«Fermate le armi nel Tigrai»

«Fermate le armi nel Tigrai» Serri incontra i leader di Etiopia e Eritrea e ottiene segnali incoraggianti per un cessate il fuoco «Fermate le armi nel Tigrai» Parte bene la mediazione italiana ADDIS ABEBA DAL NOSTRO INVIATO Forse non ci sarà guerra totale e l'Eritrea e l'Etiopia non si lasceranno travolgere dall'insano desiderio di tentar di cancellarsi a vicenda come hanno dato l'impressione di voler fare. Forse. E' la prima sensazione che Rino Serri, sottosegretario agli Esteri per l'Africa, porta a Roma conclusi gli incontri con Isaias Afeworki, ad Asmara, e, ieri, con Meles Zenawi, qui ad Addis Abeba. Poi, in nottata, la notizia: Etiopia ed Eritrea hanno accettato di sospendere gli attacchi aerei a tempo indeterminato sui principali fronti del conflitto. Un portavoce della Casa Bianca ha precisato che l'accordo è arrivato «in risposta a una proposta statunitense e agli sforzi di pace italiani». C'è solo da augurarsi che gli interlocutori non cambino idea all'improvviso, com'è già accaduto, del resto, quando le bombe eritree sulla gente in attesa del pane, ad Adigrat, furono la prima replica agli sforzi della diplomazia, soprattutto di quella italiana che aveva chiesto in modo esplicito la sospensione dei bombardamenti. Uno smacco, quello, che ha lasciato il segno. Senatore, ha chiesto perché è stato deciso quel bombardamento? «Con forza, e mostrato pure il nostro rammarico. La spiegazione di Afeworki è stata che lì si concentravano tutte le forze del fronte. Ha anche aggiunto rincrescimento per le vittime civili». Ma si è capita la ragione reale per cui è scoppiata la guerra? «Se avessi avuto questa risposta, sarei potuto rimanere a Roma. Devo aggiungere, per esperienza, che in casi come questo, prima occorre trovare una soluzio- ne e poi approfondire». H primo passo è che venga accettato il principio secondo cui l'area del conflitto deve ridursi e anche il tono delle ostilità non deve superare un livello troppo alto: insomma, niente invasioni di Paesi confinanti, come Gibuti e il Sudan, e neppure le bombe. E proprio sul punto delicato dell'impiego dei caccia bombardieri, assicura Serri, «è stata valutata la nostra pressione con molta attenzione». In altre parole, promesse zero, ma bisogna pur sapersi accontentare. Dipenderà dal vento, dagli umori, da mille altre cose. Per esempio, se qui in Etiopia dovesse scatenarsi la caccia all'eritreo, la situazione non potrebbe che finire a picco. Ma non c'è questa intenzione, parola di Meles Zenawi. «Il problema, ci ha spiegato, riguarda al massimo 1500 persone, che occupano "posti sensibili" nell'esercito o altrove. Zenawi ha detto che la questione dei diritti umani l'ha ben presente; dal suo canto Afeworki ha assicurato di non avere in mente alcuna espulsione collettiva». Dovesse andare tutto secondo buon senso, si potrebbe arrivare ad un cessate il fuoco e poi ricominciare a riannodare i lembi strappati di un rapporto tra due nazioni «che restano interdipendenti». In questo senso, oltre all'Italia lavorano tutti, gli Usa e il Ruanda, e l'Oua (Organizzazione dell'unità africana) che giovedì e venerdì toccherà Asmara e Addis Abeba con una delegazione massiccia guidata dal segretario generale Salini Ahmed Salini e della quale farà parte pure Robert Mugabe, ritenuto tra i politici più esperti del continente. Tutti si dicono convinti che le armi devono lasciare il campo alla trattativa. Secondo gli etio¬ pi, evidentemente abili a fare i conti in tasca altrui, le perdite del nemico ammonterebbero a 10.990 soldati ammazzati o straziati dai proiettili e 150 presi prigionieri. Meno preciso il rendiconto sulle proprie perdite. Se Asmara è una città in ansia, con il fronte a poco più di cento chilometri, Addis Abeba, così remota dalla linea del fuoco e fuori dal raggio d'azione degli aerei, sembra una città distratta, il gran mercato sulla strada per la chiesa di Saint Mary come sempre era affollato, anche dalle donne che scendevano dal colle con enormi fascine sulla testa da barattare con qualcosa da mangiare; o dai mendicanti che dormivano nudi lungo la carreggiata. Si pensa ai Mondiali di calcio, forse per non pensare ad altro. E davanti ai televisori si affollano giovani e vecchi. Anche nel bar più grande di Adigrat, su a Nord, la gente guarda alla storia del pallone, ma fuori l'aria torrida non è ancora stata lasciata dall'odore acre del fumo, e quasi si ode ancora l'eco di quelle bombe maledette. Venti chilometri oltre, la prima linea. La strada è ingombra di cannoni, carri armati, camion per il trasporto dei militari o con i lanciarazzi Katiuscia sul cassone. Nella valle, Zalambessa è diventata una piazzaforte eritrea, ma il monte di rocce che le sta di fronte sembra insuperabile. Un assalto si concluderebbe con un massacro. Vincenzo Tassandoti «Abbiamo chiesto spiegazioni per il bombardamento eritreo della città di Adigrat» Garanzie che non ci saranno vendette sui civili in ostaggio nei due Paesi In nottata i due belligeranti accettano la sospensione degli attacchi aerei sui principali fronti il sottosegretario agli Esteri Rino Serri e un gruppo di combattenti etiopici

Persone citate: Afeworki, Isaias Afeworki, Meles Zenawi, Rino Serri, Robert Mugabe, Salini Ahmed, Zenawi