La difesa: non c'è reato di Susanna Marzolla

La difesa: non c'è reato La difesa: non c'è reato MILANO. «Questo processo nasce con una malformazione genetica: mi'inattendibile ipotesi investigativa viene trasformata in accusa per l'imperativo pohtico di arrivare all'incriminazione del presidente del Consiglio». L'avvocato Ennio Amodio, difensore di Silvio Berlusconi, comincia così la sua arringa difensiva al processo che vede il leader di Forza Italia imputato di corruzione per le tangenti pagate alla guardia di Finanza. Temporalmente è la prima inchiesta in cui Berlusconi viene coinvolto in prima persona. E la notizia arriva in modo plateale, con la consegna di un «invito a comparire» a Napoli, nel novembre '94, alla conferenza internazionale sulla criminalità: un gesto, dice Amodio, «che ha assunto la portata sostanziale di mia messa in stato d'accusa del capo del governo». A volere ciò, secondo il legale, una sola persona, animata dalle sue «velleità politiche»: Antonio Di Pietro. «La sua animosità - dice ha dato luogo ad un effetto trascinamento sugli altri componenti del pool». Per dar forza alla sua tesi Amodio ricorda la famosa frase contro Berlusconi («Io quello lo sfascio») e cita passi della sentenza dei giudici bresciani sul presunto complotto pohtico contro l'ex pm: «Di Pietro riuscì a convincere tutti i componenti del pool... si evidenzia chiaramente un sempre più marcato orientamento di Di Pietro ad assumere iniziative e posizioni più confacenti ad un esponente pohtico che ad un magistrato». Un atteggiamento dimostrato poi dalle scelte successive, quando Di Pietro, sempre ubbidendo alle sue «velleità politica», lascia la magistratura «prima della data fissata per quell'interrogatorio del presidente del Consiglio che aveva sollecitato e programmato come evento culminante di tutta l'inchiesta Mani Pulite». E lascia, dice ancora Amodio, solo «macerie di un castello indiziario». Quello che il legale chiama «vizio genetico» delle imputazioni contestate a Berlusconi ha provocato «incurabili patologie» che si riassumono così: «La grande assente del processo è la prova». Il rappresentante dell'accusa, Gherardo Colombo, secondo Amodio, non ha potuto far altro che «ri- ferirsi a stereotipi falsi (Berlusconi è un abituale mentitore, ha una spiccata propensione per le questioni pratiche, si occupa di problemi fiscali) per cercare di sorreggere un impianto fatto solo di congetture. L'albero logico sul quale il pm vorrebbe costruire la colpevolezza di Silvio Berlusconi non ha né radici né fusto». Colombo aveva chiesto la condanna di Berlusconi a tre anni di carcere partendo dal presupposto che il presidente della Fininvest aveva dato l'avvallo al pagamento di tangenti (330 milioni in tutto) da parte di società del suo gruppo. Se-, condo Amodio, invece, «non c'è alcun elemento che possa suffragare ipotesi del concorso morale del reato. Anzi non c'è nessuna prova che Berlusconi fosse a conoscenza di quanto avvenuto; siamo di fronte al nulla». «Solo congetture» del pm anche nella vicenda del presunto incontro a Palazzo Chigi tra l'avvocato Massimo Maria Berruti e Berlusconi (secondo l'accusa in quell'occasione si sarebbe studiata una strategia per depistare le indagini): «Alle testimonianze che dichiara¬ no che quell'incontro non c'è stato Colombo contrappone solo le sue presunzioni logiche». Da tutto questo l'avvocato trae la sua richiesta finale: «Voglia tribunale dichiarare che il fatto non sussiste e che comunque l'im putato Silvio Berlusconi non lo ha commesso». Brevissima la rephca del pm Colombo («Ho esposto fatti non congetture, in un percorso lo gico») e nessuna controreplica dei legali. Parleranno il 7 luglio e, alla stessa data, la sentenza. Susanna Marzolla L'awocato Ennio Amodio difensore di Silvio Berlusconi

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