Il ritorno dei «portaborse»

Il ritorno dei «portaborse» CURIOSITÀ' COME CAMBIA IL PALAZZO La Cassazione dà ragione all'ex attendente di un onorevole psi: tocca al pretore e non alla Camera decidere sul licenziamento Il ritorno dei «portaborse» Metamorfosi del galoppino dopo Tangentopoli E: ROMA dunque: il Portaborse 2. Ma anziché «la vendetta» o «il ritorno», il sottotitolo della replica rischia oggi di essere «la scomparsa» o «i ricordi», ormai. Ricordi malinconici, oltre che segnati da controversie addirittura giurisprudenziali. Sulla triste storia di Pietro Indirli, per dire, un ex portaborse ottantenne nel 1990 licenziato dal «suo» onorevole (il socialista Damiano Poti), si è appena pronunciata la Cassazione. Con una sentenza che più o meno cade nel decennale dell'entrata in opera dei portaborse pagati con i quattrini pubblici, i giudici delle Sezioni Unite Civili hanno dato ragione a Indirli (e al suo avvocato, Raffaele Cavaliere) stabilendo che la competenza a giudicare sull'interruzione del rapporto di lavoro spetta non alla Camera dei deputati, ma al Pretore del Lavoro. Dopo quasi nove anni, perciò, può cominciare il processo vero e proprio. Da tempo Poti non è più deputato, ma questo non ha impedito al suo ex collaboratore, che ha l'aria di un signore molto meticoloso e amareggiato, dal produrre un lungo fascicolo autobiografico, con tanto di allegati, sul mestiere del portaborse: storia professionale; luoghi e orari di lavoro; trattamento salariale; competenze, corrispondenza; aggiornamento e conservazione di archivio e schedari; contatti con istituzioni, partiti, aziende, elettorato, «segnalanti» e clientes. Un autentico breviario, insomma, di assistenza portaborsistica: dal ritiro della cancelleria destinata all'onorevole al lesto del telegramma con cui si annuncia ai beneficiari il buon esito della «raccomanda». Inutile dire - anche a prescindere dalle ragióni e dai torti che solo la magistratura saprà valutare - che si tratta comunque di uno straordinario documento sulla Prima Repubblica. E se pure il sospetto è che quelle pratiche continuino anche nella Seconda, o ritenuta tale, almeno per un attimo il mesto, ma l'illuminante auto-mansionario di Indirli costringe a chiedersi che fine hanno fatto, i portaborse. Magari per scoprire che ci sono ancora; ma è come se non ci fossero più. Curioso destino per una figura che per anni ha acceso la fantasia. Ma il fatto è che la politica italiana adora i fantasmi, e insistentemente ne crea, soprattutto in carne e ossa. E infatti eccoli sciamare a Palazzo con il loro budge marroncino, la mattina all'ufficio postale di Montecitorio e all'ora di pranzo a far la fila alla mensa di Palazzo San Macuto (6 mila a pasto, posti contingentati). Proprio come accadeva in passato al dottor Indirli. Nel resto della giornata vivono celati nei meandri più periferici della città politica. Luoghi sperduti, per lo più malsani, li puoi incontrare, i portaborse, nei sottoscala bui di Palazzo Raggi, o sotto i soffitti bassi e polverosi dell'«ex Colombo», agli Uffici del Vicario, come pure nel labirinto cunicolare di vicolo del Valdina, là dove si dice dormano alcuni deputati, e i commessi debbano farsi accompagnare. Insomma, ce ne sono, e di tutti i tipi, quasi a sfidare le logiche di un'ardua classificazione. E comunque: mitici pensionati (il più rinomato è l'avvocato Gallo, che lavora per 0 edu Delfino) che conoscono la Pubblica amministrazione meglio del professor Cassese; giovani e promettenti esperti di drajting e diritto parlamentare; stregoni del computer; maghi della «raccomanda»; ex «quadri» rovinati dalla fine del partito ideologico; assistenti in multiproprietà e in cooperativa (è il caso del pds e della Lega); tecnici di segreteria istintivamente girovaghi disposti appunto a girovagare a destra, sinistra, centro, gruppo misto e ritorno. Poi gli «anfibi», metà portaborse e metà lobbisti; gli «affrancati», ex portaborse fortunosamente entrati «in delibera», e quindi dal 1993 facenti parte, senza più catene, del personale dei gruppi. Dulcis injundo - anche se qui siamo in piena leggenda - gli «scambisti», ossia mogli di deputati arruolate come portaborse da colleghi di mariti, che a loro volta contraccambiano l'arruolamento lungo le aggrovigliate simmetrie di un misero potere gregario. Ma pervasivo. Come prima, quindi. Ma non più di prima. Dopo Tangentopoli, infatti, la figura del portaborse appare più che altro rimossa, o al massimo camuffata dietro una liberalizzazione un po' ipocrita. Tuttora a suo modo indispensabile come fonte di finanziamento pubblico. Però - ecco l'incresciosa novità - ritenuta al dunque così imbarazzante e potenzialmente lesiva della reputazione dei politici da essere stata sottoposta a una silenziosa opera di nascondimento; ai limiti della più crudele e ingrata cancellazione. Cosà, da qualche tempo il portaborse ha pure cambiato nome e ora si chiama «Rimborso forfettario»: anonima, ma assai più sintomatica denominazione che implica generiche «spese di segreteria e rappresentanza» per un totale di oltre sei milioni e mezzo di lire al mese. Mica male per entità opportunamente rese incerte, provvisorie, flessibili. Vero è che già diversi anni prima del fortunato film di Lucchetti (1991), con Silvio Orlando al servizio di un perfido politicante tardo craxiano, l'uso sempre più diffuso di quella parola così vivida e fulminante aveva destato preoccupazione in una classe politica che si stava attrezzando a farli pagare a tutti, i portaborse, come insostituibile e benefico contributo alla democrazia e in particolare al funzionamento dell'istituto parlamentare. Se ne fece interprete sull'ovanti/, nel 1986, lo stesso Craxi con una noterella che a fatica si potrebbe far rientrare nel politically correa. Chi diceva «portaborse», comunque, era equiparato da Ghino di Tacco a chi chiamava «serva» la colf, entrambi i modi di dire rispondendo «a una pseudocultura e a una pseudomorale fatta tutta di qualunquismo e di disprezzo per il sistema politico». Eppure, anche senza ricorrere al tezzosamente a quel termine che di lì a un lustro avrebbe dato vita a un successo cinematografico anti-craxiano, si capiva lo stesso che di pagare l'assistente o il segretario agli onorevoli la stragrande maggioranza degli italiani non ne voleva sapere. Appena l'I 1,2 per cento, secondo un sondaggio Swg-La Stampa, erano favorevoli; il resto degli interpellati pensava il peggio. Ebbene, la nonna per l'assunzione dei portaborse a Montecitorio si fece lo stesso (3 milioni lordi ogni deputato). Ma per tutto il 1987, causa anche la fine anticipata della legislatura,-non divennero operativi. Il sistema entrò effettivamente a regime nel 1988, con rapida proliferazione nelle Regioni (primi iportaborse siciliani). Ma nel Palazzo romano, nel frattempo, passettino dopo passettino, debberà dopo delibera, adeguamento dopo adeguamento, in costante coordinazione con i colleghi del Senato, l'inusitata «portaborseide» proseguiva verso eccezionali traguardi. L'ultimo dei quali, nella presente legislatura, è stato quello di prendersi i soldi un tempo destinati in forma vincolante ai portaborse, abrogando in pratica i medesimi. Per cui adesso i deputati possono assumere uno, due, dieci o al limite nessun portaborse. Possono farlo per quanto tempo vogliono e retribuendolo come gli va - anche a costo di suscitare l'inevitabile sospetto che si tengano i soldi per loro. Ogni tre mesi sottoscrivono un semplice modulo e lo consegnano ai propri gruppi parlamentari - che oltre a sciogliersi e a coagularsi di continuo non paiono esattamente strutture rinomate per prussiana severità. L'amministrazione della Camera, che ha sempre spregiato e irriso la figura dell'«assistente parlamentare», temendone esplosive ricadute previdenziali, è oggi assai felice di potersene lavare le mani. Tutti sembrano soddisfatti. Meno loro, i portaborse, che dopo le illusioni degli Anni Ottanta sperimentano oggi la dura vita del bracciantato e del precariato della politica. E certamente fanno gli auguri al dottor Pietro Indirli, che si appresta a difendere in tribunale i suoi diritti di portaborse, o come si voglia chiamare. Filippo Ceccarelli Sempre più difficile una classificazione Dai mitici pensionati ai giovani rampanti Dai «girovaghi» agli «anfibi»: metà segretari e metà lobbisti E qualche deputato arruola persino la moglie del collega (che contraccambia) Qui sopra Silvio Orlando nel film «Il portaborse» A sinistra l'ex leader psi Bettino Craxi Il «corridoio dei passi perduti» a Montecitorio

Luoghi citati: Roma, Valdina