I fuochi di rabbia in via Meda

I fuochi di rabbia in via Meda Dopo la notte di guerriglia: «Vogliamo le vie pulite, gli immigrati ci minacciano» I fuochi di rabbia in via Meda «Razzismo? No, è unaguerra tra poveri» REPORTAGE NEL QUARTIERE GHETTO DI MILANO DMILANO DAL NOSTRO INVIATO Il casus belli è una cosa insignificante. E' sempre così, lo fu anche Danzica, per usare un paradosso, ma stavolta non ci sono eserciti, stendardi, aquile e carri armati, stavolta è un piccolo bar dalle pareti verde pastello dal nome intrigante: Skirrat. Dicono che sia il punto di ritrovo, peggio, il covo dei disperati fra i disperati, quelli che non hanno un passaporto o un nome o ne hanno troppi: i marocchini, i tunisini, i magrebini, pure qualche italiano, di ultima generazione, insomma gli immigrati. Sotto la foto a colori di re Hassan II con il presidente Scalfaro, tracciano i loro progetti che sono sempre cosa misera: lo spaccio di qualche dose, o il tiro a bersaglio con le bottiglie della birra sulle auto che passano. Il bar è in una strada larga che cambia nome 3 volte e dalla periferia Sud arriva diritto a Porta Ticinese, porta «Cicca», quella sui Navigli. Via Meda, si chiama in questo tratto descritto come un campo di battaglia: l'altra sera c'è stato un safari, una caccia all'africano, 7 feriti, e non è finita, perché la gente dice di non poterne più. Insomma, un caso di ordinario razzismo collettivo? Farouk è un ometto sui 50, un po' calvo, i baffi radi, più che stempiato. «Questo non è razzismo, il razzismo c'è quando i ricchi mandano via i poveri: questa è una guerra fra poveri». Lui è arrivato dieci anni fa da Alessandria, quella d'Egitto. Due figli piccoli e una trattoria. Abita uno dei 427 al loggi in questo enonne isolato che chiamano quartiere Spaventa. In somma, lui è uno inserito, uno che dice di non aver mai avuto problemi per la pelle un po' più scura. Ma ora ha paura a portar fuori i figli: «E' di ventato invivibile, con quelli lì che sporcano tutto». E «quelli» sono gli altri. Il crocicchio della «battaglia» è presidiato da polizia e carabùùeri All'angolo, proprio sopra i telefoni a scheda mi cartello avverte: «Non siamo razzisti, voghamo le vie puli te». Ecco, esser chiamati razzisti è l'ultùna cosa che sembrano disposti a sopportare, quelli dello Spaventa, per la stragrande maggioranza immigrati di generazioni vecchie o più recenti: non ho udito uno solo con accento meneghino, m quattro ore. Quell'ometto calvo, pantaloni e camicia a quadri, neppure ci prova a smascherare lo slang. Anche lui ahi ta in via Spaventa, al 19, dove c'è il comitato e il portone in legno verde è coperto da manifesti. Uno dice: «Il presidio Spaventa ringrazia le forze di polizia». E un altro: «Rivogliamo il nostro quartiere pulito». L'ometto dice: «Ho 52 anni, ho 'atto il sarto per 31, abito nella scala G. L'aveva no appena ridipinta e ci sono già le scritte, quelle che non si capisce co sa vogliano due. Sporcizia, ecco portano sporcizia, e io me ne andrei soltanto per quello, per non dover più stare con loro». Perché «loro» vengono descritti come ribaldi impuniti e Bruno Trudi, che ha 40 anni e fa l'ambulante, dice àie «qui non si vive più, si sopravvive». Perché? «Ci minacciano, hanno già detto che ce la faranno pagaie. Una volta, per una cliscus sione su un parcheggio, uno minac ciò che sarebbe tornato con una bomba. Perché di quei cinque che fecero saltare le torri di New York, tre stavano proprio qui. E hanno sempre la hot figlia in mano, e l'acido pronto per corrodere le carrozze rie delle automobili. Pisciano sui marciapiedi e anche altro e quando passa una donna si girano, per farsi vedere. Lo sapete che quelli odiano anche i cani?». Lui al guinzaglio tie ne Ghunter, mi pastore tedesco dal- l'aria mica tanto socievole. «Eppure, un giorno che lo portava a spasso, mia moglie è stata aggredita, le hanno sputato addosso». «Non si tratta affatto di razzismo», protestano in un volantino, gli abitanti di via Spaventa e Meda, gente «che da oltre un anno e mezzo sopporta una situazione andata progressivamente degradandosi». Forse via Meda è soltanto una spia, c'è una relazione dello Scico della Guardia di Finanza, che avverte come la città sia «al centro degli interessi di gruppi etnici malavitosi». Insomma, la torta a Milano se la sono spartita in parecchi. Sono almeno 18 le zone «calde» e quindi a rischio. Ma questa è una guerra fra poveri, ripete Farouk, e davvero il rischio è alto perché chi abita qui nel quartiere che da una parte si affaccia sul Naviglio Pavese, avverte il pericolo: molti la casa l'hanno oc¬ cupata abusivamente, ma mica ieri, anni fa, e ora hanno paura, e non è soltanto mia paura fisica, la loro, in fondo lo sanno che 0 «nemico» è meno forte di quanto vorrebbe far credere quel marcantonio in maglia e jeans neri che esce dallo Skirrat e come vede una telecamera alza indice e medio in segno di vittoria. No, l'incognita è un'altra, per esempio veder rimesso in discussione tutto quanto si è conquistato: la casa, un'auto non sempre nuova, una rispettabilità da non barattare. Il giornalaio che ha chiosco nel crocicchio infuocato chiede: «Ma come fanno, quelli, ad avere auto di lusso, abiti firmati, telefoni cellulari?». E quelli, naturalmente, sono i nordafricani, quelli con la pelle scura. Allo Skirrat era giornata mesta, ieri. Un agente della Polizia Annonaria, alle 16, è entrato per avvertire che il locale verrà chiuso «perché è scaduta l'autorizzazione sanitaria». Lo ha detto anche Riccardo De Corato, il vicesindaco, ma lo sanno tutti che la ragione è mi'altra e per la verità importa proprio a pochi conoscere il vero motivo. Forse ai ragazzi del centro sociale Leoncavallo, che oggi verranno a distribuire volantini nei quali parleranno di ghettizzazione e di razzismo. E c'è preoccupazione, per quest'iniziativa, anche se il questore, Marcello Carnimeo ripete che la polizia è preparata. Ma ci sarebbe chi mesta nel torbido, chi vorrebbe usare la rabbia della gente contro «concorrenti» duri. La prova, dice il questore, abbiamo la prova: «Alcuni funzionari in servizio mi hanno riferito che in prima fila a protestare l'altra sera c'erano persone che abitano in zone diverse, alcuni erano pregiudicati. Abbiamo immagini registrate di disordini e controlleremo che tra i manifestanti non ci siano mestatori di professione oppure persone che hanno colto l'occasione per togliere di mezzo la concorrenza dei norda¬ fricani che delinquono». Sì, gli ha fatto eco Roberto Sorge, il prefetto, quelli del raid «sono stati sobillati». Per via Meda le pattuglie incrociano instancabili, il sindaco Albertini ha detto di aver ottenuto «dal questore di rafforzare la presenza delle forze dell'ordine». Quelli dello Skirrat guardano fuori spaventati, ora ci sono soltanto tre ragazzi e due donne, nel bar divenuto casus belli. I «nemici», quelli tosti, hanno altri orari e forse neppure verranno. Per una notte la strada tornerà ad essere quasi tranquilla: in fondo non ha un vero passato. Certo, tanti piccoli o meno piccoli episodi di nera, e poi, in via Mademo, che è una corta traversa verso Porta Ticinese, ventidue anni fa fu arrestato Renato Curdo, ideologo delle Brigate rosse. Ma nessuno lo ricorda, come nessuno, qui, rammenta gli Anni Settanta. In gioco c'è altro: l'oggi e il domani. Vincenzo Tassandoli «Hanno sempre in mano la bottiglia e l'acido per rovinare le nostre auto» Chiuso il bar degli scontri, oggarrivano i ragazzi del Leoncavallo Ma c'è chi teme di dover perdere tutte le conquiste Il vicesindaco di Milano Riccardo De Corato L'intervento della polizia dopo gli scontri avvenuti l'altra notte in via Meda a Milano

Luoghi citati: Alessandria, Danzica, Egitto, Milano, New York