«Non basta lenire il dolore»

«Non basta lenire il dolore» MALATI TERMINALI «Non basta lenire il dolore» Anche in Italia gli «hospice» per morire con dignità ARocca Canavese, piccolo paese di mezza montagna in provincia di Torino, sta per nascere un centro destinato ai malati terminali, soprattutto oncologici. L'edificio c'è già, un'antica villa con parco, manca solo l'autorizzazione della Asl 6 di Ciriè. Sarà un «hospice» con solo 25 posti letto, dove lavoreranno medici, operatori assistenziali, volontari, riproponendo ambiente e atmosfera di una casa «normale», e non di un ospedale. Il modello viene da lontano, poiché l'«Hospice movement» è nato in Gran Bretagna negli Anni 60 e si è diffuso in Usa, Canada, Australia e in altri Paesi europei. Alcuni hospice già funzionano in Italia: il Trivulzio e il Capitanio a Milano, uno a Brescia, un altro ad Aviano in Friuli, mentre una fondazione torinese, la Faro, composta unicamente da volontari, (medici, psicologi, infermieri, fisioterapisti), si occupa da anni, a lato delle strutture sanitarie pubbliche, di assistenza ai malati terminali di tumore. L'iniziativa è dell'associazione Comunità l'Accoglienza, (tel. 011/924.06.49), che ha già da tempo attivato corsi di approfondimento sul tema «Vivere il morire», segue i malati di Aids all'ospedale torinese Amedeo di Savoia, e ha aperto un centro studi che ha come scopo educare ed aggiornare sul tema del morire. Argomento scomodo, un tabù, un pensiero che tutti cerchiamo di dimenticare, anche perché, scrivono i responsabili: «Oggi la durata della vita è molto aumentata, il 70 per cento delle persone muore in ospedale al termine di un processo di infan- tilizzazione che porta sanitari e familiari a negare al morente il diritto all'informazione sul suo stato. I medici hanno visto ipertrofizzare il loro ruolo fino a diventare quasi «ministri di culto» dell'eterna giovinezza. Alla medicina l'uomo comune fa ormai una richiesta di immortalità, mentre, come scrive Marie De Hennezel, «La morte rimane un immenso mistero, un grande punto interrogativo che ci portiamo dietro nell'intimità più profonda. Nella morte vediamo solo orrore, assurdità, sofferenza inutile e penosa, scandalo insopportabile; mentre è invece il momento culminante della nostra vita, coronamento che le dà senso e valore». Vicepresidente dell'associazione è Wilma Gabutti, primario di ematologia all'Ospedale In¬ fantile di Torino, una lunga esperienza professionale di sofferenze. «Una fase importante per i malati terminali - dice - è il controllo del dolore, ma non solo. E' tutto l'insieme che deve essere progettato e gestito per limitare al massimo la sofferenza anche psicologica. Un insieme che si chiama medicina palliativa poco insegnata nelle Università, ancora in pratica un buco nero nella nostra cultura medica. In Inghilterra ce ne saranno tremila di questi hospice, tutti curati nei minimi particolari e inseriti nel contesto dell'assistenza sanitaria pubblica. Per fare un piccolo esempio, per sedere intorno al letto di un malato, sedie e sgabelli sono disegnati in modo che i visitatori non siano più alti del letto del degente. E quindi non incombano su di lui. In concreto l'obiettivo è rispondere in modo globale ai bisogni fisici, emozionali, psicologici e spirituali, del paziente e della sua famiglia, migliorando la qualità della vita residua. Inoltre ci proponiamo di reagire all'attuale cultura dell'occultamento della morte, riconsegnando al morente la possibilità di essere protagonista della sua fine». Renato Scagliola

Persone citate: Capitanio, Marie De Hennezel, Renato Scagliola, Wilma Gabutti