E l'America fa shopping di Andrea Di Robilant

E l'America fa shopping E l'America fa shopping Dalle finanziarie ai campi da sci il cambio favorisce gli acquisti WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Negli Anni Ottanta sembrava che nulla potesse fermare l'ondata d'acquisti in terra americana da parte delle grandi aziende giapponesi. Oggi, con lo yen depresso e l'economia del Giappone in recessione, il trend si è capovolto. E adesso sono i giganti americani che guardano con appetito crescente alle buone occasioni in terra nipponica. Il colpo più grosso lo ha messo a segno la settimana scorsa Travelers Group, il nuovo colosso della finanza americana, che ha pagato 1,6 miliardi di dollari (2750 miliardi di lire) per acquistare il 25% della Nikko Securities, uno dei maggiori gruppi finanziari giapponesi. La Associates First Capital (Ford) ha speso un miliardo di dollari (1750 miliardi di lire) per acquistare un altro gruppo finanziario giapponese - Die Finance. La Gè Capital ha comprato la Toho Mutual Life Insurance per mezzo miliardo di dollari (un po' meno di 90 miliardi di lire). La Goldman Sachs ha investito mezzo miliardo di dollari, la Ncr ne ha investiti 300 milioni. E la stazione sciistica di Steamboat (Colorado), comprata dai giapponesi quando le vacche erano grasse, è tornata nelle mani di mi gruppo americano - American Skiing - per poco meno di 300 milioni di dollari. L'appetito degli americani, del resto, non si limita al Giappone. La crisi economica in Asia, accompagnata dal forte calo delle valute rispetto al dollaro - in Indonesia, in Corea del Sud, in Thailandia, nelle Filippine - offre occasioni ghiotte in tutto l'Estremo Oriente. Nei primi cinque mesi di quest'anno le aziende americane hanno già investito 7 miliardi di dollari (11 mila miliardi di lire) in Asia, cioè il 60% in più di quanto investirono in tutto il 1997. E la tendenza non accenna a diminuire. Ma in realtà potrebbe essere molto più forte: la crisi asiatica è talmente diffusa, le aziende americane così ricche e il dollaro così forte che è difficile immaginare uno scenario più favorevole ad acquisti e investimenti Usa in Asia. Ma ci sono ostacoli culturali, dicono molti esperti, che frenano il fenomeno. In molti Paesi asiatici - a cominciare dal Giappone - «vendere allo straniero» è'spesso considerato un atto umiliante, dettato dàlia' disperazióne, da evitare anche quando ìà logica economica suggerisce di farlo. «Qui la gente è molto orgogliosa», conferma Tim Dattels, capo delle sede di Hong Kong della Goldman Sachs, al quotidiano Usa Today. «Chi investe deve avere più rispetto, deve essere meno opportunistico. Perché alla fine avrà comunque bisogno di un partner locale». E i più pessimisti prevedono che alla lunga l'entrata dello straniero possa alimentare reazioni ostili, venate di xenofobia. Nel frattempo le banche fanno affari d'oro organizzando fusioni e acquisizioni in Asia. «Il business è eccezionale», assicura Harry Van Dyke, capo del settore mergers and acquisitions a Hong Kong della Morgan Stan ley. Paradossalmente, l'incertez za sul futuro economico dell'Asia, a cominciare dal Giappone, accelera la fuga di capitali asia tici verso beni rifugio come buoni americani, rafforzando il dollaro rispetto alle valute lo cali. Andrea di Robilant

Persone citate: Harry Van Dyke