La guerra inutile di Addis Abeba di Vincenzo Tessandori

La guerra inutile di Addis Abeba La guerra inutile di Addis Abeba Tra mobilitazione verbale e indifferenza IL CONFLITTO DEI POVERI fttSlSOf! Si 9!|:!"!''' ADDIS ABEBA DAL NOSTRO INVIATO I viali sono illuminati e le insegne variopinte invitano la gente a una notte spensierata. Qui ad Addis Abeba solo la televisione rilancia le imrnagini di una guerra lontana che nessuno ha voluto, che nessuno vuole, ma che nessuno ha fatto qualcosa per evitare. Ci sono i morti, giù a Makallé, uccisi dalle incursioni aeree e ci sono i morti ad Asmara, dall'altra parte della frontiera contesa. Non sono due grandi flotte, quelle che si fronteggiano, ma è sufficiente un antiquato Mig o un Aermacchi da allenamento zeppo di razzi e proiettili per distruggere qualche obiettivo militare ma anche ammazzare gente per la strada o in casa. Un passaggio e via, se poi l'obiettivo è mancato, tanto peggio: i piloti definiscono lo stesso «pulita» la loro guerra. E invece non è mai pulita e se ne accorgono anche loro quando vengono abbattuti, com'è successo l'altro giorno a quello del caccia tirato giù a Makallé e mostrato come un trofeo alla gente che applaudiva ma che aveva paura. E' una guerra così, scoppiata per una questione di confini che in molti cercano di bloccare, ma a quei 400 chilometri quadrati di pietre e sabbia non vuole rinunciare nessuno e anche ieri, domenica di stasi, da Asmara si è ripetuto di non essere disposti a rinunciare a questioni di principio. Issac Jared, portavoce del governo, ha dichiarato che gli eritrei sono «ampiamente d'accordo con i quattro punti del piano di pace», ma il nodo della frontiera, quello, non è superato. Al contrario, è lì come una bomba innescata pronta a saltar di nuovo in aria, com'è già accaduto del resto. E' dunque indispensabile «una precisa demarcazione dei confini», sottolinea Jared. E allora la tregua di tredici ore scaduta ieri mattina ma proseguita di fatto nella giornata, può esser letta come il segno della buona volontà di chi, tuttavia, ha già provocato guasti pesanti. L'alt al fuoco ufficialmente è servito per l'evacuazione degli stranieri, portati via con gli aerei e pure con la fregata olandese «Mitsuana». E se ne sono andati, da Addis Abeba, anche i diplomatici eritrei. Hanno bruciato i documenti, sbarrato la rappresentanza, come succede sempre, quando si deve scappare, in caso di guerra, poi con le famiglie sono volati al Cairo, visto che lo spazio aereo fra il confine e Asmara è proibito. E proprio dall'Egitto si è levata una voce dolente, per richiamare al buon senso. Non è con i fucili, con le bombe o con i missili che si risolvono certe questioni, ha detto il presidente Hosni Mubarak: «Noi ne sappiamo qualcosa. Trattare, dovete trattare e dovete farlo presto». Un'eco mica tanto flebile è arrivata anche da Ajsan Guled Actidou, presidente di Gibuti che, così vicino ai contendenti, teme anche per i suoi. Perché la gente che muore, quella che urla per le ferite, l'ha vista anche lui, in televisione, e ora implora: «Le ostilità devono finire». E questo perché la gente, ripete, «ha già sofferto a lungo per conflitti armati». E non è giusto, non è comprensibile che non si possa sedersi a un tavolo, buttare le carte, magari battere i pugni e litigare, ma in un modo o nell'altro discutere. Difficile far ragionare un ostinato, più difficile quando sono in due. E, per il momento, sia il premier etiopico, Meles Zenawi, sia Isaias Afeworki, presidente eritreo, hanno dato l'impressione di non tenere in gran conto le chances che può offrire una trattativa. Ma bisogna pur insistere e Susan Rice, segretaria di Stato per le questioni africane, ha cercato di riempire con pazienza quelli che vengono definiti «spazi diplomatici». Un lavoro certosino, dall'esito incerto, compiuto anche dall'Italia che un'idea su dove dovrebbe passare la frontiera ce l'ha, e da sempre, anzi ha fornito vecchie mappe che, però, non paiono aver soddisfatto. Ancora uno sforzo dei diplomatici, oggi. In Burkina Faso si riunisce l'Organizzazione dell'Unità Africana. Non c'è molto ottimismo sull'esito dei lavori, perché finora l'Organizzazione non ha dato l'impressione di poter davvero incidere. D'altra parte, stavolta ci saranno un po' tutti al fianco dei diplomatici africani e allora, forse, gli irriducibili Zenawi e Afeworki potrebbero anche accettare di imboccare una strada diversa da quella scelta e che non. può che condurli diritti all'inferno, quello per il momento lontano da Addis Abeba ma rilanciato da radio e televisione. Ogni ora. E la gente che ancora accorre festante all'aeroporto etiopico a prendere parenti e amici o che si infila nei ristoranti, non pare tanto ben disposta a rinunciare. Ad Asmara e Makallé, l'inferno l'hanno già provato sulla pelle e non è cosa che piaccia. Vincenzo Tessandori La tv lancia proclami per un conflitto che sembra lontano Ma nessuno riesce a fermare il dramma Alcuni parenti delle vittime a Makallé in attesa di poter riconoscere i corpi dei congiunti Sotto, Antonello Venditti

Persone citate: Afeworki, Antonello Venditti, Hosni Mubarak, Isaias Afeworki, Issac Jared, Meles Zenawi, Susan Rice, Zenawi