KOFI ANNAN Le donne salveranno il mondo

KOFI ANNAN Le donne salveranno il mondo Intervista con il segretario generale delle Nazioni Unite: libri e computer per insegnare la tolleranza KOFI ANNAN Le donne salveranno il mondo ENEW YORK RA l'anello mancante del sistema legale internazionale». Così Kofi Annan definisce l'International Criminal Court», il Tribunale, che verrà istituito dopo la conferenza di Roma, dove per cinque settimane i delegati di 150 dei 185 Paesi rappresentati alle Nazioni Unite si riuniranno alla Fao. «Questo tribunale manderà anche un messaggio preciso in giro per il mondo», continua con la voce calma e profonda il settimo segretario generale dell'Onu, «e cioè che l'impunità non sarà più tollerata. Chi commette crimini contro gli esseri umani, sarà considerato responsabile». Annan è in partenza per Roma dove va ad aprire i lavori della Conferenza il 15 giugno. Mi riceve nel suo studio al 38° piano del Palazzo di vetro, che si rispecchia sull'Hudson, proprio all'altezza di Roosevelt Island. Il suo calendario è serrato. Ha appena finito la riunione del mercoledì mattina con i sottosegretari di New York e del mondo via interphon. E dopo di me riceverà Marc Forné Moine, il presidente di Andorra. Da quando è arrivato, il 1° gennaio del 1997 (il suo mandato scadrà il 31 dicembre 2001), Annan sta facendo un lavoro capillare e silenzioso per riorganizzare e smaltire la leggendaria burocrazia, che impedisce all'Onu di passare rapidamente dai programmi all'azione. «Viviamo in un'epoca nuova, che chiede ad alta voce un nuovo modo di procedere», sottolinea con la semplicità e la determinazione che gli sono tipiche. Sforzi comuni, morbidezza di interventi, tutela della pace e dei diritti degli uomini, progresso e tutela dell'ambiente sono i temi della riforma, che ha annunciato il 16 luglio dello scorso anno. Per attuarla vuole strutture agili, sinergie, vasi comunicanti. E soprattutto ha un'idea fissa: «Quello che facciamo oggi diventa parte di noi domani...». Lei è un incorreggibile ottimista. Lo ammetto, ho un pessimo ca rattere. Ma penso che senza ot timismo, speranza, pazienza < persistenza, sarebbe impossibile fare il lavoro che faccio. Queste attitudini mi hanno molto modi ficato. 20 anni fa ero una persona differente. Ma sempre molto determi nato. Diciamo che mi concentro su quello che faccio. In che modo ricarica le sue energie? Stare nella natura è quello che mi piace di più. Fare una lunga camminata nella foresta, sulle montagne, vicino al mare, o anche nel deserto, da solo o con mia moglie Nane. Certo, in que sti giorni non mi è facile rag giungere questi posti. Non posso più fare le mie dodici miglia nel bosco. E allora? Se sto lavorando a colto della musica classica, de) jazz. Legge? Moltissimo. Non sempre quello che piace a me. In passato ho letto moltissime biografie di donne e uomini famosi. Mi piaceva scoprire il contributo che hanno dato alla storia. Adesso, invece, sto leggendo Ali the Pretty Horses di Cormac McCarthy. In questo Paese si parla tanto di «Education». L'Onu che programmi ha? L'agenzia delle Nazioni Unite che è impegnata quotidianamente su questi temi è l'Unesco, che non solo si occupa di istruzione, ma anche di pace. Ha un ottimo programma chiamato «La Cultura della Pace», a cui partecipano con le loro esperienze persone di gruppi etnici differenti. Ma oltre a questo penso che tutti noi dalla World Bank alla Undp (United Nations Developement Program), e chiunque è coinvolto nella lotta contro la povertà, ci stiamo occupando intensamente sia del problema della salute che dell'istruzione, soprattutto delle ragazze e delle donne. Educare veramente le donne vuol dire molto per la società. Perché lei parla di ragazze e non di ragazzi? Perché in parecchie società dei Paesi in via di sviluppo le ragazze sono svantaggiate. Il nostro scopo è riuscire a mandarle a scuola, esattamente come i maschi. Portarle insomma allo stes- so livello. Qual è l'istruzione ideale per le nuove generazioni? Ho la sensazione che stiamo andando a grandi passi verso un mondo interdipendente, che potremmo descrivere come un «Villaggio Globale». Dovremo insegnare ai bambini a pensare con una mentalità più intemazionale, più ampia e profonda. Cosa intende? Che dovranno imparare la tolleranza, il rispetto per la diversità, capire, quando crescono, che se vogliono risolvere i problemi dei loro Paesi devono lavorare insieme agli altri. Ma per farli camminare in questo nuovo mondo, dobbiamo dare loro le basi, insegnare le lingue prima di tutto, ma anche il rispetto per le altre culture, la tolleranza e la comprensione che non si può più pensare in termini individuali. Libri e computer. Penso ci sia bisogno di entrambi. I ragazzi devono usare le tecnologia, ma ricordare sempre che è uno strumento. Per gettare le basi ci vogliono i libri e purtroppo oggi la gente non legge abbastanza. Siamo più concentrati sulle immagini, la televisione, i film. Se, invece, insegniamo ai bambini la gioia di leggere un libro in silenzio, il piacere di stare soli con se stessi, diamo loro una grande forza. Invece ho la sensazione che i genitori spingano i figli a socializzare e a perdere quei momenti di solitudine, che permettono ad ognuno di entrare a contatto col proprio io, con la propria natura. Quando fa una trattativa è concentrato sul suo scopo o si mette anche nei panni del suo interlocutore? Bisogna sapere chi si ha davanti, cercare di capire cosa riuscirà a farlo spostare dalla sua posizione, quali sono gli elementi chiave, e cosa è importante per lui. Nello stesso tempo devi avere ben chiaro dove vuoi arrivare. Certo se si ha comprensione per l'altro il compito è più facile perché nelle trattative non si deve mai umiliare il proprio interlocutore. Ha usato questa tecnica anche con Saddam Hussein? Saddam Hussein non è un uomo facile da leggere. E non usa molto le mani. Mi aspettavo che mi accogliesse in uniforme, e invece aveva un vestito blu. I suoi ministri erano in uniforme, ma lui in abiti civili. Il che già mi diceva qualcosa. Dopo un'ora di trattative con tutti i vostri assistenti, quella domenica del 22 febbraio scorso lei gli ha chiesto un incontro a due. Era sicuro che fra voi due da soli, come esseri umani, avrebbe potuto esserci un aggancio? Abbiamo avuto bisogno di un interprete, perché io non parlo l'arabo e lui non parla l'inglese. Da soli, comunque, ho capito, si stabilisce un contatto più onesto. Siamo tutti uomini: qualche volta tendiamo a recitare davanti a una platea, a chiederci cosa pensa la gente di noi, come reagisce a quello che diciamo. Questo può bloccare la comunicazione e le trattative. Mentre a due si è più veri, più liberi. E' stato così? Beh, qualsiasi cosa sia accaduta, siamo giunti a un accordo. Al successo di questi negoziati contribuiscono tanti fattori: la capacità di persuadere, di captare al volo, il tempismo, quando spingi verso la tua direzione, ma anche l'intuizione, la fortuna. La combinazione di tutto questo fa funzionare la cosa. Non si può razionalizzare perché in queste situazioni delicate ci sono in gioco troppi fattori. Non puoi dire a te stesso: «Sei il migliore negoziatore del mondo». Quando, appena finito l'incontro di Bagdad, Christiane Amanpuor della Cnn mi ha chiesto all'aeroporto: «Come ci è riuscito?», le ho risposto: ci sono cose nella vita che uno non dovrebbe mai riuscire a spiegarsi. Non c'entra niente, ma il mondo e l'Italia, soprattutto, sono curiosi di sapere come andrà a finire la storia dell'amphamento del Consiglio di Sicurezza. Lei cosa pensa? Penso che se ne devono occupare gli Stati membri delle Nazioni Unite. Lascio a Cesare quel che è di Cesare. Fiamma Arditi «Bisogna che i giovani leggano in silenzio, stando soli con se stessi: acquisteranno una grande forza» «Mi piace camminare nella natura, amo la musica classica, il jazz. E ho anche un pessimo carattere» «nliuBcfnvNbCl

Luoghi citati: Andorra, Bagdad, Italia, New York, Roma