EROICAMENTE
EROICAMENTE EROICAMENTE BT i NA sentenza di Brecht, divenuta uno dei più insensati luoghi comuni di questi decenni, è che sia felice il popolo (o la nazione) che non ha bisogno i di eroi. Chi la ripete è un cultore della simulazione e della dissimulazione non tanto onesto, della fuga dalle responsabilità, della scelta di non vedere e tanto meno impegnarsi in quelle vicende in cui vita e storia si intrecciano ed è necessario fare scelte decisive, di onore e dignità. Sto parlando, naturalmente, della letteratura, poiché nella realtà dei tempi insopprimibile è l'eroismo, anche soltanto per affrontare la condizione umana e il male del mondo (e il romanzo di Givone, recentissimo, è lì a dimostrarlo). Se mai, l'errore è di pensare all'eroe come il guerriero sul campo di battaglia, il conquistatore di città, il difensore dello Stato, oppure, in tempi meno guerreschi (ma quando mai ce ne sono stati?), come lo scienziato, il costruttore, l'uomo di Stato di esemplare lungimiranza e, se è possibile, di integerrima onestà. L'idea di eroe, anche oggi, quale dalla letteratura si aspetta, ha tali caratteri: altrimenti, non gli viene riconosciuto lo statuto eroico, e viene liquidato fra gli altri mediocri, anche per difendersene, dal momento che l'eroe letterario moderno si nasconde, si maschera, assume aspetti e comportamenti comu-, ni, e proprio in questi fa rifulgere la sua esemplarità. Il punto di partenza di tale raffigurazione antipatica dell'eroe credo possa essere collocato nella dichiarazione dell'anonimo secentista che il Manzoni colloca all'inizio dei Promessi Sposi: il racconto che seguirà offrirà le gesta tragiche ed eroiche non di statisti e guerrieri, ma di gente di umili condizioni e di professione operaia. E' il capovolgimento delle prospettive epiche del passato: non l'Ettore della conclusione dei Sepolcri foscoliani, e neppure il Bruto o la Saffo del Leopardi, per non parlare delle tragedie dell'Alfieri e di Schiller e di Goethe, ma Renzo che perdona al suo persecutore don Rodrigo nel lazzaretto e Lucia che resiste a tutte le tentazioni e le offese del mondo, sia da parte dei prevaricatori, sia perfino da parte di chi vorrebbe proteggerla. Nasce da tale impostazione della figura dell'eroe esemplare della letteratura la varia presenza di esso nell'Ottocento e nel Novecento. L'eroe diviene il vinto, il portatore su di sé dei segni dello scacco, colui che, anzi, sceglie la sconfitta perché tendere al trionfo significherebbe porsi dalla parte dell'ingiustizia, dell'oppressione, dei non valori di una società di idolatria del denaro e d'inganno. Se eroe nel senso tradizionale Giorgio Bàrberi Squarotti CONTINUA A PAGINA 3 SECONDA COLONNA EROICAMENTE
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