Spagna, l'orgoglio d'essere europei di Paolo Guzzanti

Spagna, l'orgoglio d'essere europei Tra passato e futuro emerge una realtà nuova dell'Unione Spagna, l'orgoglio d'essere europei Verso il futuro con le tradizioni in valigia VIAGGIO NELLA PENISOLA IBERICA CMADRID HI avrebbe mai immaginato che il Portogallo è una specie di Canada mascherato da Umbria. Mi spiego. Lascio Lisbona in macchina per raggiungere Siviglia e risalire l'Andalusia- e la Mancia, su fino Madrid. Mi aspetta una complicatissima uscita da Lisbona, la bella e la dolce; e trecento chilometri di paesaggio disabitato e fantasticamente verde. Confesso: pensavo che il Portogallo fosse come l'Italia centrale, o meridionale: paesini e villaggi, stazioni termali e botteghe da barbiere. Invece incontro una gigantesca terra disabitata di colline e boschi, alture e foreste, luoghi che da noi sarebbero tempestati di paesini di pietra e abbazie. Qui nulla, verde e verde e ancora verde per centinaia di chilometri. Non un'anima. Lungo la strada caffetterie Anni Cinquanta con Papa e giocatori di calcio uniti nell'iconografia, bottiglie capovolte, odore di vecchio cuoio e plastica e di fumo. Tutti fumano come cappe di camino. Poi la frontiera. Che non c'è più. E' la prima volta che vedo il trattato di Schengen sotto forma di una frontiera fisica vuotata come una conchiglia, un Checkpoint Charlie alla rovescia. Fantasmi. La polizia tuttavia mi ferma per consentire a due intervistatori dell'istituto di statistica di farmi cortesi domande sul mio viaggio, lì in mezzo al nulla. E la radio quasi di colpo smette di diffondere fados lusitani e il ritmo del fandango con le asprezze gutturali dello spagnolo mi annuncia Huelva, la ciudad de los mineros in sciopero: la mia generazione conosce la geografia della Spagna attraverso l'epopea in musica e cinema della guerra civile: el fandango de Huelva, el frente de Gambeza primera linea de fuego, il Guadalquivir, la battaglia di Madrid que bien resiste (mamita mia), la casa de Velazquez que se cae ardiendo, Puente de los Franceses. E' così: appartengo alla generazione che si rifiutò di metter piede nella Spagna franchista finché il Caudillo che garrotò Galan, vecchio e tarlato come Breznev ma duro a morire, finalmente morì. E poi la visitai tante volte dopo, nel corso dell'edificazione democratica, conobbi l'onnipotente Opus Dei madrilena di Echevarria, andai una volta anche con Pertini durante una esilarante e commovente visita di Stato quando il nostro amato Presidente con la pipa non riusciva a staccare gli occhi dalla regina Sofia e dalla sua scollatura, quando qualcuno corse a informarlo lungo una scoscesa strada di Toledo, che a Milano la banda armata nota come «Brigate rosse» aveva assassinato il giornalista del Corriere Walter Tobagi. Gli si riempirono gli occhi di lacrime fredde e disse con un sorriso tirato alla coppia reale scotendo la testa: «Bando alle tristezze». Pianse poi a dirotto a tavola, e la regina gli carezzò delicatamente i capelli. Quel giorno il sole dardeggiava su Toledo e oggi invece si nasconde dietro le vaste nubi di Goya che coprono l'Andalusia di cirri e fantasmi. Poco prima di Huelva la Spagna mi viene incontro a cavallo. La strada è bloccata: uomini e donne a cavallo che scendono verso la città in costumi meravigliosi e severi, cappelli e stoffe sgargianti, volti arroganti e antichissimi. Coppie sullo stesso cavallo in abito da festa, sombreros, sigaro in bocca, redini alla mano e cavalli da battaglia contro i mori, maestosi e anzi imperiali. Questa armata di gente andalusa riempie di colpo la campagna. Sono centinaia. E poi migliaia di cavalcature con severi bambini usciti dai quadri che maneggiano quadrupedi bardati sontuosamente. L'antica canzone di guerra che mi frulla nella testa dice: «Yo soy un tren blindado, salgo de Andalucia, anda jaleo, que Franco se va al paseo». Di qui passava il treno blindato della guerra con le sue scorte andaluse di cavalli, un treno simile a quello che aveva usato Trotskij. I fragori di quelle guerre oggi sono stati riassorbiti dai decenni che si accumulano oltre le nubi. Quando si diceva, allora, che qualcuno se ne andava al paseo, cioè a fare una passeggiata, si intendeva andare alla fucilazione. Era il modo in cui si andava alla morte camminando lentamente e impassibili, per dimostrare alterigia e disprezzo. E qui fu inventata la storia dell'ultima sigaretta prima del fuoco del plotone. Non per fumare una boccata di tabacco, ma per mostrare la mano ferma nell'arrotolare la cartina, incuranti della morte. Chi ha visto «Carne tremula» di Almodóvar, con la Madrid franchista cupa e grigia delle prime scene con il tram, la Madrid deserta e spiona messa a confronto con la Madrid di oggi, ha già visto l'essenziale per capire la nuova Spagna che entra in Europa. E che, come la radio ripete trionfal¬ mente, encabeza a Europa, marcia in testa all'Europa come i suoi cavalli andalusi, altera, un po' supponente, incurante del grottesco, tutto sommato magnifica. E non hanno torto: qui il tasso di crescita annuo supera il quattro per cento. La ricchezza cresce e si sente la febbre di un Paese che non sta più nella sua pelle, benché avvelenato da alcuni scadali politici e finanziari non diversi dai nostri, ma che esplode di esuberanza e di fiducia in se stesso. Uscire da Siviglia è un'impresa per cartomanti ed esperti di enigmistica, perché i cartelli sono sbagliati o messi in luoghi lontani, ovvero non tengono conto della stupidità di automobilisti distratti come me, ma comunque alla fine si esce e la Spagna mi viene incontro sotto forma di una autostrada molto casareccia, con benzinai fi- losofici e lontani, bar che proliferano oltre le deviazioni e altri impazzimenti. Da questi dettagli e da una certa rudezza degli albergatori e dei camerieri, dal fumare accanito dei tassisti e dalle migliaia di medaghette votive e calcistiche delle loro vetture, si deduce una certa calda arretratezza spagnola, nel senso che tutto sembra nuovissimo e costretto a convivere con la Spagna di ieri ancora ben in vita con abitudini e suoni e odori forti, indisponenti, e maniere non sempre spagnolesche. Madrid è tripudiante di vita benché la sua severissima architettura absburgica la renda tutto sommato più simile a Vienna che alle antiche città. La tensione europea si palpa in giro ed ha una consistenza diversa da quella cui siamo abituati noi in Italia. Da noi si tira un sospiro di sollievo perché tedeschi e olandesi, bontà loro, ci hanno ammesso. Qui no, qui tira un'aria da primi della classe del futuro, si avverte il vecchio nazionalismo riorganizzato nel senso di una tensione verso Londra, Parigi, Berlino, di cui Madrid si sente sorella e di pari dignità. Al Prado grande festa per le Tre Grazie di Rubens restaurate. Trovo il grande museo un po' rivoluzionato, con El Greco espulso dal salone centrale e queste tre donne che parlano di un mondo antitetico al nostro: le «tre grazie» del passato sono così poco simili all'Europa di oggi: insopportabilmente carnose e flaccide, i volti non belli ma vasti, le natiche matronali come i ventri sui quali si avventerebbe volentieri il chirurgo plastico Pitangui per una drastica riduzione del grasso e della cellulite. Ma è in questo museo che la Spagna europea serba in cassaforte la sua identità. Qui e nella televisione che fa da ponte con l'America Ispanica: sua maestà El Rey e la Reina stanno per andare a Cuba, dove Fidel promette altrettanto entusiasmo quanto ne ebbe il Papa. E le edicole traboccano di pubblicazioni che riesumano la hispanidad cubana celebrando persino gli spagnoli che hanno combattuto insieme a Castro e sono rimasti a Cuba per edificare il comunismo caraibico. E un occhio alla Colombia di Màrquez, la cassaforte della lingua spagnola. Ma l'anima resta affidata a Velazquez e a Goya. L'anima dei re come Felipe quarto, l'infelicità incolmabile di Dona Antonia de Ipena Rrieta e della sua infanta che sembra presa a schiaffi per una settimana. E tutti questi reali e borghesi, questi impietosi ritratti di uomini e donne inesorabilmente morti che con Goya restano inesorabilmente vivi valgono tanto quanto, e forse di più, della pittura borghese di Rembrandt per i fiamminghi, perché questo è il regno che strinse sotto un solo scettro due mondi intramontabili, prima della catastrofe dell'Invincibile Annada con i cui legni gli inglesi vittoriosi hanno costruito i banchi di Eton. La Spagna di oggi aspira chiaramente ad essere leader futura del nuovo mondo del Sud che fu sconfitto da Elisabetta e dal suo corsaro Francis Drake. Esprime una voglia di rivincita che è però una caotica dimostrazione di vita. E la «movida» di Madrid, tuttora esaltante dopo tanti anni, ne è l'espressione: in nessuna città del mondo, nemmeno a Parigi, nemmeno a Londra e New York, e meno che mai a Milano, o Torino, o Roma (che ebbe una sua movida nella via Veneto di Flaiano e di Fellini, ormai un ricordo polveroso) si vede uno spettacolo di tale vitalità. Per un paio d'ore, cioè finché la fatica non mi ha sopraffatto, ho percorso le vie che nascono dalla Plaza Mayor verso Plaza Santa Ana e oltre, e intorno, dove una folla incalcolabile, giovane e vecchia, brinda, si innamora, mangia, parla, insulta, sussurra e corre, passeggia e canta di taverna in taverna («tabema», come in latino) urtandosi e godendo, fermandosi ai tavoli dei mille (veramente mille, o forse diecimila) caffè, osterie, tapas di pesci e carni e vini tinti e bianchi, di flan e crostacei e ostriche e spumante, cava e caffetterie con fantastiche maioliche, facce da poeti maledetti, da donne perdute, da ragazzi ferocemente edonisti, gente tranquilla ed altra agitata, tutti fuori, tutti a tirar tardi la notte, tutti a godere la libertà, godere la vita, strusciare sulla terra, fra palazzi bianchi ed eccessivamente decorati a metà fra una corte di giustizia e il Grand Hotel di Rimini, le tende gialle fuori e le facciate ad anfiteatro illuminate nella notte da fari gioiosi, una città che somiglia soltanto a Parigi e Praga e che ha spazi, ha vuoti e pieni, colori e gioie vitali, note di flamenco e lievi suoni di flauto. Così appare la Spagna oggi al viaggiatore, alla fine dell'ultimo secolo. Paolo Guzzanti A Madrid si respira la febbre di un Paese che sente di essere in ascesa Tra passato e futuro emerge una realtà nuova Ma l'anima resta affidata alle tele di Velazquez e Goya