Sicilia-Canada-Svizzera Ecco la via del riciclaggio di Francesco Grignetti

Sicilia-Canada-Svizzera Ecco la via del riciclaggio KEI KV9VCHH IL DENARO CHE SCOTTA Sicilia-Canada-Svizzera Ecco la via del riciclaggio PALERMO DAL NOSTRO INVIATO Era un riciclaggio all'antica, questo che è venuto alla ribalta con l'ultima inchiesta della procura di Palermo sul conto dell'on. Gaspare Giudice. A scorrere le carte, emerge una vecchia storia che risale al 1980-84, quando il deputato di Forza Italia era uno sconosciuto direttore di banca, agenzia di Termini Imerese della SicUcassa, e apriva libretti su libretti con nomi floreali, ma con soldi terribilmente concreti che - racconta più di un pentito - gli portavano i picciotti di Pippo Calò. Cinquanta milioni a settimana: sempre a stare alle parole del collaboratore di giustizia, finivano in antiquariato inglese, appartamenti a Tenerife, posti barca sulla Costa Smeralda. Risalendo a epoche più recenti, i sospetti della procura investono le piccole società di nautica da diporto (charter per turisti, abbigliamento da barca, compravendita di imbarcazioni) dove il deputato forzitalista era amministratore, pare in accordo con il boss Pietro Vernengo. Ma i fatturati sono quelli che sono. E difficilmente si può immaginare un gran volume di riciclaggio. Conclusione obbligata è che l'on. Gaspare Giudice, se il tribunale lo riconoscerà colpevole, sarà pure stato un astro nascente in politica, ma era un pesce piccolo del riciclaggio. Perché il riciclaggio di Cosa nostra, quello vero, di un certo livello, e parliamo di miliardi a settimana se non al giorno, segue altre strade. Gli investigatori palermitani ne hanno un'idea assai precisa. Potrebbero scrivere anzi un manuale sul «perfetto riciclatore mafioso». Capitoli ipotetici: Deposito estero su estero, Compensazioni, Sovrafatturazione e sottofattura zione, Società fittizie, Prestiti e mutui di piacere. Roba da commercialisti. Sono fi niti infatti i tempi degli spalloni che portavano zaini pieni di lire dalla Svizzera. Sono al termine anche gli investimenti in terreni, abitazioni e esercizi commerciali. Cose solide che lasciano tracce, magari poi scattano i sequestri e le confische Le quali confische, comunque, sono sempre pochissime. E ha ragione a lamentarsi don Ciotti sulla minima applicazione della legge 190, quella sull'affidamento alle associazioni benefiche di beni dei mafiosi. Ma tutto questo è il passato. La globalizzazione dei flussi di capita le è il futuro. «Tutti i grandi boss, da Riina a Calò, a Madonia, pensiamo che abbiano i soldi all'estero su conti cifrati. In pratica è impossibi le trovarli», ammette francamente Guido Lo Forte, procuratore ag giunto. Il meccanismo è chiaro da tempo. Cosa nostra vende grandi partite di eroina ai cugini della mafia americana. Quelli si preoccupano dello smercio al dettaglio. Ne ricavano valigie piene di dollari di taglio piccolo, 5 e 10 dollari. Queste valigie quotidianamente finiscono allo sportello di qualche banca compiacente, per lo più in Canada. Un banale versamento. Solo che sono soldi sporchi di morte. Il banchiere in questi casi chiude un occhio: incamera il capitale e prepara un bonifico per la Svizzera. Lì c'è un conto corrente cifrato che attende. Secondo passaggio, in un altro conto corrente cifrato per la cosca siciliana. E gli americani escono di scena. Resta il problema di cosa fare di questi capitali. La maggior parte, secondo gli investigatori italiani, non si muove affatto dalla Svizzera. E' lasciata a fruttare, al sicuro da ogni indagine bancaria o spifferare di pentito, mescolata a altri miliardi di franchi svizzeri, marchi, dollari, sterline. Una minima parte, invece, torna in Italia. E qui entrano in gioco le società. Imprese straniere che com¬ preranno al triplo del valore qualche merce italiana. Imprese italiane, in genere qualche ditta che già vende molto oltre frontiera, che fanno figurale super-incassi. La differenza andrà agli intermediari di Cosa nostra, che da bravi professionisti fattureranno anche loro quanto incassano sotto la voce cessione di servizi o di merci. Ed è fatta. Tutti hanno una pezza d'appoggio. I bilanci sembrano regolari. Persino le tasse vengono pagate fino all'ultima lira. Il giochino è perfetto. Una certa quota resta all'imprenditore per il disturbo. Cosa nostra ottiene i suoi soldi per le necessità immediate. Che sono in forte crescita. L'apparato della mafia ha infatti un costo di esercizio elevato tra stipendio per i «soldati», contributo ai carcerati, mensile alle famiglie, affitto di appartamenti, mantenimento dei latitanti, spese legali, lussi dei capi. Occorrono miliardi: molto arriva dal racket, il resto dall'estero. E non c'è segugio che possa scoprire irregolarità nel flusso del riciclaggio a meno che non ci sia la soffiata giusta. Racconta ancora Lo Forte: «Abbiamo individuato un'impresa di rilievo nazionale che passa in banca tutte le settimane e fa ritirare un miliardo in contanti. Singolare procedura. Non c'è nessuna ditta che abbia bisogno di così tanti spiccioli. Ma non abbiamo la prova che quei denari finiscano alla mafia». Il fatto è che da un punto di vista documentale, tutto è a posto o quasi. Se poi la Finanza individua un falso in bilancio, l'imprenditore si trincera dietro la versione più comoda. «L'ho fatto per evadere il fisco». Reato fiscale, reato minore. Una multa, un condono o un'amnistia. E l'inchiesta finisce nel nulla. «Ecco, se posso fare una considerazione sociologica - dice ancora Lo Forte - la cosa più preoccupante è questa continua pressione della criminalità organizzata sul mondo dell'imprenditoria perché, volente o nolente, si presti a trasferimenti di soldi dall'estero. Gli intermediari di Cosa nostra, mai un killer avrebbe un compito del genere, sono professionisti insospettabili. Propongono l'affare. E siccome c'è un reciproco interesse, si trova troppo facilmente qualcuno ben disposto». Francesco Grignetti

Persone citate: Calò, Gaspare Giudice, Guido Lo Forte, Lo Forte, Madonia, Pietro Vernengo, Pippo Calò, Riina