Per cena un piatto di minestra e un po' di polenta abbrustolita

Per cena un piatto di minestra e un po' di polenta abbrustolita della Memoria a cura di Renato Scagliola a cura di Renato Scagliola NEL «BORG DEL FUM» Per cena un piatto di minestra e un po' di polenta abbrustolita E RA l'inverno del 1944, «el borg del fum» rabbrividiva sotto la neve - scrive Franco Ferraris, torinese - Gli splendidi platani che ornavano il corso Tortona erano caduti uno ad uno sotto le asce e le seghe dei torinesi che, nottetempo, li abbattevano per ricavarne legna con la quale scaldare le gelide case. Io, bambino di dieci anni, ascoltavo da casa mia quei rumori che avrebbero voluto essere furtivi, ma che al contrario risuonavano nel buio preannunciando lo scempio che avremmo visto l'indomani: quattro o cinque nuovi ceppi, che qualcuno, durante il giorno, avrebbe provveduto a scalzare. Alla fine dell'inverno non uno di quei magnifici giganti che ombreggiavano il viale era rimasto a ricordare quanto fosse bello quel corso. Il traffico non esisteva, e noi bambini si giocava tranquilli in mezzo alla strada. Andavamo al «turet» muniti di latte e secchi di fortuna, attingevamo acqua e la spargevamo sull'asfalto 'del corso centrale (i controviali erano acciottolati), completamente innevato, attendendo che il freddo notturno la facesse gelare. Il giorno dopo quel ghiaccio diventava una «sghiarola», lunghissima, sulla quale ci avventavamo esibendoci in spericolate esibizioni. Per noi bambini la strada non presentava pericoli, la guerra ci toccava solo nel cibo, che scarseggiava. Il pane della tessera, fatto con la farina di riso, si induriva in poche ore, e lo si doveva mangiare subito, l'olio era pochissimo e per condire si usava lo strutto di maiale. Mio padre era impiegato alla Fiat Lingotto, che raggiungeva andando ogni mattina a prendere il tram della linea 21 in corso Casale, e si era munito di una scatola di alluminio a tenuta stagna della misura della sua borsa che ogni giorno riempiva con due litri di minestra di verdura che la mensa della Fiat somministrava ai dipendenti. Non ho mai saputo se per portare la minestra a noi se ne privava lui. La cena consisteva in un piatto di minestra corredato, quando era possibile, da qualche fetta di polenta abbrustolita sul fuoco, senza condimento. Per me, bambino, c'era della marmellata di malto, che nessuno sa più cosa sia, dolcissima e collosa, che non era altro che il residuo della distillazione dei cereali per la fabbricazione della birra. I miei, non so come, riuscivano a procurarsi questa leccornia alla Boringhieri, mitica fabbrica di birra situata al centro dell'attuale piazza Adriano che rappresentava, allora, il confine occidentale della città. I bombardamenti erano quasi solo notturni, e li consideravamo come una cosa normale. Il mio compleanno cade il 13 luglio, e l'abbiamo festeggiato, si fa per dire, rintanati in cantina con tutti i coinquilini. I miei ricordi di prima della guerra sono molto vaghi (avevo sei anni quando cominciò) e perciò per me e per i miei coetanei le case sfondate, gli incendi che qua e là vedevamo divampare, le sirene annunciami l'arrivo del bombardamento, i fasci luminosi della contraerea, erano cose normali, facevano parte della vita. Penso che la stessa sensazione provino oggi i bambini che vivono nelle zone di conflitto, dal Medio Oriente alla Bosnia, dall'Algeria all'Irlanda: non si possono stupire di fatti che c'erano già prima di loro e che per loro sono la norma. Si viveva e si giocava per strada, ed i giochi si adattavano all'ambiente con un'inventiva che, pensandoci oggi, non cessa di stupirmi. Con le biglie si giocava sui tombini dell'acquedotto, fatti di rilievi e di scanalature, dove il più abile riusciva a colpire la biglia dell'avversario senza farsi colpire. Si cercavano i tappi delle bottiglie di birra, li si metteva sui binari del tram in modo che questo, passando, li schiacciasse, facendoli diventare così delle specie di «fiches» che assumevano la funzione di merce di scambio per molti altri giochi. Secondo se si vinceva o se si perdeva le nostre tasche erano ricolme o desolatamente vuote di figurine, che pochi di noi potevano permettersi di comprare e che quindi era giocoforza vincere al gioco. Con la bella stagione cominciavano le sfide a «cavallina», di cui ricordo almeno tre o quattro versioni. Si giocava per squadre (allora le chiamavamo «bande»), ed era importante appartenere a una o all'altra perché questa appartenenza era uno «status symbol» irrinunciabile. L'inizio della primavera portava anche la frutta in collina, ed allora le «bande» si scatenavano per i campi ed i frutteti della Val San Martino per razziare fragole, ciliege e pesche. Quando poi arrivava l'estate piena, con le tanto attese vacanze, i giochi cominciavano il mattino presto, con l'assalto al camion del ghiaccio, il primo autoveicolo elèttrico che io ricordi, con degli omoni che si caricavano in spalla enormi pani ed ai quali noi chiedevano schegge di ghiaccio da succhiare voluttuosamente. Più tardi passava il carro a cavalli del lavandaio, proveniente da Bertolla, con i bordi altissimi ed un ragazzetto appollaiato sui sacchi della biancheria. Era un andirivieni di massaie che portavano la biancheria sporca per ritirare quella pulita. Nel pomeriggio, sottraendoci all'attenzione delle mamme, si scappava all'«imboccatura», cioè alla confluenza della Dora nel Po, dove sul greto sabbioso decine di persone (la domenica erano centinaia) si godevano il sole ed i bagni nel Po, dove l'acqua era pulitissima. Lì ho imparato a nuotare, e la prima volta che sono riuscito ad attraversare il fiume è stata per me come la consacrazione al raggiungimento dell'età adulta. Avevo dodici anni! Ora guardo i miei quattro nipoti. Passano i pomeriggi in casa, qualcuno davanti al computer, oppure in una palestra dove bravi e non bravi vengono istruiti a qualche sport di cui loro il più delle volte non importa più di tanto. I loro giochi glieli devono inventare gli adulti, devono stare attenti a non farsi male ed a non sporcarsi, devono avere giocattoli costosi perché, a mani nude, non sanno più divertirsi. Vorrei per loro un'infanzia come quella che ho avuto io. Beninteso senza guerra e senza fame, ma con un sapore intenso come quello che io ricordo. Vorrei poter far rinascere per loro quei valori, semplici ma essenziali, che caratterizzarono quei miei anni. Sono convinto che i bambini sono sempre gli stessi: basterebbe forse che noi adulti fossimo meno possessivi ed oppressivi, lasciando loro esprimere quella fantasia e quella voglia di vivere che sicuramente hanno e che noi, con il nostro egoismo, stiamo loro impedendo di esternare. La rendita dei fxini di ghiaccio, quando quasi nessuno aveva ilfrigorifero

Persone citate: Bertolla, Franco Ferraris, Renato Scagliola

Luoghi citati: Algeria, Bosnia, Irlanda, Medio Oriente