Basilea, al supermercato dei musei di Marco Vallora

Basilea, al supermercato dei musei In un trionfo di Balthus, Morandi e Kandinsky si è aperta ieri la fiera d'arte più importante del mondo Basilea, al supermercato dei musei Ma il ritmo delle tendenze è rapido come sfilate di moda E BASILEA tutti a dirsi, come per una scappellata cinese d'inchini e salamelecchi, incontrandosi nel como¬ dissimo, arioso, ma massacran te labirinto della Messe di Basi lea, una sorta di Fiera di Mila no, stipata di arte e simil-arte: «Ma certo, la più importante al mondo, neanche l'America...», con sottintesi ed ammicchi. Perché l'Art Messe di Basel, un po' di ritualità sacraleggiante, un odore di mirra, dollari e trementina, pur sempre con sé se la trascina. Ma è vero che appena entri in questa 29° edizione '98, che s'inaugura oggi fino al 15, ti pare di esser finito in un museo di quelli proprio scelti. Balthus, Nolde, Kandinsky, De Kooning luminosi ad ogni passo e naturalmente Bauschenberg, Morandi, Cornell. Come niente fosse: e che qualità! Bacon con pedigree lunghi come uno strascico di sposa e un gigantesco Scherano di Hodler che sta già marciando verso un sicuro museo. Anzi, ti stupisci che al mondo ci siano tanti «musei» così ancora in vendita. Con splendidi disegni «matissiani» di Hockney vicino, casualmente vicino agli stessi «esercizi grafici» del maestro francese che potrebbero averlo influenzato, una Nonna di Vuillard che sembra aver rubato il mestiere a Seurat. Una vera scuola dello sguardo. E sarà che alla vernice contenutissima per i critici, poca folla e rispettoso silenzio, non si direbbe nemmeno una fiera. Anche se come saette, ogni tanto partono sibilanti elastici di cifre interminabili di zeri, dollari o marchi, apparentemente virtua li, non c'è atmosfera di baratto o mercato. Si flauta piuttosto di tonalità guardando un miracola to piccolo Juan Gris o della sa pienza grafica di un tempestato micro-Wols, si sorvola sulla stanchezza di certi ultimi War hol, della serie per esempio degli Omaggi a de Chirico, ma si riconosce che forse è meglio buttarsi su certe sue rare fotografie, che corteggiano Grace Jones come Burroughs lo scrittore, o autoscatti dell'Artista come Biondissima Puttana e allora vien da dire, come le zie di Longanesi: «Ah, se avesse scelto subito quella strada, quanti guai in meno ci avrebbe arrecato». Ci sono gli artisti in crescita di favore come Torres Garcia o Chillida, ma anche gli italiani come Carol Bama, altri in picchiata, soprattutto qualitativa come Schnabel o Alex Katz, e quando dalle vette dei Picasso o perfino degli Afro si inciampa in qualche transavanguardista (sempre meno, qui, in verità) si ode come un tonfo imbarazzante, come se dietro di te fosse cascata la nonna. Ma ci sono anche le sorprese come le pecore neo-realiste di Moore 1972 o Cattelan che si dà alla pittura mistica, vedere per credere. Ma soprattutto ci sono delle vere sezioni monografiche, che ci sogneremmo noi in certi silenti musei italiani: come il rastrematissimo Ben Nicholson da Jacobson o il Carnet Dinand di Picasso da Krugie (che non si sa quanto più abbia preso o dato a Giacometti) il pur deludente ultimo Boterò della Marlborough o la fragile tardiva Meret Oppen¬ heim, dal surrealismo annacquato. E poi una curiosissima rassegna di Le Corbusier pittore, pochissimo purista, niente Ozanfant, e molto sedotto dal surrealismo plastico di Giacometti. Oppure, dallo Scudo di Verona, il concerto elegantissimo di bianchi e acciaio metafisici, tra Fontana, Burri, Morandi. Ma come sempre succede, quando si passa dall'arte del Novecento classico alle tendenze contemporanee, la caduta di tensione e di qualità è lampante, misurabile. Come nella Camera numero 6 di Buzzati, più si sale fisicamente verso i piani alti della giovane creatività, più si cade nell'abisso della ripetitività, della scarsa fantasia. Meglio allora non guardare, esausti, dalle finestre: quel palazzo diroccato di fronte, grondante fanghiglia e lagrimante infissi in sfacelo come uno Stalker di Tarkovskij, rivela nella sua casualità delabré un fascino che l'arte d'oggi non sa più raggiungere. Se come sempre si dovesse giocare il vaticinio delle prossime tendenze, ci si rende conto come ormai il ritmo dell'arte abbia davvero preso l'andazzo delle sfilate di moda. Quest'anno va meno di moda il sesso, a parte qualche blasfema croce fallicofosforescente, mentre resiste la tendenza al gigantismo-shock. Con un voluminoso disco volante del belga Panamarenco, che pare un cappello da esploratore e invade soffice gli stand. 0 l'uovo vorace di Hemmert, una specie di Gabibbo alla Yves Klein, che si divora tutto quanto trova dinanzi a sé, che sia una scala, un bambino terrorizzato o un sacchetto con effigie di Vermeer: l'arte che diventa cannibale. Molto à la page anche l'uovo sbattuto con forchetta di Concha Prada, che pare un'enorme onda gialla di surf che investe la fotografia come un ceffone. Con quel nome che pare un destino, la Prada conciata così bene, ha un futuro dinanzi a sé. E che titolo cervantino: Huevos Batidosl Un po' in calo, invece, il gusto Post-Human, salvo l'autoritratto gonfiato come un pallone di Tim Hawkinson o i fettoni a mongolfiera di Edward Lipski, mutanti obesi. E invece di infliggere tatuaggi alla Opie o cattiverie anatomiche alla Orland, il ticinese Damele Buetti si limita a marchiare con la sigla Vuitton le sue modelle, ma trattando soltanto clementemente la foto. Avvisagli di arte interattiva: tu telefoni ad una mutante calva fotografata e lei reagisce rispondendo sì o no. Ma non saprai mai se ti parla davvero o se ti risponde, meccanicamente, programmata come un computer. Marco Vallora In crescita Carol Rama, in picchiata la transavanguardia In crescita Carol Rama, in picchiata la transavanguardia

Luoghi citati: America, Basilea, Verona