«Mi uccido: sono innocente»

«Mi uccido: sono innocente» Nella lettera ha scritto ai familiari: vivete tranquilli, non sono un vigliacco «Mi uccido: sono innocente» Funzionario veneto accusato di tentata concussione PADOVA. Credeva che l'incubo fosse finito due anni fa. Dopo la galera, la scarcerazione e la proposta di archiviazione. Il mondo gli è crollato addosso quando ha saputo che tutto ricominciava, che avrebbe dovuto affrontare il processo, gli sguardi dei colleghi, i commenti della gente, l'angoscia della sua famiglia. Giuseppe Iannelli, 46 anni, funzionario dell'ispettorato del lavoro di Venezia, ha preferito andarsene prima, togliendosi la vita con il gas di scarico dell'auto sull'argine del Po, a Porto Tolle. Sul sedile ha lasciato una lettera in cui grida per l'ultima volta la sua innocenza. Il giudice per le indagini preliminari di Padova, Alessandro Apostoli contro il parere del pubblico ministero Bruno Cherchi, che proponeva l'archiviaziono, aveva imposto l'imputazione coatta di Iannelli per tentata concussione. Un reato odioso, divenuto familiare negli anni bui di Tangentopoli. Più piccola, però, in questo caso la posta in gioco. Presunte mazzette che il vicecapo dell'ispettorato regionale del lavoro, Carlo Ricciardi, avrebbe preteso per far passare ai candidati l'esame di iscrizione all'albo dei consulenti del lavoro. La tariffa per la promozione oscillava fra i 30 e i 40 milioni, pagabili a rate. Ad incastrare i funzionari dell'ispettorato era stato un ragioniere padovano che quell'esame l'aveva tentato tante volte, senza riuscire a superarlo mai. Finché si mise in contatto con il vicecapo dell'ispettorato. Al telefono - la conversazione è stata registrata - viene fuori il nome di Giuseppe Iannelli e del capo dell'ispettorato Enrico Marcozzi. Il ragioniere va'all'appuntamento, ma prima ha avvertito la polizia. Le manette per Ricciardi scattano mentre sta ritirando il malloppo: 17 milioni. E' il 26 novembre del 1996. Poco dopo le porte del carcere si aprono anche per Iannelli e Marcozzi, ma Ricciardi scagiona entrambi e si accolla tutta la colpa. Iannelli esce dal carcere, riprende il suo lavoro all'ispettorato come capo del servizio di sorveglianza, ma cambia città e si trasferisce nell'entroterra veneziano, a Mirano, con la moglie e il figlio di 13 anni. Pochi giorni fa il suo avvocato, Giovanni Chiello, gli comunica che il 30 settembre dovrà affrontare il processo. «Si è sentito umiliato, tradito - dice il legale schiacciato da un'accusa che giudicava ingiusta e infamante. Si è sentito perduto ancor prima di affrontare il magistrato. Con la sua morte ha dato una tragica e grande lezione di dignità a tutti». Nell'ultima lettera, Iannelli scrive della grande preoccupazione per il processo che lo aspettava il 30 settembre, se avesse deciso di continuare a vivere, ma consegna alla memoria dei suoi cari la sua dichiarazione di innocenza: «Vivete tranquilli, non vi preoccupate. Io non sono un vigliacco». Poi ha acceso il motore dell'auto e ha atteso che il gas di scarico riempisse l'abitacolo. Maria Grazia Raffele

Luoghi citati: Mirano, Padova, Porto Tolle, Venezia