OCCHIO DI GENIO
OCCHIO DI GENIO OCCHIO DI GENIO Leonardo in una entusiasmante biografia di Vecce: «visionario e libertario» neWarte e nella tecnica IOGRAFIA esemplare, questa di Carlo Vecce, che entusiasma uno dei massimi esperti di studi vinciani, Carlo Pedretti, e mobilita il lettore non troppo viziato dall'aura leonardesca. A tu per tu con uno dei personaggi più trascinanti nella fantasia d'ogni epoca, Vecce procede umilmente, a lume di scienza (e di «sperienzia», aggiungerebbe Leonardo, in polemica con i ((trombetti dell'altrui parola»). Filologo rigoroso (si veda l'analisi dei manoscritti: dal codice Atlantico al codice Arundel, al codice Hammer nella collezione Bill Gates) e insieme affabile distillatore di un enorme patrimonio bibliografico, gli basta ordinare pietra su pietra, con spirito «primitivo», la vita e le opere del Maestro, perché la strumentazione scientifica si modelli in «racconto» e acquisti una sua speditezza. Già la nascita del «bastardo» nel microcosmo di Vinci (15 aprile, sabato, «a ore 3 di notte»: una rara certificazione anagrafica dovuta alla penna del nonno Antonio) alla penna del nonno Antonio) solleva temi non marginali per lo sviluppo del pubere, se Leonardo isolerà, tra i ricordi dell'infanzia, il sogno insistito del nibbio che infila e agita la coda nella sua bocca, e se Freud legherà quel ricordo alla madre naturale che allatta e tradurrà il dato simbolico in indizio di omosessualità passiva. E sempre nelle «ricordazioni» dell'infanzia, si inseriscono le turbolenze atmosferiche osservate dalla collina: fulmini e trombe d'aria che si scaricavano nella valle dell'Arno. Un motivo di attrazione e sbigottimento che ritroviamo nel Leonardo dall'età matura: a Civitavecchia, a Piombino, nei disegni e negli scritti che indugiano su inondazioni disastrose, su vortici ciclonici, su diluvi correlati ora alla Genesi ora al giudizio apocalittico. Particolare attenzione dedica Vecce al primato della pittura nella gerarchia delle arti stabilita da Leonardo: l'occhio che supera le proprietà dell'orecchio e subordina a sé la stessa espressione poetica. Ovvero il trionfo dell'immagine e l'implicito passaggio di consegne dalla cultura umanistica alla civiltà moderna. Nel contempo, per una delle plurime contraddizioni dell'artista-filosofo, respinge l'accusa di essere «omo sanza lettere» e attinge indirettamente, avidamente, ai classici greci e latini, agli archetipi retorici sublimati dai dottissimi trascrittori quattrocenteschi. E ancora: l'impiego maniacale della scrittura - motti favole apologhi facezie proverbi appunti di idraulica, di urbanistica - fin sui margini del foglio; nonché l'invenzione del formato tascabile per i brogliacci che lo accompagnano nei sopralluoghi, nei viaggi a Firenze, a Milano, a Roma, in Francia, a ridosso delle committenze, nella pignolesca registrazione delle spese quotidiane, nell'indice degli impegni da onorare, nei rigurgiti passionali suscitati dall'angelico e tirannico partner, Giangiacomo Caprotti, detto Salai. Nella ricostruzione storica delle opere maggiori spicca il conflitto teologico che insidia la prima Vergine delle Rocce. Insidia, si vuol dire, la fedeltà iconografica al dogma dell'Immacolata Concezione. A Milano, nell'aprile 1483, i fratelli de Predis affidano a Leonardo l'esecuzione del dipinto col quale s'intendeva sancire la vittoria degli «immacolisti» (francescani e carmelitani, appoggiati da Sisto IV) contro gli irriducibili (domenicani, in specie) persuasi di dover combattere un'ennesima eresia. In quel clima di vacillanti poteri celesti e verità esibite, Leonardo si svincola dallo schema figurativo programmato, «alza il pennello sulla tavola di legno» e interpreta a suo modo la sacra vicenda, e cioè: in luogo della tradizionale Vergine col Bambino e gloria di angeli e profeti, l'incontro nel deserto di Cristo infante e San Giovannino. Fra le mille diavolerie tecnologiche che gli procurano fama di visionario, il vagabondaggio intellettuale di Leonardo compren¬ de anche una meditata fuga in Oriente. Da Venezia, nel luglio 1503, indirizza una lettera al sultano Baiazeth proponendogli una pompa pneumatica capace di prosciugare la cala delle imbarcazioni, spettacolari mulini a vento e, meraviglia delle meraviglie, un ponte a unica campata di 660 metri sul Bosforo che congiungerà Oriente e Occidente. Figurarsi lo stupore, l'incredulità del sultano che teme di dialogare con un matto, e la conseguente delusione dell'«infedele» che si era rassegnato a dichiararsi «servitore» e «schiavo», in obbedienza alle formule di rito. Né sembra marginale il capitoletto «Medici, diete, confraternite» relativo al periodo 15131519, alla vigilia della partenza per Clos-Lucé, a Cloux, la tranquilla dimora assicuratagli dal grande estimatore Francesco I. Humor e senso tragico della fine si contendono gli ultimi sussulti dell'artista. Gli acciacchi cominciano a turbarlo e lo costringono a consultare speziali e luminari, traendone la convinzione che se è doveroso «conservare la sanità», ciò sarà tanto più perseguibile «quanto più da' fisici ti guarderai». Prevedendo - con scarso successo divinatorio - una lunga vecchiaia a Roma, gravata dalla sohtudine, l'8 ottobre 1515 si iscrive alla confraternita di San Giovanni dei Fiorentini, una delle confraternite delegate alla «buona Morte». La quale, per nulla frettolosa, gli concede un congruo supplemento di vitalità creativa, un grato soggiorno in Francia, la profonda amicizia del Re e il piacere di reinventare l'antica, memorabile Festa del Paradiso nella Milano sforzesca. Evento che si svolge di notte, all'aperto, simulando la volta stellata. «Un'aerea nnpalcatura lignea eretta nel giardino di Cloux era stata coperta di panni color celeste con le stelle d'oro per i pianeti, il Sole, la Luna e i 12 segni zodiacali...». Altrettanto ricco di spunti scenografici è il testamento dettato con infinita cura il 3 aprile 1519, riservandosi il ruolo di ghiotto regista nelle sequenze del proprio funerale. «Un atto degno di ser Ciappelletto» annota Vecce. E comunque: estrema bizzarria di un laico libertario che nel congedarsi dal mondo indossa i panni del devoto e raccomanda l'anima a Dio. Giuseppe Cassieri La Gioconda
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