A Pristina Mig e minacce

A Pristina Mig e minacce REPORTAGE INATTESA DELIA NUOVA TEMPESTA A Pristina Mig e minacce I serbi schierano la loro aviazione PRISTINA DAL NOSTRO INVIATO Dalle montagne ogni tanto arriva un rombo di temporale, quasi l'anticipazione di quanto accadrà oggi, coi jet della Nato a volteggiare come falconi ad appena venti chilometri da qui. Anche il cielo di Jugoslavia però sembra affollato: su Kosovo e Methoja continuano ad incrociare tre «Tupolev» carichi di paracadutisti, quasi a dire che se si mette brutta qualche muscolo potrà guizzare anche da parte jugoslava. Siamo al momento della parata, dell'esibizione. In natura i predatori vi fanno ricorso quando cercano di spaventare l'avversario e di cavarsela senza lotta, qui l'essenza delle cose non pare molto diversa. La tensione dei giorni scorsi continua a produrre schegge, lo scontro armato non si ferma ma a meno che l'esercitazione Nato non produca qualche incidente questi luoghi sembrano essersi già adeguati ad una realtà nuova. Il Kosovo ha come metabolizzato uno stato di guerriglia permaraente cui nessun raid aereo potrà porre rimedio. Verso il confine si continua a sparacchiare, l'«Uck» intensifica gh' attacchi, la polizia serba risponde con durezza, all'aeroporto di Pristina una squadriglia di venti «Mig» è pronta a reagire al minimo sconfinamento. Un stato prebelhco, in apparenza, la classica condizione di «allarme rosso»: eppure, per quanto possa apparire strano quasi palpabile la sensazione che nulla accadrà, e le cose riprende ranno a trascinarsi fino al prassi mo bagno di sangue. Ci vorrà ben altro per incidere su una situazio ne come questa: e tornare a Pri stina due mesi dopo i primi attac chi, le prime stragi, le prime di mostrazioni significa rendersi conto che oggi anche i serbi han no qualche interesse a che i «terroristi» (o guerriglieri) continuino la loro attività. Alla vigilia della grande parata militare Pristina appare più deserta del solito, lungo le principali strade i controlli si sono alien tati tranne qualche autoblindo che gioca a fare il Tir. Ai mondiali di calcio si disputa Jugoslavia Iran e la regione è divisa perfino in questo: il simbolo dell'oppressione slava contro lo spettro islamico, qui fare il tifo significa etichettarsi come cetnico o mujaheddin. Ecco: bandito serbo o terrorista islamico. Anche nel Kosovo (come in Croazia, e poi nelle Kraijne, quindi in Bosnia) il linguaggio si tramuta in indicatore dell'arretramento, sottolinea il salto verso il passato, la fine di ogni possibilità di convivenza. Appena due mesi fa, mentre i rastrellamenti serbi eliminavano terroristi e bambini e l'«Uck» pareva composto da fantasmi, in questa città ed in questa regione era ancora possibile cogliere qualche segno di apertura, l'ombra di una disponibilità al dialogo. Oggi non ve n'è più traccia, la stessa vita civile sembra essersi esaurita, rinchiusa in due comunità che non si scambiano più la parola e rinserrate in se stesse attendono il peggio. L'armamentario di una propaganda barbara viene già riesumato dai sotterranei: vedrete che serbi e albanesi l'useranno molto presto. «I combattenti sono almeno 30 mila, e possono diventare 300 mila in poche settimane»: la macchina informativa dei separatisti continua ad assumere toni di baldanza, come se la guerra fosse già vinta. ((Ah, pochi giorni fa eri in Albania? Perché non hai detto a quelle bestie di farsi vedere qui, così li facciamo a pezzi?»: ad uno degli ultimi check-points, il commento del poliziotto serbo che controllava il passaporto era più sprezzante che mai. Dimostrazioni piuttosto chiare del fatto che questa guerra, almeno nella fase attuale, più che di pallottole sembra fatta di parole. Fino al momento in cui Milosevic sarà tornato da Mosca ed avrà elaborato i messaggi del «grande fratello» tutto resterà sospeso, magari in attesa di un'apertura ad osservatori internazionali. E dinanzi a «monitore» stranieri, quale migliore argomento di un'area interamente occupata da «terroristi», «separatisti» o magari «mujaheddin»? Se oltre quella quinta di montagne, in territorio albanese, ciò che resta dell'esercito e dello Sta¬ to sembra essersi ritirato dalla valle del Drin lasciando mano libera all'«Uck», nel Kosovo un'intera fascia pedemontana sembra in condizioni analoghe. Dalla cittadina di Malisevo fino al confine, una quarantina di villaggi sono circondati dalla polizia jugoslava ma praticamente nelle mani dei guerriglieri. Certo, stanarli è pericoloso ma l'impressione è che in quell'area i serbi lascino sopravvivere le forze dell' «Uck» come si fa con gh animali in uno zoo. Col medesimo spirito, intendo dire. Se da una parte l'attacco dei separatisti ha risvegliato l'interesse internazionale, dall'altra dimostra che in un'intera regione della Jugoslavia è in atto una sollevazione armata. E questo è argomento che Milosevic userà fino in fondo, assieme con lo spettro di una nuova avanzata islamica. Ieri nel centro città il caffè inti¬ tolato ai fratelli Jugovic, martiri serbi di cinquecento anni fa, esibiva sul bancone una copia del Corano. No, niente conversioni: era semplicemente un'edizione rara, la prima ed unica traduzione del libro in lingua albanese. Il risvolto di copertina informava che l'opera, stampata al Cairo nel 1988, era dovuta all'iniziativa dell'Università «Al Azar». Nella prefazione è scritto: «L'Albania deve diventare il centro del triangolo islamico d'Europa, i lati del quale sono la Bosnia e il Kosovo». E voi vi esercitate? E voi mandate i vostri jet ai confini jugoslavi? La reazione del proprietario del bar era espressa in pura lingua serba ma risultava egualmente comprensibile, almeno nella sostanza. Per dire, quelli che c'inseguivano mentre uscivamo erano senza dubbio insulti. Giuseppe Zaccaria Milosevic a Mosca incontra Eltsin e il segretario alla Difesa Usa assicura: «Sono certo che gli farà capire che sta rischiando molto» Tutto pronto ad Aviano e nelle altre basi italiane Solana: «Non consentiremo che si ripeta quanto è accaduto nel '91 in Bosnia» *fj gii Ìli! ù.: " :. Due guerriglieri del Fronte di liberazione del Kosovo scortano un gruppo di fuggiaschi In alto, l'arrivo in Albania di un'anziana coppia di profughi e del loro nipotino. Al centro, un FI8 Usa nella base di Aviano

Persone citate: Eltsin, Giuseppe Zaccaria, Jugovic, Milosevic, Solana