«lo quello non l'ho mai visto»

«lo quello non l'ho mai visto» «lo quello non l'ho mai visto» La prima volta della Reggiani a processo MILANO. Stretta tra un nugolo di agenti penitenziari, Patrizia Reggiani Martinelli sembra scomparire. Sedici mesi di carcere, l'hanno messa in ginocchio. E' pallida, poco truccata, leggermente ingrassata. Solo gli occhi viola, brillano come un tempo, quando lei era la signora Gucci, da New York a Sankt Moritz, dalle crociere sul Creole alle feste nell'attico in galleria Passarella. Al polso porta un simil Swatch e un rosario attorcigliato, verde fluorescente, che giura di aver ricevuto da monsignor Milingo in persona. Indossa una maglietta a rigoni blu e azzurri da cui spunta il colletto di una camicia bianca. Sulle spalle, un golf scuro. Niente di appariscente, nemmeno un gioiello. Lei che l'ultimo Natale da libera, quando Maurizio Gucci era morto da quasi due anni, lo aveva festeggiato regalandosi un cuore di brillanti da 15 carati. Alza le mani quando i fotografi le si fanno a un centimetro e scattano a raffica. Lei guarda davanti, mai verso la maga e amica di un tempo che adesso l'accusa. E alla gabbia, dove stanno i presunti killer del suo ex manto, lancia solo qualche occhiata. Ma è solo un attimo. Quando Orazio Cicala inizia a parlare, a lanciare le sue accuse contro di lei - «Diceva di fare in fretta, faceva grandi promesse, ci siamo incontrati più volte», Patrizia Reggiani Martinelli non si scompone. In mano ha un pacchetto di kleenex e gli occhiali griffati americani. «Io quell'uomo lì non lo co- nosco, io non l'ho mai visto», dice solo a bassa voce ai suoi avvocati, che si danno il turno per esserle a fianco. «Non lo conosco», giura ancora, come in quel memoriale, affidato alla Corte prima che iniziasse il processo, quando per la prima volta aveva cercato di difendersi dopo mesi di silenzio, chiusa nella cella al secondo piano del carcere di San Vittore. «L'ho sempre detto a tutti, che volevo Maurizio morto. Ma quelli che lo hanno ucciso, si sono mossi solo per ricattarmi, per truffarmi», aveva scritto lei, con la sua calligrafia minuta, regolare come quella di una ragazzina. Una tesi che porterà anche in quest'aula, legno alle pareti e il bassorilievo della Giustizia, spada in mano, sopra la Corte e la giuria. Per adesso sta in silenzio, Patrizia Reggiani Martinelli. E' solo un po' agitata, fa segno di sentirsi soffocare nell'aula con le finestre chiuse dove fa molto caldo. Dice grazie, quando le portano un bicchier d'acqua e poi una bottiglia piccola di minerale. Dice no quando arriva una dottoressa in camice bianco, con una siringa in mano, la terapia quotidiana dopo quell'operazione al cervello di sei anni fa. In una pausa del processo, il pubblico ministero Carlo No¬ cerino le si avvicina. Due parole di circostanza e il magistrato tende la mano. Lei risponde al gesto, accenna un sorriso ma non si alza dalla panca in ultima fila, a un metro dal pubblico che la guarda e che si chiede se sia proprio lei, quella Patrizia Gucci che ha fatto ammazzare il suo ex marito. Il magistrato stringe anche la mano della maga Pina Auriemma. Dalla gabbia, Benedetto Ceraulo borbotta qualcosa. E' a dieci metri da lei, ma sembra un altro mondo. Un ultimo conciliabolo con gli avvocati e alle 10 e 30, Patrizia Reggiani Martinelli chiede di andare via, di tornare in carcere, da sedici mesi il suo mondo. Tre metri per quattro. Qualcuno giura che si sia asciugata gli occhi, nell'uscire dall'aula. Se sono lacrime, nessuno le vede. Se ne va e non guarda nessuno, nemmeno il professor Grandi che fece l'autopsia al suo ex marito e un minuto dopo inizia a raccontare: «Quattro colpi attinsero il Gucci...». [f. poi.] Faccia a faccia con i presunti sicari Pallida, poco truccata, ingrassata In alto l'ex moglie di Gucci Patrizia Reggiani, accanto ad uno dei suoi avvocati A fianco Orazio Cicala anche lui accusato dell'omicidio dell'imprenditore

Luoghi citati: Milano, New York