Riina e soci al servizio di strategie superiori di Francesco La Licata

Riina e soci al servizio di strategie superiori ANALISI Riina e soci al servizio di strategie superiori FIRENZE sentenza prò- CON la nunciata ieri dalla Corte d'Assise di Firenze la magistratura, lo Stato hanno messo un punto fermo sulla interpretazione da dare alla tragica stagione delle bombe del 1993. I dieci morti e 95 feriti tra Roma, Firenze e Milano, i danni incalcolabili al patrimonio artistico costituiscono l'altissimo prezzo che il Paese dovette pagare ad una strategia messa in atto dagli «specialisti» di Cosa nostra, ma quasi certamente pianificata presso ambienti collocati al di sopra del sottoscala dove si riuniva la «cupola» composta da Provenzano, Riina, Bagarella e soci. I giudici ieri hanno sancito la certezza che furono i mafiosi a «collocare» le terribili macchine di morte e di conseguenza hanno inflitto 14 ergastoli - quanti ne avevano chiesto i pubblici ministeri Chelazzi e Nicolosi - ai vertici mafiosi. Ma già il dispositivo letto ieri in aula anticipa il tema di una inchiesta avviata (quella sui cosiddetti mandanti occulti) e che promette di entrare nella trama che nel 1993 si proponeva di attentare all'ordine costituzionale. E' importante, questa sentenza. Perché smentisce l'assioma, spesso sbandierato a sproposito, di una magistratura intenta solo alle polemiche e all'uso politico delle inchieste. Perché rende giustizia ai cittadini colpiti duramente negli affetti e negli interessi. Perché rappresenta un esemplare prototipo di lavoro investigativo basato sul contributo dei collaboratori di giustizia vitalizzato da risultati squisitamente «tecnici». E' importante, questa sentenza, perché giunge in un momento di stanchezza dell'apparato repressivo spesso posto in discussione da dibattiti non sempre disinteressati. Ed è importante, infine, perché apre uno squarcio su uno scenario, molto fosco, che descrive una stagione politica nella quale la democrazia sembra aver corso più di qualche pericolo. Il quadro non è ancora definito nei dettagli, anche se per grandi linee ci è stato descritto dal «dichiarante» Giovanni Brusca (ormai avviato verso l'ufficiale riconoscimento di collaboratore attendibile) e da testimonianze come quella I del generale dei carabinieri I Mario Mori che ha raccontato ai giudici come si svolse la famosa «trattativa» con Cosa nostra (attraverso l'ex sindaco Ciancimino) per cercare di fermarne il delirio stragista. Le bombe, dunque, ebbero una finalità eversiva e perciò i committenti non potevano essere soltanto dei volgari criminali non certo adusi alla frequentazione di musei e di raffinati monumenti come la chiesa del Velabro. Ci fu un concorso di interesse chiaramente di natura «politica». Sarà per questo che l'attenzione investigativa non si è soffermata solo nell'ambiente criminale ma è andata alla ricerca di interpretazioni e «letture» provenienti da autorevoli protagonisti della recente, tormentata stagione politica. Si sa di un incontro (verbale segretato) tra i magistrati di Firenze e Carlo Azeglio Ciampi, che nel 1993 (anno di tumultuosi avvenimenti legati da un lato alla scoperta del sistema corruttivo, dall'altro alla scelta stragista di Cosa nostra) era presidente del Consiglio. Per dirla, insomma, con le parole del procuratore Giancarlo Caselli, la sentenza di Firenze, come quella per la strage di Capaci, dimostrano la centralità della mafia palermitana storicamente inserita in quel coacervo che periodicamente ha attentato alla vita democratica del nostro Paese. Ed ha dimostrato, il verdetto della Corte d'Assise, il valore delle scelte strategiche (legislative, giudiziarie ed investigative) prese all'indomani degli attentati. Scelte che, proprio alla luce di quanto è stato possibile conseguire, devono essere salvaguardate. Se è stato possibile fare muro contro il delirio omicida di Cosa nostra, ciò si deve anche alla ferma reazione di tutti. Le notizie che rimbalzano dalle inchieste in corso fanno intendere che l'aggressione alla democrazia poteva raggiungere ben altre punte, si pensi al progettato e fallito attentato allo Stadio Olimpico o alle lettere anonime che annunciavano «centinaia di morti». Per fortuna Cosa nostra fu costretta a fermarsi e a ripiegare su un lungo periodo di anonimato. Che non è una resa, come dimostrano gli ergastoli comminati a boss del calibro di Provenzano e Messina Denaro. Inefficaci fino a quando i due resteranno latitanti. Francesco La Licata «aj

Luoghi citati: Capaci, Firenze, Milano, Roma