ALLO SPECCHIO DEI PROFETI

ALLO SPECCHIO DEI PROFETI ALLO SPECCHIO DEI PROFETI Le lezioni ebraiche di Debenedetti PROFETI Giacomo Debenedetti Mondadori pp. 214 L. 35.000 rslcdta alla comunità ebraica di Torino cammino percorso da altri, uno specmente a beneficio di altri volti la pal'anelito che ha percorso altri cuoriuomini appartenenti però a un unicattesa. Compito improbo, anche perl'età - direttore di rivista letteraria,ginale in cui i libri profetici sono stdeve pure aver attraversato l'animono trovato a desiderarmi qualche inmi permettesse di mettervi sott'occhla complessità - fulminea, ribollenquest'impresa non era da me». Paruno dei più grandi profeti - Geremila voce ferma e rassicurante di Dio stesso: «Non dire: "Io sono giovane"; ma va' ovunque ti manderò e parla tutto ciò che io ti comanderò». «Faremmo torto alla modestia del critico - scrive Cesare Segre in conclusione della sua sapiente, direi fraterna, introduzione - se confrontassimo il silenzio di Isaia con il suo, ma ne sentiamo forte la tentazione». Sì, forte è la tentazione di accostare Debenedetti ai profeti che seppe far rivivere in alcune serate dense di senso; forte è la tentazione perché grande è la sua capacità evocativa: pare di riascoltare l'ardente irruenza di Elia, la struggente dolcezza di Osea, le appassionate requisitorie di Amos, le esigenti esortazioni di Geremia. Non preveggenza del futuro, ma semplice eco della parola di Dio è la voce dei profeti; non reprimenda moraleggiante, ma radicale istanza etica è il loro perenne messaggio: «Coi Profeti l'uomo impara la moralità ed è condannato a rinsaldare tale acquisto in una fiera solitudine, in cui gli sono recise tutte le dande con cui Dio, fino allora, l'aveva guidato nei vari commerci terrestri». Se così è, troviamo assolutamente conseguente l'approccio di Debenedetti a questa letteratura: «Ci armeremo di quello squallido e febbrile amore con cui vogliamo provocare, da chiunque sappia darcela, una rivelazione del senso della nostra vita». Così armato, il giovane conferenziere sceglie con raro acume spirituale le figure, alcune fra le tante offerte dall'Antico Testamento, accanto alle quali porre il suo «specchio» per istruirci nel cammino. E' il carisma profetico che Debenedetti sa cogliere, sia negli autori formalmente riconosciuti come «profeti» - Amos e Osea tra i «minori», Isaia e Geremia tra i «maggiori» - sia in chi profeta lo è stato per la vita prima ancora che per gli scritti: Samuele ed Elia. Come molti di loro, il Debenedetti affascinato dai profeti non sempre troverà ascolto: apprezzatissimo dall'uditorio di Torino, recensito favorevolmente sull'autorevole settimanale fiorentino «Israel», non riuscirà tuttavia a convincere altri dell'opportunità di ripetere con uditori diversi le conferenze: «Parlo malvolentieri dei Profeti, che ho l'idea (è una verità psico¬ romanzi - dice Stendhal - sono specchi portati lungo una strada, o porto - come posso - uno specchio lungo il cammino percorso dai profeti». Con questa avvincente similitudine l'allora ventitrenne Giacomo Debenedetti si accingeva a chiudere la sua conferenza sul profeta Geremia, l'ultima di una serie di cinque tenunel 1924. Uno specchio lungo un chio che spera di riflettere fedelssione che ha animato altre vite, , la speranza che ha abitato altri co popolo, protesi verso un'unica un già affermato - a dispetto del ignaro per di più della lingua oriati scritti. Una qualche esitazione del giovane Debenedetti: «Mi sotrepida facoltà di esprimermi che hio, in uno scorcio adeguato, tutta te ed oceanica - di quei libri. Ma e di udire le parole balbettate da a, appunto - e di udire in risposta logica) che portino sfortuna», gli risponderà schiettamente da Trieste Umberto Saba. Queste e altre preziose informazioni forniteci dalla curatrice Giuliana Citton confermano con elementi storici una sintonia spirituale profonda tra il giovane letterato e gli autori che volle presentare a un pubblico ancora ignaro delle dense minacciose nubi che si stavano addensando all'orizzonte. Del resto anche il fatto che la grande fortuna del Debenedetti critico letterario sia legata in massima parte agli scritti postumi non ha forse qualche tratto di analogia con i profeti, sovente destinati a essere apprezzati appieno post rnortem o, quanto me- I no.posf eventuml «Fascino aurorale di uno scrittore come se nella prima sua ma- j nifestazione fosse già rinchiuso | un avvenire», autentica «prosa | d'arte»: così Cesare Segre parla di queste pagine da un punto di vista stilistico e letterario. E non vedo come si possa non condividerne il giudizio. Ritengo inoltre che raramente l'accuratezza di un linguaggio - e non si dimentichi che abbiamo qui i testi redatti in vista di interventi orali, per un pubblico in carne ed ossa - si accompagni all'intensità del contenuto come in questi «scritti». Ma vorrei concludere con una nota personale: i primi appunti per un corso biblico, che - giovane e inesperto - timidamente abbozzai ormai trent'anni or sono, vertevano su «Il profetismo: Elia, Amos, Osea». Come tacere allora l'emozione provata nel leggere queste righe di Debendetti: «Amos e Osea: abbiamo detto l'urlo feroce del peccato senza speranza, e l'anelito verso armonie ritrovate di là dalla disperazione. Ma ogni giorno, in tutte le età, ci son uomini che si risvegliano gemendo, tra il peccato, i paurosi del castigo - e poi si rincamminano verso qualche divina grazia che, prossima, sorride al loro animo. Amos e Osea: abbiamo detto gli eterni contemporanei della turbe sterminata e sofferente degli uomini che piangendo e pregando camminano nella luce dei vivi». Grazie, Giacomo: in queste pagine a molti è dato di ritrovare un amico! Enzo Bianchi Isaia disegnato da Dùrer: è tra i profeti studiati da Giacomo Debenedetti

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