La pensione del Piave di Stefano Bartezzaghi
La pensione del Piave Torino, ancora da definire mille pratiche della guerra '15-'18 La pensione del Piave E, noto che non avesse poi tutti i torti, quel buon vecchio soldato giapponese rimasto in armi nella sua poi proverbiale isoletta. E Primo Levi se l'era sentito dire subito, nella babele del dopo-Lager raccontato nella Tregua: «La guerra è sempre». Così le conseguenze belliche arrivano a lambire il Duemila: e quelli storici non solo gli unici revisionisti che tengono aperte le pratiche. Ci sono anche i revisionisti di conti. Nel 1994 la Corte dei conti sparge i suoi arretrati in sedi regionali appena istituite. Al Piemonte toccano tre migliaia di casi: si tratta di ricorsi, normalmente datati Anni Sessanta, per richieste di pensioni di guerra respinte. Casi abbastanza in linea con le peregrinazioni per mezza Europa di Levi: reduci, prigionieri, malati, mutilati passati per odissee concluse con il rogo degli archivi e la conseguente indimostrabilità delle posizioni personali. E poi ci sono anche i furbi, come il Palumbo sordo putativo di cui narra Carlo Emilio Gadda nella Cognizione del dolore. Solo che nella parodia gaddiana gli accertamenti si svolgevano subito: nella realtà dei fatti le cose sono andate ben più ridicolmente. A fine 1998 i due terzi delle pratiche arrivate a Torino nel 1994 saranno, in un modo o nell'altro, sbrigate: con gli interessati che in qualche caso e alla loro bella età sono arrivati al sitin, per una pensione di entità magari simbolica (ma era un bel simbolo anche il fatto che non fosse ancora riconosciuta). Restano mille casi misteriosi, e fra questi parecchi riguardano soldati dell'altra guerra, nati ancora nell'Ottocento, e i loro «orfani», oggi ottantenni. In settimana la sezione piemontese della Corte dei conti deciderà se lasciare dispersi questi mille quasi garibaldini, o cercarli ancora. Magari sono su un'isoletta, ad aspettare comandi. Stefano Bartezzaghi
Persone citate: Carlo Emilio Gadda, Casi, Primo Levi
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