La pesta? Gli sbocchi al mare di Domenico Quirico
La pesta? Gli sbocchi al mare La pesta? Gli sbocchi al mare /porti le vere cause del conflitto L'IMPERO FRANTUMATO ON è una insensata diatriba tra due dei popoli più poveri della Terra e neppure un sanguinoso schiamazzo innescato da cicatrici colonialiste. Le carte geografiche c'entrano. Ma non sono quelle, ormai ingiallite, del ministero della guerra-sezione affari colo-, niali del vecchio regno d'Italia, come vogliono far credere i forsennati proclami delle due cancellerie, impegnate a rivendicare qualche chilometro quadrato di deserto roccioso come sacro suo lo della patria. Le carte sono invece quelle recenti, disegnate cinque anni fa quando l'Eritrea è diventata indipendente; e i punti chiave sono due porti sul Mar Rosso, Assab e Massaua. Nel '91 un gruppo di ribelli tigrini, maoisti, ultra staliniani e proalbanesi, conquistò Addis Abeba cacciando il negus rosso Menghistu. Nell'entusiasmo della vittoria decisero di riconoscere l'indipendenza di quelli che chiamavano «amici del Nord», gli eritrei, altri guerriglieri asce- tici e tenaci che li avevano aiutati contro il comune nemico amhara. Il trionfo illanguidiva la constatazione che stavano, con un tratto di penna e la fragile promessa che Assab sarebbe diventata un porto franco, abdicando al sogno per cui i negus lottavano da secoli: uno sbocco al mare per collegare il loro colosso di ambe e di montagne al resto del mondo. Prima erano stati i tur-, chi, padroni distratti della costa, a chiudere loro la strada; poi erano arrivati gli italiani che, per di più, avevano dato a tribù disperse il senso di una comune identità. Per alcuni anni, quanto è durata la luna di miele tra i due regimi (tra l'altro accomunati da una tenace antipatia per il multipartitismo), le vecchie strade imperiali costruite dai soldati di De Bono e di Badoglio nel '35 per rendere più agevole la corsa verso Addis Abeba, sono state affol- late da lunghe code di camion che alimentavano come una vena l'economia etiopica. Le frontiere erano presidiate da soldati e bandiere diverse, ma la moneta era comune, il vecchio birr etiopico (che portava stampigliata una silhouette dell'impero che comprendeva ancora l'Eritrea come provincia). Nel novembre scorso il governo dell'Asinara, che è guidato da ex guerriglieri a cui gli armi di lotta hanno lasciato l'impronta di ombroso e tenace nazionalismo, hanno lanciato una nuova moneta, la nafka, che ha rallentato fino alla paralisi gli scambi frontalieri. Era solo l'inizio, perché gli eritrei hanno deciso di giocare una carta ancora più pesante, una vera rendita geopolitica, e hanno chiuso Assab e Massaua alle navi etiopiche: un blocco navale, una ghigliottma in grado di decapitare il gigantesco ma fragile vicino. Ad Addis Abeba hanno preso così il sopravvento quegli esponenti del regime che, in contrasto con lo stesso Zenawi, ritengono un errore aver abbandonato il vecchio nazionalismo amhara che ha segnato la storia millenaria dell'impero e vogliono raccoglierne la eredità. Il progetto è quello di rialzare la bandiera proprio in quella baia dove più di un secolo fa sbarcarono le esigue truppe del generale Tancredi Saletta: Assab. Addis Abeba ha già pronto il braccio armato per realizzare e giustificare questa conquista: l'Ardii, Alar Revolutionnary Democratic Mouvement. Sono i ribelli che si battono per l'indipendenza delle terre abitate dalle genti afar, che vivono sparse in Eritrea, Etiopia e a Gibuti. Sotto il regime di Menghistu gli afar eritrei disponevano di una assemblea autonoma e di vasta autonomia, tutte prerogative che hanno perduto con la nascita dello Stato eritreo. L'Ardu, attraverso il suo portavoce Mohamoda Ahmed Gaas, ha più volte dichiarato che il governo di Asmara non ha nessun diritto su questa parte della costa dancala. Il braccio armato del movimento, Ugugumo (rivoluzione), che dispone di un migliaio di guerriglieri ben armati con materiale etiopico, dal '91 sottopone le truppe eritree a fastidiosi, dolenti colpi di spillo. Ieri i ribelli, con evidente tempismo, hanno attaccato a Burie, a ottanta chilometri dal mare. La battaglia di Assab è cominciata. Domenico Quirico La chiusura degli scali alle navi di Addis Abeba rida ossigeno ai nazionalisti etiopici
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