Da pentito a sicario di Fulvio Milone

Da pentito a sicario Da pentito a sicario Non era più protetto ha ucciso due volte NAPOLI. Escluso dal programma di protezione dei pentiti per una banalissima infrazione, si è ritrovato tra le braccia del clan che lo ha messo con le spalle al muro: «O ritratti le accuse e torni a uccidere o sei morto». Così lui, Vincenzo Reder, da collaboratore di giustizia si è trasformato in sicario, e ha ammazzato due persone. Ieri ha varcato l'ingresso del carcere, questa volta trattato da camorrista e non più da pentito. Ma il gip che ha firmato l'ordine di custodia cautelare, Domenico Zeuli, critica senza mezzi termini «una decisione singolare che ha costretto l'indagato a riprendere contatto con gli ambienti malavitosi». A mettere nei guai Vincenzo Reder è stato un cellulare, o meglio una card che il pentito sottoposto al programma di protezione ha acquistato mostrando il suo vero documento d'identità, invece di quello con il nome di copertura: un atto di ingenuità, ma comunque una violazione del «contratto» stipulato con lo Stato. L'ex camorrista è stato immediatamente escluso dai benefici previsti dalla legge sui collaboratori di giustizia, e da un momento all'altro si è trovato senza più copertura nè soldi per tirare avanti. Non gli è rimasto che tornare a Napoli, la città in cui è nato e cresciuto all'ombra della camorra. E la camorra non ha perso tempo. Avrebbe potuto vendicarsi uccidendolo, ma la sua strategia è più raffinata. I vecchi amici hanno agganciato Reder e gli hanno detto: «Se vuoi il perdono del boss devi ritrattare le confessioni che hai reso davanti al magistrato e dimostrarci la tua fedeltà». Come? Tornando a sparare,"naturalment0?jS,*| Reder, pentito di essere stato un pentito, costretto secondo il giudice«a chièdere ai camorristi quella prptezione che lo Stato gli aveva revocato», ha accettato. Il 21 ottobre dell'anno scorso, con sei complici, ha teso un'imboscata a Giuseppe Varriale e Raffaele Galliano, due «guaglioni» di un clan rivale crivellati dai proiettili sulla tangenziale di Napoli. Ieri, gli arresti. Vincenzo Reder e gli altri sono stati ammanettati e portati nel carcere di Poggioreale. Ma lui, l'ex pentito, ha voluto subito parlare al magistrato. Ha confessato il delitto e spiegato il perché del suo ritorno nelle braccia della camorra. Nell'ordinanza di custodia cautelare, il giudice per le indagini preliminari usa parole dure: la sospensione delia protezione ha prodotto «effetti perversi» perché ha costretto Reder a imboccare un vicolo cieco. «Il crimine - conclude il gip - appare dunque una conseguenza diretta, non voluta ma sicuramente addebitabile alla mancata prosecuzione della protezione dovuta a una circostanza banale e di rilievo minimo». Non nasconde le sue perplessità nemmeno il procuratore nazionale antimafia Piero Luigi Vigna. «Un po' tutte le direzioni distrettuali antimafia segnalano una gestione burocratica e formale dei collaboratori». Ma dalla commissione per l'applicazione dei programmi di protezione arriva una precisazione: «Oltre ad avere acquistato la carta telefonica a suo nome, Reder si è allontanato più volte senza preavviso dal domicilio protetto e ha avuto litigi violenti con la moglie». Fulvio Milone

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