D'Annunzio seduttore sedotto

D'Annunzio seduttore sedotto la memoria. La passione contrastata per una nobildonna rivelata da un intenso carteggio D'Annunzio seduttore sedotto lo colpì: era colta, audace e disinibita s TRIESTE EDOTTO. Nonostante il nome, Gabriele d'Annunzio, e la fama di inimitabile seduttore. Co¬ stretto a inseguire, corteggiare, e alla fine a chiedere esplicitamente una notte «senza limite alcuno». Lui è il Vate, com'è a 65 anni, un po' stanco ma ancora alla ricerca di emozioni nuove. Lei è una triestina, Luciana Paolini, poco più che trentenne, colta, audace, disinibita. Sposata e già separata dal marito nobile dal quale eredita titolo e cognome. Valmarin, modificato per vezzo in un più mitteleuropeo Walm arin. E' un po' signora, un po' avventuriera, agli occhi di Gabriele donna con «viso e voce della Duse». E' l'autunno del 1927. Tra i due si consuma mia storia, più d'eros che d'amore, della quale resta traccia in un breve ma intenso carteggio pubblicato da Rosellina Archili t,o nel volume, a cura di Caterina Fapalia e Marcello Minasi, intitolato La macchina rossa. «Piace supporre - suggerisce Attilio Mazza nella prefazione che il primo incontro con la dama triestina, ritrovata a Gardone all'inizio dell'ultimo decennio di vita, sia avvenuto in altre epoche nel salotto letterario esoterico che la poetessa Nella Doria Cambon teneva a Trieste per il bel mondo cittadino e oltre». E' in questa occasione che D'Annunzio nota l'avvenenza della giovane. E il suo rango. «E' una contessa e questo mi salva dalle bottegaie» - confida alla fedele entremetteuse e confidente Aelis Mazoyer. «Il viso è senza colore e con gli occhi tanto cupi che possono essere violetti o persi o lionati o azzurri all'estremo dell'oscurità e dell'ignoto». Così la vede il Vate che ad Aelis non tace nulla: «L'ho esplorata ha un corpo affascinante, il monte di Venere molto alto, cosa assai rara. Peccato non abbia un viso più perverso». Prima di arrivare alla pelle tra d'Annunzio e la Valmarin si infittisce un dialogo di carta e parole scritte. Alla contessa, che soggiorna nelle stanze del Grand Hotel di Gardone Riviera, indirizza mazzi di violette, biglietti e ostinati inviti. Sarà però un'infermiera, una «complice» forse di Aelis a mettere in contatto i due, la stessa che accudisce il poeta e che soccorrerà la Vabnarin infortunatasi scivolando per le scale del Grand Hotel. «Basterà telefonare perché io mandi la macchina rossa - scrive D'Annunzio -. Spero che mi porterete luce d'occhi o d'anima per rischiarare il mio buio». La macchina è la Fiat 4 decapottabile di colore bordeaux e nero ancora oggi parcheggiata all'ingresso del Vittoriale. Lei però rifiuta. Con sdegno. «Il Vittoriale non avrà le consuete scaltrezze - scrive ma forse per la vostra notte troverete ben altro "filtro" mentre per me la "notte senza limiti" offenderebbe la purezza del sentimento. E così il dilemma è sciolto. Addio». E' il 20 gennaio 1928. La storia sembra essersi conclusa. D'Annunzio però replica con sapiente durezza. «Mi avete offeso, disconosciuto, rinnegato. Perché? Un giorno, stasera, domani, fra un anno, avrete dalla vostra anima il comandamento di venire a me di giustificarvi. In quell'ora sarete la mia ospite inviolabile». La Valmarin capitola a questo punto. «Poiché v'ho ritrovato - gli scrive - come da anni vi amo, non tra un anno, ma domani sera salirò da voi con rin- novellata fede. Se vi piace inviatemi la macchina rossa domani alle 19». La macchina giunge puntuale e la passione divampa per cinque giorni. D'Annunzio accoglie la Valmarin nelle stanze segrete e proibite, e nelle riunioni riservate a pochi eletti. La fa anche posare nuda per farsi ispirare «qualche inimitabile pagina». Pagina che non venendo, fatalmente, alla luce, vista l'ira del Vate, suggerisce alla Valmarin di rivestirsi in fretta e dileguarsi. Infranta la «perico¬ losa solitudine» del Vate, prima dell'ormai imminente congedo, alla contessa viene donata una sola lunga e preziosa lettera d'amore. «Luciana, amica dolciamara, sorella inconoscibile, - le scrive - è avvenuto quel che io pensavo non potesse avvenire più mai. E' riapparso, all'improvviso, il volto dell'amore». Lei tocca il cielo con un dito. E risponde: «Grande è in me il desiderio di sentire ancora la vostra voce creare l'immagine bella». L'epilogo della storia tra i due è alle porte. L'ultima lettera firmata non più Gabriele D'Annunzio, non più Ariel, ma «The prince nevermcre» viene scritta con un crudele lapis. E' il 3 aprile 1928: l'eros è quasi un ricordo. «Non amo se non quel che ha per me l'incanto di lasciarmi insaziato» - le comunica. E così scrivendo l'abbandona alla vita di tutti i giorni («la vita comune ti trae») condannandola a un addio senza appello. Elena Marco Lui le indirizza mazzi di violette, biglietti e ostinati inviti. Lei rifiuta Qui accanto Gabriele d'Annunzio, nella sua stanza al Vittoriale. Sopra la nobildonna Luciana Paolini

Luoghi citati: Aelis, Gardone Riviera, Trieste