Il cinema di Robert Bresson
Il cinema di Robert Bresson Il cinema di Robert Bresson Bf difficile pensare a un ' regista capace di variare i suoi modelli letterari in misura maggiore di quanto abbia fatto Robert Bresson, uno dei nomi più interessanti della storia del cinema: le sue fonti variano da Bernanos (da cui ha tratto «Il diario di un curato di campagna» e «Mouchette»), a Diderot (a un suo testo si è ispirato per «Les dames du Bois du Boulogne», uscito da noi con l'ingiustificabile titolo «Perfidia») per giungere sino a Dostoevskij, cui si deve lo spunto per il meraviglioso «Le quattro notti di un sognatore» che è ispirato a «Le notti bianche», portato pochi anni prima sullo schermo in modo veramente diverso da Visconti. A questa evidente poliedricità culturale fa riscontro uno stile che si mantiene invece uguale nel corso di una lunga carriera nella quale sarebbe veramente difficile poter individuare una caduta o anche solo un momento di debolezza: il rigore di Robert Bresson, la sua spiritualità, il rifiuto assoluto di cedere a qualsiasi tentazione commerciale o di mercato lo hanno reso veramente unico e indispensabile. Anche le sue dichiarazioni sul cinema sono ispirate a una grande semplicità unita a un immenso rigore: «Il cinema non è mai uno spettacolo bensì una scrittura, e ogni film è di fatto un cammino verso l'ignoto». Di conseguenza, la sua scrittura è sempre semplice ma al tempo stesso sofferta, evidente prova del travaglio da cui partorisce ogni suo film: l'introspezione interiore viene considerata da Bresson la ricerca della vera natura dell'uomo e delle cose proprio perché si sottrae alla tirannia della storia, ai condizionamenti esterni; e una riprova di questa lettura è fornita dallo straordinario «Lancillotto e Ginevra», che non concede nessuno spazio alla retorica cavalleresca per tracciare invece il profilo di due persone martiri della propria coerenza irriducibile alle convenzioni sociali. Il cinema di Robert Bresson è stato definito «l'apogeo dell'estremismo morale» ed è in questa chiave che va collocata la scelta da parte di Marco Bellocchio (neodirettore di Adriatico Cinema) di dedicargli una personale completa nel corso del suo festival: personale che viene replicata a Torino dal Museo del Cinema dal 12 al 27 giugno al Massimo Due. Come un fiume che in superficie è piano e lineare mentre in profondità è attraversato dalle correnti più forti e impetuose, il cinema di Robert Bresson potrà essere ammirato nella sua completezza; e si noterà che, pur comprendendo un arco di tempo di quarant'anni, è difficile collocare temporalmente i suoi lavori, sempre legati più da giochi di sguardi che da dialoghi, più da sensazioni interiori che da indicazioni testuali. Sulla superiorità delle immagini nei confronti della sceneggiatura, Bresson è un autore da considerarsi veramente teorico: consigliamo di osservare come ha adattato «La mite» di Dostoevskij nel 1969 per il film «Così bella così dolce», storia in flashback del suicidio della moglie di un usuraio in cui nessun personaggio esibisce un nome di battesimo, in cui i colori (è il primo film di Bresson non girato in bianco e nero) sono volutamente sottotono «per non distrarre l'occhio dello spettatore», e in cui si potrà scorgere nel volto della quindicenne Dominique Sanda una profondità intensa da mozzare il fiato. Vedere i film di Bresson, in epoca di premi per la sceneggiatura e di effetti speciali dominanti, può veramente essere considerata una sorta di igiene dello spirito. Stefano Della Casa Il cinema di Robert Bresson Una scena delfilm «Un condonine àmorts'est échappè»
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