La vendetta sugli eritrei di Addis Abeba di Vincenzo Tessandori

La vendetta sugli eritrei di Addis Abeba CORNO D'AFRICA In 700 mila rischiano il posto. L'Etiopia accusa: a Adigrat bombe sui profughi in fila per il pane La vendetta sugli eritrei di Addis Abeba Censiti e «messi in ferie». Serri rinvia la missione di pace ADDIS ABEBA DAL NOSTRO INVIATO «Abbiamo visto il fuoco, abbiamo visto gli aerei, abbiamo visto le bombe», racconta suor Virginia, superiora delle Maestre Pie Filippini. Ha la voce che ancora le trema e forse vorrebbe piangere, perché quel fuoco, quegli aerei e quelle bombe l'altro giorno hanno ucciso e dilaniato, ad Adigrat, che non è più una cittadina di frontiera ma la retrovia del fronte. Stavolta, la scuola delle suore è rimasta intatta, ma niente dà certezza per il futuro. L'attacco eritreo dell'altro giorno ha ammazzato quattro persone e ne ha ferite trenta: gente spinta via dal Nord dai carri armati e dai cannoni, e in quel momento maledetto in cui sono apparsi l'Air Macchi e due elicotteri eritrei, in coda per il pane davanti al deposito del grano. Un obiettivo militare, dicono ad Asmara. La fila della gente è stata presa in pieno dalle raffiche e dalle bombe vigliacche, quelle appese a un paracadute che esplodono sette secondi dopo l'impatto al suolo, quando, forse, uno pensa che il Seggio sia passato. Chissà se l'oiettivo militare era la Addis Pharmaceuticals, che è una piccola industria, oppure quel silo colorato dove tenevano il grano e che ora è soltanto uno scheletro annerito. Eccoli, i corpi dei quattro uccisi, chiusi nei sudari coperti da un panno rosso su cui spicca la croce coopta. Li portano a spalla gli uomini e dietro ci sono le donne che si stringono la testa con le mani e scuotono il capo nella preghiera e piangono. Ora li chiamano martiri, e la gente del Tigray grida che bisogna farla finita, che Meles Zenawi ha il polso debole ed è un male. Difficile capire perché da Asmara abbiano ordinato il raid: forse per distogliere l'attenzione dal Sud, dalla battaglia che si è svolta a settanta chilometri dal mare e che avrebbe avuto un esito negativo per gii eritrei, che in quel settore così delicato possono contare su un contingente non troppo robusto. Anche i francesi, dalle sabbie attorno a Gibuti, osservano la battaglia e paiono convinti che sia solo una questione di tempo l'attacco decisivo degli etiopi per la conquista di Assab. O forse la ragione è che questo inferno è diventato lo scontro fra due vecchi amici ormai nemici irriducibili. Di certo, le bombe hanno bruciato gran parte del sottile margine rimasto per una trattativa. Eppure la diplomazia internazionale non desiste. Per tutto il giorno, una delegazione formata da statunitensi e da Paul Kagame, vicepresidente del Ruanda, ha tentato ad Asmara di riannodare un filo che, a prima vista, sembra strappato di netto. Imbarazzante, soprattutto per gli americani, il colloquio dopo la dura lettera di Isaias Afeworki al presidente Bill Clinton con cui si sbeffeggiava la sicurezza americana nel piano di pace. E disagio deve aver provato pure Rino Serri, sottosegretario agli Esteri per i problemi africani, atteso ad Asmara e poi ad Addis Abeba. La missione è rinviata, proprio per le bombe, perché il nostro diplomatico nel summit in Buriana Faso aveva strappato una mezza promessa che gli aerei sarebbero rimasti al suolo, almeno finché si trattava. Ma rinvio non significa rinuncia e così nel pomeriggio, a Roma, è stata consegnata una lettera agli ambasciatori eritreo ed etiopico che contiene il rammarico per l'estendersi del conflitto e qualcosa di più del rammarico per il ritorno alle bom¬ be. Ma questo non vuol dire che l'Italia rinunci: se si vedrà uno spiraglio, un segno di buona volontà, la missione riparte e Serri' vola qui in Africa. Succede di tutto, nella guerra non dichiarata e dalle troppe facce. Per tutto il giorno camion militari hanno battuto i quartieri di Addis Abeba. Hanno steso sugli eritrei una grande rete: scopo, una sorta di «censimen¬ to» dei 700 mila potenziali nemici, come si lascia intendere. Il governo parla di spionaggio, di sicurezza nazionale. Un fatto è che molti eritrei occupati in settori a rischio come le telecomunicazioni e i trasporti sono stati «messi in vacanza» d'ufficio e a tempo indeterminato. Ma nessuno, assicura Salomé Tadesse, portavoce del governo, toccherà i loro beni. Eppure, dall'ambasciata eritrea viene lanciata un'accusa pesante: 29 persone della delegazione diplomatica sono in carcere e interrogate. E da Asmara rimbalza un'altra denuncia: «L'Etiopia tenta di ingaggiare piloti mercenari per i suoi Mig». Parola di Afeworki. Ricercati soprattutto i tedeschi, naturalmente quelli un tempo dell'Est. Se qualcuno dovesse essere preso prigioniero, dicono in Eritrea, sarebbe considerato criminale di guerra. Vincenzo Tessandori L'inviato della Farnesina convoca gli ambasciatori dei due Paesi Era stata promessa una tregua nei raid durante la mediazione Una donna ferita nel raid eritreo di giovedì su Adigrat e un soldato etiopico in cerca di un riparo durante il bombardamento

Persone citate: Addis, Afeworki, Bill Clinton, Corno D'africa, Isaias Afeworki, Meles Zenawi, Paul Kagame, Rino Serri, Tadesse