La sfida di don Masino

La sfida di don Masino RETROSCENA IL DRAMMA DB BUSCETTA La sfida di don Masino In Italia, ma per farsi curare CROMA OME definire il Tommaso Buscetta che ricompare in mi'aula di giustizia dopo la lunga assenza seguita al «megashow» del processo Andreotti? Gli anni passano, l'uomo appare ogni volta più curvo su se stesso. La voce non ha perso la caratteristica modulazione suadente dell'uomo d'onore che non alza il tono per rispetto degli interlocutori. Eppure non è la stessa di sempre. I tempi di riflessione sembrano dilatarsi. Don Masino non aveva opposto obiezioni a presentarsi di persona davanti alla Corte che dirige il processo per gli omicidi di Domenico Balducci, esponente altolocato della cosiddetta banda della Magliana, e di Giovanbattista Brusca, cognome illustre ma che nulla ha a che fare con i «bravi ragazzi» di San Giuseppe Jato. All'ultimo momento, però, deve essere arrivato un contrordine, visto che si è optato per la videoconferenza, malgrado don Masino si trovasse dentro il bunker di Rebibbia. Si è arrivati al paradosso di «collegarsi» via cavo con Buscetta che si trovava proprio nell'aula accanto a quella dove si svolgeva il processo. Misteri della tecnologia giudiziaria. L'ex boss, ripreso di nuca, offriva la tradizionale sagoma; le spalle un tempo larghe fasciate da una maglietta (o camicia?) blu, i capelli lunghi e ricci fino a coprire il colletto. Se l'è cavata bene anche questa volta, seppure disturbato dal «ritorno di voce» male inevitabile della videoconferenza • che impone risposte di¬ latate nel tempo per scongiurare contrapposizioni. Buscetta parla, risponde al pubblico ministero. La sua pignoleria è quella di sempre, quando cerca di tenere ben distinte cose vissute, cose sentite e cose sapute di terza mano, magari dal tamtam carcerario. Trova il modo di polemizzare garbatamente con il pm, Silverio Piro, che pretende piena rispondenza coi verbali scritti in istruttoria. Quando il magistrato gli rilegge, ai fini di una contestazione, un vecchio interrogatorio, don Masino bisbiglia: «Mi perdoni, dov'è la contestazione se abbiamo detto le stesse cose?». Che dire, dunque, di questo Buscetta? Certo, è attento come sempre. Quando risponde dà l'impressione di sapere di cosa si sta parlando. Persino i moti di impazienza sono quelli di sempre. Però c'è qualcosa di diverso in questo Buscetta. Stanco? Può darsi, anzi quasi certamente dopo quattordici anni di processi. La malattia, ovviamente, si fa sentire e non lo aiuta in questa stagione di decimo. Vinto, dunque, don Masino? No, semmai distaccato. Ecco, parla della sua vita come di un film. Si è affievolita la voglia di partecipazione. Dà l'impressione di un uomo cosciente della propria sorte. Sa di essere in competizione con una malattia più forte della sua volontà. Ha sperimentato sulla propria pelle la devastazione della chemioterapia. Da più di due mesi si trova in Italia alla ricerca di un rapporto «più umano» coi medici. E quando di¬ ce «umano» si riferisce all'atteggiamento degli specialisti statunitensi, forse troppo abituati a considerare i pazienti più corpi che anime. Per questo don Masino è venuto a curarsi in Italia, per «fottere» la malattia che vorrebbe catturarlo in terra straniera. Di una cosa si può essere certi: Buscetta vuole tramontare in Italia. Ma ciò non coincide col «bene» della sua famiglia. La moglie e i figli stanno meglio negli Stati Uniti. I suoi ragazzi hanno più avvenire in una terra dove si potranno mimetizzare tra milioni di persone. Già, i figli maschi. Non sono ancora in grado di provvedere a se stessi. «Finché sono vivo - confida don Masino a qualche amico - li potrò assistere, anche nel problematico rapporto con le autorità che dovranno garantirne la sopravvivenza. Ma se muoio? Chi ci pensa? Mia moglie è troppo sola». Continua a rispondere alle domande del pm, don Masino. Poi a quelle degli avvocati. Il suo «distacco» diviene evidente quando si riaccende l'annoso scontro con Pippo Calò. All'avvocato Franco Marasà, che gli chiede se ha avuto astio nei confronti di Calò, risponde: «L'ho avuto, ma ora non ce l'ho più». Ha rimosso, don Masino, il «tradimento» del suo ex capofamiglia che gli fece uccidere Nino e Benedetto, i figli maschi avuti dalla prima moglie. D'altra parte ha rinunciato all'odio persino quando ha saputo, nel pieno di un confronto, che quel colpo al cuore glielo aveva inferto Totò Cancemi, oggi schierato dalla parte degli ex mafiosi pentiti. Sì, è proprio distaccato l'atteggiamento di Buscetta. Una freddezza che può venire da una routine lunga ormai quindici anni, ma può trovare radici nella evoluzione della storia recente. Tommaso Buscetta è vittima della sindrome del braccato. Ha sfidato la vendetta di nemici dalla memoria elefantiaca. Sa che non rinunceranno, quando sarà venuto il momento, a chiudere un conto mai estinto. Braccato dal male e dai nemici, senza certezze. Anzi con qualche.delusione, espressa a pochi intimi, per «come vanno le cose» nella lotta alla mafia. Lui l'aveva detto che certi argomenti era meglio non prenderli, così ora non gli resta che tentare di arrivare alla meta «a modo suo». ■ Francesco La Licata La voce è sempre la stessa, come la sua pignoleria Ma lui appare ogni volta più curvo Da due mesi cerca un rapporto più umano coi medici E' devastato dalla chemioterapia Sopra: Tommaso Buscetta, il primo pentito di Cosa Nostra è tornato in Italia per deporre al processo contro la banda della Magliana

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