TOGLIAMO IL REFERENDUM di Luigi La Spina

TOGLIAMO IL REFERENDUM PRIMA PAGINA TOGLIAMO IL REFERENDUM prospettiva: il rafforzamento del bipolarismo attraverso la legge elettorale per le politiche. I partiti hanno manifestato clamorosamente la loro incapacità non solo a un'intesa che non sia strumentale rispetto ai loro immediati calcoli elettorali (vedi il testo della riforma votato inopinatamente in Bicamerale), ma addirittura ad arrivare a un qualsiasi accordo. Ecco perché, a questo punto, come negli ultimi anni è capitato più volte, tocca alla società civile attraverso l'uso del referendum sbloccare il sistema, costringerlo all'autoriforma, sventare n rischio di una vera e propria restaurazione gattopardesca. Così come, nel giugno '91 la riduzione delle preferenze, una apparentemente modesta riformetta, aprì la strada a un ricambio di classe dirigente straordinario nella storia della nostra Repubblica, ricambio che si estese e si consolidò in chiave bipolare con il successivo referendum dell'aprile '93 sul sistema maggioritario per il Senato. Anche adesso, davanti alla proposta avanzata da Segni e «sponsorizzata» da Di Pietro, quella di abolire la quota proporzionale del 25 per cento nel sistema elettorale, le obiezioni possono essere comprensibili. A questo proposito, forse il suggerimento di Passigli, quello di eliminare il cosiddetto «scorporo», è, dal punto di vista politologico, più corretto e tecnicamente più efficace. Se si ricorda, però, che la legge che istituisce il referendum, in Italia, è solo abrogativa e quindi costringe ad acrobazie lessicali e logiche per trasformarla in pro¬ positiva, si può capire come il valore di questi segnali, come quello ancora di Segni nel lontano '91, valga come ammonimento per la classe politica più che come proposta concreta. Sono segnali essenzialmente politici che ricordano come i cittadini italiani, in questi casi, non abbiano la tentazione di «andare al mare». Così come invitò Craxi, appunto nel lontano '91, una frase che manifestò il vero distacco del leader socialista dalla politica italiana. Prima ancora del suo concreto «esilio» tunisino. In realtà, fuori dalle ipocrisie pseudotecniche, dagli scrupoli antiqualunquisti, dalle gelosie partitocratiche, il vero problema politico di questo referendum è l'ingombrante testimonial, l'ex pm Antonio Di Pietro. Molti di coloro che vorrebbero firmarlo, che vorrebbero propagandarlo temono di costruire inconsapevolmente il più formidabile trampolino di lancio per un personaggio il cui ingresso in politica ha suscitato fondati sospetti. I comporta- menti dell'ex magistrato, poi, con i rischi di demagogia e di cesarismo insiti nel suo carattere, nella sua cultura, nella sua ideologia, hanno alimentato in questi anni una diffidenza in vasti settori dell'opinione pubblica che obbiettivamente costituisce un fardello pesante per il successo del referendum Segni. D'altra parte, è anche vero che la sua popolarità, l'effetto trascinante del suo attivismo propagandistico, sono un propellente indispensabile prima per il raggiungimento del quorum di firme e, poi, per sperare in un esito positivo della consultazione. A questo punto, l'unica soluzione yer uscire da un apparente stallo della politica italiana, è quella di togliere a Di Pietro il monopolio pubblicitario della proposta, ricordando che è proprio tipico dello strumento referendario non chiedersi chi siano i compagni di viaggio, ma preoccuparsi solo di raggiungere insieme la meta. Questa è stata la regola di tutti i referendum, da quelli del loro inventore, Marco Palmella, che unirono politici di destra e di sinistra, campioni del sistema e campioni dell'antisistema, in una truppa multicolore e magari sbrindellata, ma efficace e vincente. I leader dei maggiori partiti, D'Alema, Berlusconi, Fini, dovrebbero inoltre riflettere. E' preferibile, sognando impossibili rivincite che mettano k.o definitivamente l'avversario, farsi logorare da centri e centrini emergenti e scalpitanti, da vescovi nostalgici, da ideologi improvvisati oppure avere uno scatto di coraggio e di fantasia politica e firmare il referendum di Segni? Un «suicidio» politico di D'Alema, stretto tra Rifondazione e i popolari ugualmente contrari al referendum? Una follia masochistica di Berlusconi che dovrebbe spiegare ai suoi elettori il viaggio comune con un compagno di strada come Di Pietro? Un improponibile atto di subalternità proposto a un leader in cerca di legittimazione come Fini? Tutte domande sensate, fon date su timori concreti, sulla logica ferrea di una lotta politi ca che apparentemente non ammette «follie». Eppure l'ulti mo decennio nella storia della nostra Repubblica ha dimostra to che il paradosso ha sempre vinto e che le previsioni dei maestri della politica, alla fine; sono state sempre sconfitte. Luigi La Spina

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