I paradossi

I paradossi I paradossi Come il cubo di Necker ALLA fine della Poetica, Aristotele ripete due volte che «una convincente impossibilità è preferibile ad una non convincente possibilità». Alcune delle opere più famose di Escher sono perfette illustrazioni di questo motto, oltre che di alcuni ben noti paradossi percettivi, basati sul contrasto tra la percezione e l'interpretazione di dati sensoriali, e sul condizionamento fisiologico e culturale che spinge a considerare figure bidimensionali come rappresentazioni di oggetti tridimensionali. Belvedere è ispirato a due paradossi, che sono anche esplicitamente raffigurati nell'opera. Il primo è il cubo di Necker, che si ottiene disegnando un cubo in prospettiva, con tutti i lati in evidenza: così facendo si crea un'ambiguità su quale delle facce sia davanti e quale dietro, e due possibili cubi si alternano nella percezione. Il secondo paradosso è il cubo impossibile, in cui l'ambiguità viene risolta fondendo le due possibilità, e creando così un cubo localmente corretto, ma globalmente impossibile. Anche Convesso e concavo illustra due paradossi. Il primo, detto dei cubi reversibili, era già noto ai romani, che l'hanno usato in vari mosaici, ed è stato sfruttato in modo sistematico da Victor Vasarely, Ja cui opera Escher però disprezzava: tre rombi adiacenti sono visti come le facce di un cubo, ma possono essere interpretati sia come facce esterne che come facce interne. Inoltre, se ci sono più di tre rombi, quelli non estremi possono appartenere a più di un cubo, facendo apparire l'immagine ora convessa e ora concava. Il secondo paradosso, detto scala di Schròder, consiste nel disegnare una scala in maniera ambigua, in modo che possa sembrare sia ascendente a partire dal pavimento, che discendente a partire dal soffitto. Ossia, in modo che sembri possibile percorrerla stando sia sopra i gradini, che sotto di essi. In Cascata si ha un uso spettacolare del triangolo impossibile, con tre angoli retti. Esso appare tre volte consecutive nella rappresentazione di un canale, che sembra localmente in piano, ma è globalmente in salita. Escher crea così l'impressione doppiamente paradossale, da un punto di vista fisico, di un moto perpetuo generato dall'acqua che scorre all'insù. In Salire e scendere Escher rappresenta infine la scala di Penrose, in cui un moto perpetuo è generato in modo opposto a quello di Cascata: non. mediante un percorso in salita che dovrebbe essere in piano, ma da un percorso in piano che dovrebbe essere in salita. Che la scala sia in piano lo si intuisce tenendo l'immagine non perpendicolarmente al campo visivo, come normalmente la si osserva, ma (quasi) parallelamente ad esso. Paradosso a parte. Escher vide qui una metafora dell'assurdità della vita, non solo del «come è duro calle lo scendere e '1 salir per l'altrui scale», ma anche di quanto tale affanno sia inutile, e non porti in realtà da nessuna parte. In conclusione, possiamo dividere i sei paradossi percettivi usati da Escher nella sua opera in due classi. Tre di essi, e cioè il cubo di Necker, i cubi reversibili e la scala di Schròder, sono semplicemente figure ambigue, che rappresentano più oggetti allo stesso tempo, sui quali la percesione oscilla. I rimanenti tre, e cioè il cubo impossibile, il triangolo impossibile e la scala di Penrose, sono invece figure assurde, che rappresentano un solo oggetto ben definito. L'assurdità delle figure del secondo gruppo è però di un tipo molto particolare: essa risiede soltanto nella loro interpretazione, e non nel fatto che esse siano rappresentazioni di perce¬ zioni impossibili. Tre sbarre due a due perpendicolari (ovviamente formanti non un triangolo chiuso, ma una figura aperta) possono infatti sembrare un triangolo impossibile, se osservate da un particolare punto di vista. Analogamente, un modello di cubo con due lati discontinui può sembrare un cubo impossibile, se osservato da un particolare punto di vista, perché le discontinuità permettono di vedere lati che stanno in realtà sul retro. I paradossi delle figure assurde sono dunque in realtà di natura logica, e non fisica. Il tipico esempio di paradosso logico è quello del mentitore, una versione del quale è il seguente giochetto: «La frase successiva è vera. La frase precedente è falsa». Il fatto che essa sia in realtà l'accostamento inconsistente di due frasi separatamente consistenti, ricorda ovviamente le realizzazioni di Belvedere e La cascata. Ma questo doppio gioco paradossale è forse illustrato nel modo più diretto ed efficace in Mani che disegnano, la famosa litografia in cui una mano disegna l'altra. In quanto immagine del processo di riflessione di Escher sull'attività del disegnatore, essa è forse anche il simbolo più indo vinato di tutto il suo originale lavoro. Piergiorgio Odif reddi Università di Torino Figura ambigua con alterne percezioni

Persone citate: Penrose, Piergiorgio Odif, Victor Vasarely

Luoghi citati: Torino