Ferenczi, un pioniere

Ferenczi, un pioniere Ferenczi, un pioniere Rivalutato lo psicanalista ungherese QUESTA che raccontiamo è la storia della censura di un pensiero e di un pensatore, Sàndor Ferenczi ( 1873-1933), tra i più liberi e originali della psicoanalisi. Si assiste da tempo a un recupero del suo pensiero, come testimonia in Italia il lavoro di Glauco Cartoni, già presidente della Società psicoanalitica italiana, e Franco Borgogno, di recente tornati da Madrid, dove si è svolto un congresso internazionale sulla figura e la vita di Sàndor Ferenczi. Ferenczi era un medico ungherese tra i più stimati collaboratori di Freud da cui ebbe il coraggio di dissentire quando affermò per primo che il modello degli istinti su sui si basava la psicoanalisi non era sufficiente a spiegare il funzionamento della mente e l'insorgere della patologia psichica. Mostrò l'importanza dell'ambiente affettivo e dello scambio emotivo delle prime relazioni nel bambino e nella relazione terapeutica. Denunciò come l'uso rigido e impersonale delle regole analitiche fosse traumatico e nascesse dal bisogno dello psicanalista di difendersi dalla sofferenza dei pazienti. Mise in luce l'importanza del tatto e dell'empatia, stru¬ menti indispensabili del lavoro analitico senza i quali qualunque intervento dell'analista è inefficace. Elaborò inoltre un'originale teoria del trauma secondo cui chi denuncia di aver subito un abuso sessuale sia fisico, sia emotivo, non sta fantasticando - come voleva la cultura dominante, anche quella psicoanalitica - ma segnala elementi della propria esperienza reale che la relazione con l'analista può e deve rendere pensabili. A cinquant'anni dalla pubblicazione in inglese del suo saggio più conosciuto e controverso, «Confusione delle lingue tra adulti e bambini», scopriamo la validità delle sue idee, che utilizziamo spesso senza saperlo e che furono al tempo aspramente criticate, con l'accusa di essere deliranti, Nella sua visione il trauma psichico è frutto di ima «confusione di linguaggio» tra la richiesta di tenerezza espressa dal bambino e l'inadeguata risposta dell'adulto che reagisce sul registro della passione genitale. Una confusione che lascia il bambino stordito, insicuro di ciò che ha percepito e in preda a sentimenti di colpa non suoi, senza alcuna possibilità di dare un significato all'accaduto, perché l'adulto per primo lo misconosce e lo nega. E' proprio questo misconoscimento - dirà Ferenczi - ad essere traumatico. Freud, e in particolar modo Melarne Klein, invece ritenevano che in gioco vi fossero le fantasie inconscie originate nel bambino sotto la pressione delle sue pulsioni e che la realtà esterna, anche la più violenta, non avesse altro effetto se non quello di mitigarne l'impatto. Per il prevalere in psicoanalisi di questo modello teorico, le opere di Ferenczi vennero messe al bando: oggi che sono rilette ci accorgiamo di come molti autori abbiano attinto da lui senza riconoscerlo. Ferenczi fu il pioniere sul versante della tecnica psicoanalitica, quanto Freud lo fu della teoria, concependo la relazione analitica come una specie di laboratorio nel quale poter compiere le osservazioni cliniche su cui poi strutturare la teoria. La sua «tecnica attiva» consisteva non nell'intervenire in modo direttivo sul paziente, ma nel provocare con il suo atteggiamento cambiamenti del clima emotivo per affrontare patologie gravissime (che oggi siamo soliti nidi- care come psicotiche, narcisistiche e borderline) e per superare quei momenti di stallo che accadono comunque in ogni analisi. Per questo Ferenczi raccomandava l'elasticità della tecnica psicoanalitica, da non intendersi certo come licenza, ma come modulazione degli atteggiamenti dell' analista ai bisogni emergenti dei pazienti. Mentre Freud fondava un modello di relazione fondamentalmente paterno, Ferenczi aprì gli orizzonti verso la relazione con la madre, dando ascolto al bambino che è in ogni adulto e promuovendo inoltre la nascita della psicoanalisi dei bambini. Ferenczi e la scuola di Budapest, se non fossero stati misconosciuti, avrebbero potuto dotare la psicanalisi, fin dall'inizio, di una teoria e di una tecnica più attente ai fatti reali, alle concrete condizioni ambientali e alla qualità emotiva e affettiva delle prime relazioni che il bambino instaura con il mondo che lo circonda quali elementi fondanti la personalità e determinanti in larga misura la felicità o l'infelicità degli individui. La storia di qu:-sti ultimi vent'anni di terapia psicoanalitica ha dato ragione a Séndor Ferenczi quan¬ do ha capito che per affrontare la cura dei pazienti severamente deprivati occorre va saper modificare l'assetto teorico e clinico del lavoro analitico. Accordando la propria tecnica alle esigenze del paziente, senza pretendere che egli si adattasse alle regole della teoria, Ferenczi focalizzò la sua attenzione al come si sviluppa la relazione, a cosa viene rievocato e soprattutto rivissuto nell'analisi I suoi concetti sono facilmente accessibili, capiamo bene cosa egli voglia intendere quando parla di trauma psichico, terrorismo emotivo, introiezione dell'aggressore, negazione degli aspetti più autentici della soggettività di un bambino, scissione della personalità e frattura nella continuità dell'esperienza del Sé. Nonostante ciò, per aver sostenuto con fermézza l'ipotesi del trauma reale nell'insorgere della patologia psichica, egli perse i contatti con la maggior parte degli analisti, alcuni colleghi liquidarono addirittura il suo pensiero e tut¬ ta la sua opera come frutto di una mente malata per l'anemia perniciosa che lo colpì nel 1932. Possiamo oggi sentirci debitori nei confronti di Ferenczi per aver egli saputo offrire alla psicoanabsi del '900 pensieri e intuizioni significativi, originariamente dedicati allo studio e alla cura dei suoi pazienti più compromessi; pensieri orientati, in seguito, a quanti volevano condividere idealmente le sue preoccupazioni e il suo desiderio di vedere al più presto realizzata una psicoanalisi della vita emotiva. Una psicoanalisi attenta all'influenza dei fattori sociali e alla qualità delle cure e dei valori che come adulti abbiamo responsabilmente il compito di trasmettere ai nostri bambini e alle persone vicine. Giuliana Sechi Università dì Torino

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