LICEO GIOBERTI

LICEO GIOBERTI pmpagni LICEO GIOBERTI Ritrovarsi cinquantanni dopo «sarà come morire di giovinezza a cura di Renato Scagliola SONO trascorsi cinquant'anni dal luglio 1948, quando al Liceo Classico Gioberti gli studenti della III C (nella foto), si accingevano ad affrontare la maturità. Gli allievi della sezione staccata, denominata «la colonia», avevano frequentato il primo anno nell'austero edificio dell'Istituto Figlie dei Militari situato nell'omonima via, mentre la Villa della Regina era stata danneggiata dai bombardamenti. Era l'inverno 1945-46, e nelle aule le stufe erano accese e alimentate in collaborazione con bidelli e alunni, i quali dovevano comunque infilare i guanti per sfogliare i libri. Il prof. Barale di latino e greco, cercava di zittire l'effervescente classe, immersa nel fumo della stufa scrivendo sulla lavagna «sigare xeres», (tacete asini, in greco). Il prof. Droetto di filosofia era tanto impegnato a svolgere il programma, quanto a trattare gli interventi e le diatiibe degli studenti. Gli studenti della «colonia» furono poi ospitati nel collegio San Giuseppe, e, dopo il lungo peregrinare, erano approdati alla sede del Gioberti di via Sant'Ottavio. Il liceo vantava eccellenti professori, dei quali non pochi sarebbero poi stati docenti all'Università; le fanciulle erano invaglùte dalla distinzione di alcuni di loro, ed i ragazzi erano ammaliati dall'elegante incedere e dai lunghi capelli della giovanissima insegnante di storia dell'arte Teresa Grimaldi, oggi presidente nazionale della Dante Alighieri. La bravissima prof. Ravera, di storia, stimolava allo studio e allo spirito critico... Il prof. Bazzano, di italiano, invitava alla sintesi, ma assegnava temi dal dovizioso enunciato, e interrogava puntigliosamente sugli autori minori. Era il dopoguerra: sulle teste di quei ragaz- zi era passato un conflitto tremendo ma essi erano convinti di poter contribuire alla ricostruzione, ultimo ideale dopo la libertà conquistata a caro prezzo. Da bambini avevamo studiato a memoria il primo e il secondo Libro del Fascista, inneggiando al re e al duce; da liceali avevamo discusso con i docenti le ultime dottrine politiche ed appreso gli articoli della Costituzione Repubblicana. Frequentavamo la Biblioteca Nazionale e la saletta de «La Bussola», ove esponevano pittori come Spazzapan e Menzio. Si impegnavano in «studi leggiadri», e «sudate carte», ma erano «contenti di quel vago avvenir che in mente avevano», come recita il canto di Leopardi. Stringevamo bellissime amicizie, alcune delle quali, aiutate dalle passeggiate sotto i portici, erano destinate a perpetuarsi per comunanza di ideali, interessi affetto. La Chiesa dell'Annunziata era un passaggio obbligato, entravamo da via Po ed uscivamo in via Sant'Ottavio, dopo aver recitato una preghiera per il compito in classe o per un'interrogazione. Qualche docente e qualche discente si ritroverà nel contesto di quel periodo, pertanto sarebbe emozionante celebrare il cinquantenario di quel «tempo delle mele», velato negli anni da ansie e delusioni... Giovanna Moioli una delle classe, scriveva in una poesia nel 1947: «E ritrovare negli occhi le speranze sofferte, sarà come morire di giovinezza, in canizie consumata». Giovani di allora, telefonate a questi numeri: Luigina Ciotti, la scrivente: 011/65.83.11. Nicoletta Spallitta, 011/319.12.68. Giovanna Enriore, farmacista: 011/48.94.02. Sarà simpatico organizzare insieme un incontro nella sessione estiva o in quella autunnale.