Libertà per Silvia Baraldini. Nati a Zara, in Italia

Libertà per Silvia Baraldini. Nati a Zara, in Italia lettere AL GIORNALE Libertà per Silvia Baraldini. Nati a Zara, in Italia Falcone dimostrò la sua innocenza Il quotidiano La Stampa sempre attento alla sofferenza di Silvia Baraldini in data 9 giugno ci informa che l'avvocato di Silvia, Elisabeth Fink, invita l'Italia a: «mostrare i muscoli con Clinton... e a far valere la propria dignità nazionale nei confronti degli Usa». Il 20 settembre 1993 con molta umiltà scrissi una lettera all'uomo più potente della terra nella persona di Bill Clinton. Il mio scritto, terminava con una citazione del grande Thomas Jefferson: «the care of human life and happiness, ant not their destruction, is the first and only legitimate object of good Governament». (Tratta da: An Intimate History - Rantam book). Come sempre succede in questi casi. Non ebbi mai una risposta. La vicenda di Silvia mi riporta a quella bellissima Statua della Libertà nel ben mezzo dell'Hudson River che innalzando la sua fiaccola al cielo simboleggia il sogno di milioni di uomini. Ma Silvia è ancora lì nel carcere di Dunbury nel Connecticut, condannata a 43 anni in condizioni precarie di salute, con il suo bagaglio intellettuale che ogni giorno muore un po' di più. Questa nostra Italia, con la liberazione di Silvia, potrebbe acquisire sempre più il suo ruolo di prestigio nella lotta per la dignità dell'uomo non solo a Bruxelles ma anche in ambito Onu per il rispetto per i diritti umani. E pensare che nel settembre del 1992 il compianto Giudice: Giovanni Falcone era riuscito a dimostrare al Presidente Bush tutta l'innocenza di Silvia Baraldini; provando ch'ella non aveva mai commesso reati di sangue e di altro genere sostenuti dall'accusa. In quel durissimo periodo di carcere la nostra Silvia si trovava nella prigione di Shawnee Unit in Florida. Oggi più che mai sono fermamente convinto che tutti gli italiani, che credono nell'ideale e in quei valori che Giovanni Falcone ci ha tramandato, vorranno lanciare una corale nota di biasimo e indignazione verso quella statua nel bel mezzo dell'Hudson River gridando ancora una volta, a squarciagola: «Freedom for Silvia». Fulvio La Cognata, Genova Ma per la burocrazia siamo jugoslavi o croati Sono una cittadina italiana nata a Pola nel 1931. Nel lontano 1947, insieme a 350.000 italiani provenienti da Pola, Fiume, Zara, l'Istria e la Dalmazia, ho lasciato le nostre terre per rimanere italiana. Il distacco non è stato indolore, ma abbiamo cercato comunque di ricostruirci una vita considerandoci sempre cittadini italiani. Purtroppo non è così per tutti, soprattutto per la burocrazia, infatti, in molti ospedali e cliniche, al momento della registrazione dei dati, alla voce stato di nascita, viene scritto Jugoslavia, Croazia o Slovenia, anche dai dati immessi nei computer, il che è un falso, prima di tutto storico, in quanto la terra della nostra nascita era italiana. Per questo si ha una legge ben precisa, uscita il 15 febbraio 1989 n° 54, che tutela in parte il nostro status, in quanto prevede che non si faccia, nel nostro caso, menzione alla nazione di attuale appartenenza del paese di origine, né alla nazione cui questo paese apparteneva. Non sarà la soluzione migliore ma perlomeno non obbliga a dichiarazioni menzognere. Il ministero competente o la direzione Istat dovrebbe inserire la voce: ex province italiane di Pola, Fiume o Zara. Penso che anche noi, che paghiamo le tasse regolarmente da 50 anni e più, abbiamo diritto di essere considerati italiani come siamo dalla nascita. Nives Penco Devescovi Torino Un giudizio scientifico su Mani pulite Con un articolo molto efficace Alberto Papuzzi ha presentato sulla Stampa del 9 giugno le tesi conte- nute in Italian Guillotine, il libro del politologo americano Stanton H. Bumett e di Luca Mantovani, or ora edito negli Usa, libro cui corrisponde la tesi del sociologo inglese David Nelken, esposta nel capitolo su Tangentopoli del nuovo volume degli Annali Einaudi (Legge Diritto e Giustizia, a cura di Luciano Violante). Tale tesi ricalca esattamente quella esposta e sviluppata nel mio libro Golpe all'italiana, ed. Napoleone e prefazione di Francesco De Martino, pubblicato nel marzo '96 e già prima distribuito da me stesso in un centinaio di copie della prima stesura nel '94'95, quale strumento di analisi e di iniziativa per la classe politica e culturale che poteva in allora giocare un ruolo attivo nella confusa e tumultuosa vicenda politica in corso. La tesi (Mani pulite è stata non un'operazione di pulizia morale ma piuttosto di polizia politica, nel senso del «primo colpo di Stato in stile post-moderno, portato a termine da un piccolo gruppo di magistrati, quasi certamente appoggiati da alcuni leaders politici e da potentati economici con la complicità degli organi di stampa da quest'ultimi posseduti»), scandalosa allora per l'Italia tutta immersa nella mitologia (e nella frenesia) rivoluzionaria di Tangentopoli e Mani pulite (tanto che nessun editore la voleva pubblicare), è più facilmente abbordabile fuori d'Italia. E così è stato. Mi farebbe piacere si ricordasse questo precedente italiano rispetto ai lavori degli autori stranieri. Il cuore del dibattito politico italiano, dalla opportunità o meno delle riforme istituzionali, fino al loro contenuto; alle alleanze elettorali; alla politica economica da scegliersi ora dal governo in questa fase assolutamente nuova della vicenda italiana, dipende ancora sempre dal giudizio scientifico-politico che si deve dare di Tangentopoli e di Mani pulite. Filippo Fiandrotti, Torino CI e l'opera di Giovanni Testori Vi chiedo qualche riga di ospitalità per una doverosa precisazione in merito a un articolo di Pierluigi Battista su Giovanni Testori, pubblicato su Lo Stampa del 13 giugno («Testori, non resta che la lite»). Quella di una presunta dimenticanza della figura di Testori da parte del cosiddetto «establishment» di Comunione e Liberazione è una stranissima e malevola interpretazione, perché prescinde dalla realtà dei fatti. Eccone alcuni: 1 ) Il citato libro La maestà della vita e altri scritti (a cura di Giuseppe Frangi e Davide Rondoni), che raccoglie gli articoli di Testori sul Corriere della Sera e su II Sabato e II senso della nascita (colloquio di Testori con don Giussani del 1980, già pubblicato da Rizzoli), uscirà tra pochi giorni nella collana Bur Rizzoli «I libri dello spirito cristiano», diretta da don Giussani. 2) Sul numero di marzo di Tracce, il mensile di Ci, Giuseppe Frangi ha curato un lungo ricordo di Testori, dal titolo «La carne della misericordia», a cinque anni dalla morte. Sul numero di giugno di Tracce, appena uscito, c'è un articolo di Frangi sulla tre giorni testoriana di Milano e una pagina di pubblicità de La maestà della vita. 3) E' risaputo che il Meeting di Rimini è da sempre un luogo privilegiato per incontrare e conoscere l'opera di Testori, «complici» figure come Franco Branciaroli, Emanuele Banterle, Luca Doninelli, il Teatro degli Incamminati e il Teatro dell'Arca, che ne hanno messo in scena le opere teatrali sfidando l'impopolarità fino alla censura da parte della mentalità dominante. Per tutto questo non siamo certamente noi i destinatari dei pur giusti strali di Antonio Socci, citato nell'articolo della Stampa, contro l'indifferenza «di un establishment cattolico che ha sempre avversato "individualità senza mandato" come Testori» (Panorama, n. 19; p. 18). Alberto Savorana, Milano Ufficio stampa di Comunione e Liberazione Al Campiello Jacqueline Risset Per un disguido, nel mio articolo sul Campiello è uscito l'altro ieri un nome sbagliato: Bisset anziché Risset. Benché incolpevole, mi scuso con la bravissima studiosa Jacqueline Risset e con i lettori. Claudio Altarocca