E Prodi perse la pazienza per le critiche dell'Unità

E Prodi perse la pazienza per le critiche dell'Unità LO SFOGO DI ROMANO E Prodi perse la pazienza per le critiche dell'Unità CHI lo conosce bene tra i ministri, non aveva mai visto Romano Prodi entrare nella sala del governo con il volto così scuro. E a farne le spese, poveretto, è stato il titolare dell'Industria Pierluigi Bersani, preso a simbolo di tutti i diessini (dato che il Professore considera il capo-delegazione della Quercia al governo, cioè il vicepresidente Walter Veltroni, uomo suo). Pretesto per la scenata: il numero dell'«Unità» di ieri. Se, infatti, una volta il quotidiano fondato da Antonio Gramsci faceva arrabbiare Massimo D'Alema, di questi tempi in più di un'occasione ha fatto perdere la pazienza al capo del governo dell'Ulivo. La scena è stata di quelle che potrebbero a buon diritto essere inserite in una commedia. Prodi ha sbarrato gli occhi dietro le spesse lenti e, inarcando l'accento emiliano come gli capita ogni volta che esce dai gangheri, ha agitato davanti a Bersani una copia del giornale. Subito dopo ha intonato una filippica di quelle da ricordare. «Bella roba! Pensavo che fosse uno scherzo - ha esordito -. Il vostro giornale si apre con un titolo a cinque colonne: "Sud, il governo delude tutti". Poi, per chi non avesse capito, c'è quel fondo di Nicola Rossi, quello che piace a D'Alema, con un altro titolo sull'operato del governo che la dice lunga: "Si sperimenta per non fare". E per gli amanti del pettegolezzo c'è anche il corsivo in seconda pagina. Sempre sulla stessa linea...». A quel punto il volto del capo del governo si è fatto ancora più rosso. E il ministro del Bottegone si è beccato la stoccata finale a nome degli altri ministri della Quercia, di D'Alema, dell'«Unità» e di tutti i militanti del partito, inutile dirlo perché è sottinteso, l'unico a cui non erano rivolti gli strali del Professore era il fido Veltroni: «Se è questo quello che volete - ha detto il Capo del governo alzando la voce - gestitelo voi questo Paese. Dovete dirmi esattamente cosa volete. Ditemelo!... Altrimenti io non ci sto!». L'incidente ha reso nervosa l'intera riunione. E' saltata l'ipotesi di varare l'agenzia per il Sud che era stata data per sicura. E, colmo dei colmi, il presidente del Consiglio, che avrebbe voluto prendersi un po' di tempo, ha dovuto convocare la prossima riunione del governo per lunedì prossimo, dato che il giorno tradizionale dei Consigli dei ministri, cioè il venerdì, almeno per la prossima settimana è occupa¬ to dalla direzione dei diessini. Dell'atmosfera tesa ha fatto le spese come al solito una che non c'entrava niente, Rosy Bindi, che per aver detto una parola di troppo su altri argomenti è stata seppellita da una valanga di rimproveri. L'unico che ha cercato di gettare acqua sulla polemica - naturalmente, com'è suo costume, in privato - è stato Veltroni. Il vice di Prodi ha detto al ministro pidiessino, Angela Finocchiaro, che «Romano aveva qualche ragione di essere nero. Quello che è stato scritto è una cavoiata perché la vera polemica non è con il sindacato, ma con la Confindustria». In realtà Prodi ha usato l'«Unità» solo come alibi. Il punto vero è che al capo del governo non piace affatto questo riawicinamento tra D'Alema e Bertinotti, specie su temi delicati come l'occupazione e il Mezzogiorno. Per due anni il Professore è riuscito a tenere a bada il segretario dei diessini usando il leader di Rifondazione. Inutile dire, quindi, che le manovre a sinistra di queste settimane gli garbano poco. Tantomeno gli piacciono i discorsi che il segretario della Quercia va facendo in giro. Non apprezza che D'Alema definisca il suo «un governo dei tecnici». Non gli vanno giù quelle critiche velate che sottolineano l'assenza di «una svolta riformatrice» nell'azione del suo gabinetto. E, an- msmmtnu bb^ww* >» * cora, qualcuno gli ha riferito che D'Alema fa risalire anche al governo l'insuccesso elettorale del suo partito: «Ci sta logorando avrebbe detto - a poco a poco». L'«Unità» di ieri ha fatto traboccare il vaso. Il Professore ha voluto lanciare un segnale all'alleato. Ora, probabilmente, la scenata verrà dimenticata. In un modo o nell'altro Palazzo Chigi e Botteghe Oscure arriveranno a un'intesa sugli interventi per l'occupazione e sull'agenzia per il Sud. Dopo i risultati elettorali non certo esaltanti di queste settimane, e dopo che Berlusconi ha fatto saltare la bicamerale, i due galli dell'Ulivo hanno tutto l'interesse a ritrovare un «modus vivendi». Sotto la cenere, però, rimarrà qualche incomprensione o il rammarico di D'Alema per non essere stato aiutato in certi momenti. Ad esempio, tra le tante ipotesi che si erano fatte nelle scorse settimane per salvare le riforme c'era anche quella di un rimpasto di governo: era noto che lo volesse qualche esponente della maggioranza, meno noto è che serviva pure a recuperare un rapporto civile con l'opposizione. L'idea è venuta in mente al segretario del Ppi, Marini, che conoscendo l'avversione di Berlusconi nei confronti del ministro della Giustizia Giovanni Maria Flick, aveva suggerito di cambiare tre-quattro ministri e di affidare in questo valzer di poltrone il dicastero della Giustizia ad un esponente del Ppi. Un segnale al Cavaliere che, al di là di quello che teorizza in giro, continua a pensare solo alla giustizia. D'Alema non aveva detto di no, ma l'operazione, com'è noto, è stata bloccata da un veto rigido di Prodi. Almeno questo raccontano uomini della maggioranza e dell'opposizione. Vero o falso che sia l'aneddoto, un dato è certo: in questi mesi, al di là delle parole, il capo del governo non ha mosso nulla per aiutare il presidente della bicamerale. Ha vissuto solo - e sicuramente continuerà a farlo in futuro - nel sospetto. Augusto Zinzolini Veltroni ammette «Forse aveva qualche ragione per essere nero La vera polemica è con Confindustria non col sindacato»