Ore quindici, morte a Kabul

Ore quindici, morte a Kabul REPORTAGE VIAGGIO BEI TALEBAN I due condannati implorano pietà ma i parenti delle loro vittime li sgozzano Ore quindici, morte a Kabul Allo stadio per vedere processo ed esecuzione KABUL DAL NOSTRO INVIATO «Quest'uomo ha ucciso, quest'uomo dev'essere uccìso», disse più tardi l'altoparlante. Ma già alle tre del pomeriggio lo stadio era pieno che se ne sentivano voci e grida fin dalla strada. Il sole bruciava l'aria, il «giudizio di Dio» sarebbe cominciato soltanto alle quattro; c'era tempo. Però bisogna anche capire. A Kabul, da quando i Taleban hanno preso il potere la vita pubblica è stata spazzata via: chiusi i cinema, chiusi i teatri, chiusi alle donne i ristoranti e ogni altro locale, (di giudizio» resta l'unica offerta in cartellone. Per chi ne ha il fegato. E a Kabul, venerdì il fegato lo avevano almeno in trentamila. Il «giudizio» non è come una partita di Coppa, dove i calciatori corrono, si pestano, e poi, alla fine, si abbracciano e vanno a farsi la doccia. Nel piccolo stadio di Kabul, nessuno avrebbe corso in questo pomeriggio; e nessuno si sarebbe abbracciato. Sull'erba verde che squillava nel sole, ora a correre e a vincere sarebbe stata soltanto la morte. Questa è la cronaca di come si ammazzi un uomo. Anzi, due uomini. Chi non ne ha il fegato, è meglio che lasci perdere e legga altro. Q Medioevo guardato con gli occhi di oggi ha sapori aspri di barbarie, che nessuna legge divina può presumere di giustificare. Venerdì, trovare un posto per sedersi non è stato facile. Kabul è una città distrutta dalla guerra, ci sono quartieri dove ormai non passano nemmeno i cani; f muri delle' casse se ne stanno ritti in aria come quinte di cartapesta, vuoti, abbandonati. Del milione di abitanti che Kabul aveva in un tempo lontano, vent'anni fa, ora ne saranno rimasti 200 o 300 nula. E questo pomeriggio pareva che tutti si fossero dati appuntamento sulle gradinate grigie del campo sportivo. Erano tutti uomini, naturalmente. Tutti con il turbante e il lungo camicione. E tutti con la barba. Pareva la festa di Mangiafuoco, perché gli afghani sono gente di montagna, dalla faccia dura, squa eirata, che hanno messo la fifa addosso anche ai ruvidi lancieri della regina Vittoria. Ora, poi, con tutte quelle barbe lunghe sembrano i briganti giganti degli acquerelli di Roberts. Comunque non è che le donne mancassero del tutto, nel piccolo stadio bruciato dal sole. I Taleban hanno conquistato Kabul nell'ottobre del '96, e quel giorno è come se le donne fossero sparite dal mondo. La legge islamica che questi «studenti di Dio» ordinano di applicare con ogni rigore proibisce alla fem mina di mostrare in pubblico il proprio volto; e allora oggi nelle strade di questo Paese vagano cor pi informi sepolti sotto un tunicone che va dalla testa ai piedi e che all'altezza degli occhi porta una fitta garza, impenetrabile. Dentro po trebbe esserci anche Primo Carne ra, tanto, sotto il tunicone, che qui chiamano burica, ogni linea, ogni forma, ogni identità, sparisce, si perde. Le donne stavano segregate nella piccola tribuna coperta, cintata da ogni parte da un muretto bianco Avevano un ingresso separato, na turalmente, con una scalinata nascosta; nessuno poteva avvicinarle. E anche, nessuno le guardava Ma il tempo passa lento, allo stadio, e qualche barba puntava ogni tanto verso dove non avrebbe mai dovuto. Erano sguardi rapidi, consapevolmente colpevoli, ma per quello che si poteva vedere, sareb be stato azzardato considerarli anche sguardi lussuriosi. La fantasia dei fedeli di Allah dev'essere un pozzo senza fondo. Ma sulla pista di cemento che corre attorno al prato entrò un A pick-up nero, e si guadagnò l'attenzione totale degli sguardi. Lento, enorme, con i vetri oscurati, era come una delle macchine misteriose delle storie robotiche di Ridley Scott. Si fermò sotto la tribuna, lo stadio parve ondeggiare. «Il giudizio» cominciava. Un Taleban aprì la portiera del pick-up. I due uomini che ne scesero sembrarono storditi dalla luce fòrte del sole e dalla folla che li circondava. Avevano anch'essi la barba nera, e le mani legate dietro la' schiena. Il Taleban li aiutava a scendere, poi li accompagnò nel prato. La folla si era fatta muta. Sembrava quasi di poter sentire i passi nell'erba e il respiro affannoso di chi sta arrivando sulla soglia della morte. Il Taleban li fermò al centro del campo, trattenendoli. Poi li fece rigirare verso la tribuna. Dal piccolo gruppo che intanto si era formato attorno al pick-up mossero verso il prato altri due uomini, che si fermarono a un paio di metri da quelli che avevano le mani legate, e _________ stettero a guardarli immobili, rigidi, facce contro facce. «Bismillah arahman irahim» tuonò dall'alto la voce dell'altoparlante. Ora, nel nome di Dio onnipotente e misericordioso, ora la vita di due uomini era nelle mani di questi trentamila fedeli del Signore. L'interprete, che aveva scoperto un vicino di gradinata, un cugino della sorella di sua moglie, che pareva che fosse informatissimo, prima aveva saputo che i due uomini erano accusati di omicidio: uno aveva accoltellato un negoziante, per derubarlo; l'altro aveva ammazzato qualcuno per motivi che ancora nemmeno si era capito bene quali fossero, e poi lo aveva squartato. Forse era anche una storia di RespSettorUna società il proprio Reanni, dovranclienti e di gre motivati aÈ necessarialo "quadro" raggiungimeInviaSELE-CEBruxMil.moMultinazionSpagna neINGEcEtà: 25-30 E indispenlata e scrittE' gradita laDisponibiliNon si richrienze soloSi esaminerichiesti. Inviare detcon fotogr donne, aveva aggiunto l'interprete; ma non era chiaro se fosse un commento suo o una soffiata pettegola del cugino della sorella della moglie. «Questi uomini hanno ucciso», disse l'altoparlante. «Hanno ucciso e meritano la morte, perché questa è la legge del Signore». La folla commentò con un «uh» di approvazione. Anche le donne, lassù, nel loro gineceo, facevano anch'esse di sì con la testa. «Ma il Signore dice anche che il perdono è un merito più grande ancora, e la benevolenza del Signore accompagna chi ha saputo dimenticare l'offesa ricevuta e accetta la riparazione che il colpevole offre». Queir «uh» si fece più forte. Adesso la folla ondeggiava, i vicini commentavano a voce alta con i vicini. Nel centro del prato, anche i due prigionieri ora avevano alzato la fronte e guardavano con occhi di speranza le gradinate che si agitavano di emozione. A Kabul manca la luce e manca l'acqua. Le donne sono tuniche senza corpi, e su quel prato srotolava un rituale vecchio di mille anni. Pareva davvero che l'orologio della vita e della morte avesse riavvitato le lancette, perdendosi dentro il passato. Ma intanto su quello stesso prato c'erano anche i pick-up da duecento all'ora e i Kalashnikov e il brusio elettronico di un altoparlante. Era come se la macchina del tempo fosse impazzita. La legge della sharia racconta una società fatta di cammelli e di guerre con la scimitarra, di tende nel deserto, di uomini che si battono e muoiono nel segno cieco della fede. La sua applicazione in un mondo dove anche quando la luce e l'acqua mancano - la cultura del tempo ha però consumato le identità del passato, quell'applicazione finisce inevitabilmente per rivelare la ruggine del tempo. E fa guardare a Kabul, a Teheran, ad Algeri, a Gaza, come spaventose reinsorgenze dei morbi misteriosi che piagavano l'umanità dei secoli bui. «Chiediamo allora, tutti insieme, la concessione del perdono», disse la voce che predicava dentro l'altoparlante. E per tre volte, un urlo potente si alzò dallo stadio e riempì il cielo di Kabul. Bebakishsh Bebakishsh Bebakishsh. Gridavano le barbe nere e quelle bianche, gridavano le donne, gridava la voce del prete musulmano, gridava anche il cielo. Nella folla commossa, molti si erano alzati in piedi, e tendevano le mani verso il campo. Con le palme aperte, imploravano la pietà. Anche i due prigionieri, laggiù, nel centro del prato, ora facevano di sì con la testa e gridavano qualcosa che dalle gradinate non si riusciva a sentire, nello stordimento di quelle trentamila voci che disperatamente chiamavano la pietà. Quei due che finora se n'erano stati davanti a loro, fissandoli immobili, rigidi come statue di sale, allora si scossero, furiosi, e tirarono le brac¬ cia su, verso il cielo. Quelle braccia dicevano no, mai. E nel sole forte del pomeriggio, all'improvviso, con un lampo di luce accecante, brillarono i lunghi coltelli che avevano tenuto seminascosti. Non erano pugnali, ma proprio coltelli da macellaio, con il taglio ricurvo e la punta. 1 prigionieri fecero, istintivamente, mezzo passo indietro. Poi presero a parlare a questi che gli stavano di fronte. «Quelli sono i fratelli dei due che sono stati ammazzati», spiegò l'interprete che aveva appena avuto l'informazione da nostro cugino, quello della sorella della moglie. «Uno dei due padri è morto, e l'altro è a lavorare in Turchia. Perciò tocca a loro due vendicare l'offesa patita dalla famiglia». Uno dei prigionieri si buttò in ginocchio, a implorare. Promise tutto quello che nessuno di noi poteva sentire. Denaro, ricchezza, sentimenti nuovi, disperazione eterna. Implorava e ta ISO 9002 riRCIALE ndita interne e siede indiscusa, attitudine ai e significative bilmente mecndale giovane nità di crescita on fototessera TORINO E anto Dusnaslo Pancrazio ttore dott.ssa Deza0, del seguente im35 - appezzamento e fabbricato di civile gno; utorimessa. one e spese: chiuno le ore 13 del lunedi allegando assegno .TT. di Torino con II ase. Termine di vermazioni dr. Rafia G. eria Vincenzo Papa r abbigliamento a per l'area Italia COMMERCIALE perienza minima piangeva. Anche l'altro piangeva, che stava in piedi, a pochi passi da lui. I due fratelli dei morti però nemmeno li guardavano. Tornarono ad alzare lo loro lame verso il cielo. E le loro barbe, per l'ultima volta dissero no. Mai. «I colpevoli debbono allora morire», ordinò l'altoparlante. «Che la giustizia del Signore sia compiuta». Nel silenzio improvviso, la folla piombò a sedere; una voce gridò Allah uakbar, lo stadio intero rispose Allah u-akbar. «Il Signore è grande». I Taleban tentavano ora di far stendere sull'erba il primo dei condannati. Il giudizio di Dio aveva deciso la morte, e la morte doveva essere. Ma l'uomo resisteva, gridava. Fiegato verso terra, tentava di rimet¬ e o e è n a re o e a , o ¬ tersi in piedi. Lo stadio taceva immobile. Il fratello dell'uomo che quello aveva ucciso gli balzò allora addosso come una furia di dolore e di rabbia, lo spinse fino a fargli perdere l'equilibrio, poi gli piantò il piede sul petto. E lo tenne schiacciato nell'erba. Lui era la vita e la morte. Passò un lunghissimo attimo di sospensione, quasi che un pentimento improvviso avesse cambiato la violenza del vendicatore. Ma poi quell'uomo si piegò in avanti, poggiò il ginocchio sul collo della vittima sacrificale, per tenerne ferma quella testa che continuava a dire di no e gridava parole disperate al cielo, e alzò in aria il suo coltellaccio. La lama brillò con un lampo, poi affondò tutta nel cuore di quel corpo che ancora si dibatteva. Un fiotto di sangue saltò in aria. Il vendicatore rigirò la lama nel petto, poi la tirò su con un urlo di gioia. E di nuovo l'affondò. Urlando, questa volta tagliò di netto la gola dell'uomo che stava morendo, un fendente che passò da destra a sinistra. Il macellaio aveva compiuto il proprio lavoro. Il corpo ebbe un ultimo sussulto, poi restò immobile. La folla ora gridava, piangeva, si disperava. Lassù, nella loro solitudine senza volto, anche le donne piangevano e gridavano. L'uomo leccò lentamente la lunga lama, pulendone il sangue. Leccò prima un lato, piano, meticoloso, e dopo leccò il lato opposto Disse anche parole che nessuno riuscì a sentire. Poi affondò le mani dentro la pozza di sangue che si era formata accanto alla gola recisa, < le riempì. Urlando di gioia, se ne la vava il viso, ima, due, tre volte. E si alzò in piedi a mostrare la faccia della giustizia di Dio, una maschera mostruosa di sangue e di peli neri. «Mister, svengo», disse l'interprete. Ora l'altro condannato non diceva più nulla. Immobile, pallido, aveva gli occhi sbarrati di terrore. Si fece distendere senza opporre la minima resistenza, docile come un agnello che sa che deve morire. Fu di nuovo un attimo, e di nuovo la lama brillò nella luce del sole e poi si perse dentro l'ultima vita di quell'uomo. La folla ormai non gridava più, affascinata e inorridita dallo spettacolo della morte. Anche questa volta la lama tagliò di netto la gola, e anche questa volta il vendicatore ne pulì poi i due lati, leccandone lento l'acciaio. Quasi con voluttà. «La volontà del Signore è compiuta», rassicurò il predicatore. Un vicino mormorò, «ma sarebbe stato meglio se quegli uornini avessero saputo perdonare». L'altoparlante sigillò la sentenza: «Chi fa il male riceve il male, chi fa il bene riceve il bene». Il sole era ancora alto, forte, era passata soltanto mezz'ora. Ma in quella mezz'ora si era concentrato un mondo tormentato di millenni, riawolgendo velocemente il filo della storia delle società umane, il diritto della vita, la rottura che aveva separato il dogma delle religioni dall'esercizio della giustizia. I Taleban si rimisero in spalla il Kalashnikov, poi caricarono i due corpi sul cassone del pick-up, che partì lentamente, nero come la morte che si portava addosso. La folla tardò a distaccarsi dallo stadio, era prigioniera dell'orrore che aveva appena consumato. Tutti si diressero invece verso il prato, spintonandosi senza pietà. Volevano vedere da vicino il sangue del «giudizio di Dio». Quando finalmente lo stadio fu vuoto, anche da lontano le due pozzanghere rosse brillavano sul verde asciutto del campo. Nell'aria si sentiva ancora l'urlo della morte. Mimmo Candito (1. continua) L'altoparlante grida «Questo accade a chi non rispetta la volontà di Dio» Dopo aver tagliato la gola lecca con lentezza la lama insanguinata Arriva un camioncino, due miliziani afferrano i morti per le ascelle e le caviglie e li gettano come sacchi sul cassone Mentre la folla di trentamila persone lascia le tribune la voce al microfono ripete «La volontà di Dio è compiuta chi fa il male riceve il male» Estero DoI due condannati implorano pietà ma i parenti delle loro vit Le esecuzioni pubbliche sono divantate una pratica quotidiana da quando i taleban hanno imposto con rigore la legge islamica

Persone citate: Immobile, Mimmo Candito, Ridley Scott, Urlando, Vincenzo Papa, Vittoria