. Qui bisogna ricordare il suo passato di attore. Da giovane era stato sul punto di farsi monaco, poi aveva scelto una carriera secolare, ma per tutta la vita aveva continuato a tenere sotto controllo le proprie brame carnali: portava il cilicio e spesso si fustigava in segreto. Dopo avere incoraggiato il giovane re a contrastare con forza la nascente eresia luterana, aveva continuato lui la battaglia pur non essendo teologo, buttandoci dentro tutta la sua cavillosa perizia di avvocato. Era nato e vissuto nel rispetto dell'autorità e della tradizione, venerando suo padre, il suo re e la Chiesa di Roma; morto il primo, persi gli altri due, si organizzò un'uscita di impeccabile dignità. Il processo impressiona per la coerenza del suo atteggiamento e la confusione degli avversari; come un giocatore di scacchi, il Moro aspettò di avere la certezza della condanna prima di esporre chiaramente, per la prima e unica volta, quello che pensava del contegno del re, al quale era stato fino a quel momento formalmente e impeccabilmente fedele. Il prezzo che accettò di pagare per questa dichiarazione era alto. Il condannato per tradimento veniva infatti trascinato al supplizio legato per i polsi a una tavola, poi impiccato fino a quando perdeva i sensi, quindi fatto rinvenire, evirato e il pene gli veniva messo in bocca, quindi veniva sventrato e le sue budella erano messe in un calderone d'acqua bollente, infine il boia gli sfilava destramente il cuore dal petto e glielo faceva vedere; la testa era quindi spiccata dal busto, bollita ed esposta pubblicamente. All'ultimo momento Enrico Vili mutò la pena in una semplice decapitazione. Posando la testa sul ceppo, il Moro disse al boia di stare attento, perché aveva il collo corto; gli disse anche di risparmiargli la barba, diventata molto lunga durante la prigionia, perché lei non era rea di tradimento. Masolino d'Amico Citazioni in inglese arcaico per l'eroe rilanciato negli Anni 60 da commedie e film Il re d'Inghilterra Enrico Vili fece decapitare Tommaso Moro Tommaso Moro Sopra, Erasmo da Rotterdam, grande amico dell'autore di «Utopia»

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