Cantiere Palermo di Rocco Moliterni

Cantiere Palermo Scommessa sulla cultura: dalla Zisa alla Kalsa aUa Vucciria, così la città strappa i suoi gioielli al degrado Cantiere Palermo PALERMO DAL NOSTRO INVIATO Il seicentesco loggiato dell'ex ospedale di San Bartolomeo è un posto «magico»: domina il porto con le gru, i cantieri e le navi da carico, i quartieri della città vecchia con i palazzi diroccati e le cupole ramate delle chiese, la passeggiata barocca delle «cattive» (ossia le vedove, che non dovevano farsi vedere perché captivae, «schiave» del lutto) e il lungomare fitto di giostre e palme nane. Davanti hai il Monte Pellegrino, a destra ti puoi perdere cercando all'orizzonte il filo di fumo d'una nave che si avvicina. Sopravvissuta miracolosamente a bombe e terremoti, la facciata del loggiato di San Bartolomeo era parte del magazzino del vicino Istituto Nautico, pieno di vecchi tavoli da ping-pong, topi morti e scartoffie. Diciotto mesi fa l'allora assessore alla Cultura della Provincia, Ninni Sole, decise di restaurarlo per farne uno spazio cultUrale.t rispolverando un vecchio progetto del Comune. Tra ponteggi e odore di calce, oggi ospita (fino al 18|^ijtó6p) .la mostra'.«PalermoCittà^ Gabriele Basilico, uno fra i maggiori fotografi italiani, frutto di una intensa campagna di osservazione, non solo nel centro storico ma anche nei quartieri del cemento Anni 70 che lo accerchiano. «Palermo - dice Basilico - ha il benessere e la malattia che si accompagnano a una bellezza struggente, legata al passato, così come alle difficili contaminazioni tra storia « contemporaneità. Come altre città del Sud è ricca di presenze, di tesori che non riescono a convivere tra di loro, che vivono il disagio del degra do. E' un problema storico dei patrimoni artistici di molte città, che rende tuttavia la loro natura occul ta e affascinante». Il loggiato di San Bartolomeo è l'ultimo dei gioielli architettonici tornati a vivere con la formula «a cantiere aperto» che assessori, artisti e organizzatori culturali non si stancano di ripetere. E' la bacchetta magica che sembra aver accelerato, dribblando tempi morti e lentezze burocratiche, il recupero di palazzi musei e spazi culturali della città significa semplicemente che puoi fare uno spettacolo o una mostra anche tra impalcature ancora a vi' sta per dimostrare la volontà di «re stituire ai palermitani parti della loro città per troppo tempo abbandonate», come dice l'assessore alla Cultura della giunta Orlando, Francesco Giambrone. A rivendicare l'invenzione della formula è Michele Canzoneri, scenografo e pittore, anima dei Cantieri Culturali alla Zisa. Fino agli Anni 70 erano una «cattedrale del lavoro». C'erano le storiche Officine Ducrot, quelle che agli inizi del secolo producevano i mobili Liberty per le navi o per le ville dei nobili e che nel periodo di maggiori attività spremevano la fatica di 2300 operai. «Sei anni fa - racconta Canzoneri - il Comune decise di acquistarne una parte per farne magazzino. Tre anni fa Orlando mi chiamò e mi chiese un progetto per trasformare la Zisa in un'area di mostre e spettacoli. Accettai a una condizione, che si potessero utilizzare quegli spazi senza aspettare che i restauri fossero finiti, ossia "a cantiere aperto"». Così senza riscaldamento e solo durante le ore di luce naturale si tennero le prime performance e le .mostre. «Volevo uno spazio "precario" in senso giusto, sperimentale e mutevole proprio come un cantie re». Nacquero nelle vecchie officine la galleria bianca per mostre e seminari, lo spazio zero per il teatro e le arti visive, capannoni per la mu sica e i laboratori d'arte, E per deci dere le iniziative sta nascendo una commissione con intellettuali di va ri Paesi del Mediterraneo, fra i quali Yehoshua. «Ma il risultato più grande - dice l'assessore Giambrone - è che il recupero della Zisa ha coinvolto anche la gente del quartiere, i ragazzini che prima faceva no i giri in bicicletta tra le erbacce adesso ci vanno a studiare e magari guardano anche le mostre». E il coinvolgimento del quartiere, in quel caso una zona a «alta densità mafiosa» come la Kalsa, fino a qualche anno fa terreno abituale di scippi e rapine, ha segnato anche il recupero di un altro gioiello, Santa Maria dello Spasimo. Costruita nei primi decenni del '500, prende no me dallo «spasimo», ossia dalla smorfia di dolore che Maria fece alla vista del figlio sofferente sotto il peso della croce (una smorfia fermata da Raffaello in un celebre quadro commissionato nel 1516 proprio dai monaci palermitani, og gi al Prado di Madrid). Nel corso dei secoli lo Spasimo è stato di volta in volta lazzaretto per gli appestati, teatro d'opera, magazzino granario, sifilocomio. Persa, oltre al quadro di Raffaello, anche la volta della navata centrale, era ridotto a un rudere: tra rampicanti e alberi vi si accumularono senza criterio capitelli, portali e macerie dell'ultima guerra. Il recupero s'è iniziato nell'88, nel '95 la struttura ha riaperto i battenti, nei lavori sono stati coinvolti disoccupati della zona e pare non ci siano più scippi: tra le navate che hanno il cielo per tetto (e chi è stato, magari in una notte di luna, a San Galgano in Toscana o alla Chiesa do carmo di Lisbona sa quali brividi possano dare) ospita mostre e rassegne e anche sposini che vanno nottetempo a farsi la foto di nozze, come si intuisce guardando le vetrine dei fotografi e dei negozi di bomboniere che costellano corso Vittorio Emanuele nel cuore della città. E i tentativi di far rinascere questo cuore, un quadrilatero di 240 ettari forse unico al mondo - con 158 chiese, 55 conventi, oltre 400 palazzi nobiliari e 7 teatri -, sono stati inventariati in un volume di 350 pagine, edito dal Comune, che il vicesin¬ daco Emilio Arcuri mostra con orgoglio. «Quello che abbiamo fatto negli ultimi anni - spiega - è stato soprattutto cercare di non perdere tempo. Non importa se una struttura come il loggiato di San Bartolomeo è del Comune o della Provincia o di privati, quello che conta è che se c'è un progetto di recupero questo vada avanti in fretta». E le parole di Arcuri fanno venire in mente quelle di un giovane scrittore palermitano, Roberto Alajmo: «Se vivi in un posto dove ti sparano impari a muoverti velocemente». Che non siano tutte rose e fiori e che ci sia ancora molto da fare, nonostante i cospicui investimenti (quasi 600 miliardi tra fondi europei, statali, regionali e comunali), si capisce però passeggiando proprio nel centro storico tra viuzze e palazzi fatiscenti, che mostrano ancora, a più di 50 anni di distanza, le ferite dei bombardamenti dell'ultima guerra. E non è solo lo smog che avvolge i Quattro Canti, la croce formata da via Maqueda e via Vittorio Emanuele, o le imposte sbrindellate degli edifici di fronte al Palazzo delle Aquile, sede del Comune, non ancora restaurati. «Manca¬ no a Palermo - dice Enzo Sellerio, fotografo e editore - le maestranze all'altezza della situazione. Come una persona può essere distrutta da un elogio eccessivo, così una città può essere distrutta da una costruzione più che da un bombardamento. Non tutto quello che si fa mi persuade. Comunque a rovinare Palermo sono stati gli architetti e le automobili, pensi solo a via della Libertà, quella che agli inizi del secolo qualcuno definì la più bella strada del mondo se si eccettua il Canal Grande». E non mancano le polemiche: ad esempio proprio il restauro della Loggia di San Bartolomeo è stato contestato dagli insegnanti del Nautico che lì vorrebbero farci il Museo del Mare, il criterio del «cantiere aperto» applicato al Teatro Massimo ha fatto storcere il naso a molti melomani. Ma si percepisce comunque una ventata di attenzione e sensibilità verso la propria città da parte di una società civile, per troppo tempo sonnacchiosa. Così ad esempio ci sono oggi intellettuali che firmano petizioni per il recupero della Vucciria, il mercato simbolo della città immortalato da un celebre quadro di Guttuso, e nascono associazioni culturali, come l'«Eva Kant» o «Le Nuvole incontri d'arte», per allestire mostre e spettacoli negli spazi recuperati, c'è chi si dedica - è il caso di Beatrice Monroy e del suo gruppo - alla ricerca sui santi dimenticati (Benedetto il Moro primo patrono della città). E se alcuni - vedi Werner Eckl - allestiscono spettacoli post-moderni, definendoli «viaggi mentali da Palermo a Palermo, sul filo del 38° parallelo», altri si danno da fare perché tornino a vivere teatri abbandonati come il Bellini. Insomma, la rifioritura culturale non cancella i problemi drammatici della città, dalla disoccupazione alla mafia, ma forse aiuta a combatterli. Rocco Moliterni Una panoramica di Palermo. Qui sotto il loggiato di San Bartolomeo, a destra Giuseppe Tornasi di Lampedusa e un palazzo degli Anni 70 fotografato da Gabriele Basilico