l'uomo che giocò 70 miliardi di Lorenzo Soria

l'uomo che giocò 70 miliardi Il Creso italoamericano sogna la poltrona di governatore l'uomo che giocò 70 miliardi California, sondassi contro Checchi LOS ANGELES NOSTRO SERVIZIO Da un anno e mezzo, da quando ha lasciato la guida della North Western Airlines e ha deciso di puntare alla poltrona di governatore della California, il tycoon italo-americano Al Checchi si è rivolto agli elettori sostenendo che era giunto il momento di cambiare e di fare ricorso a un imprenditore come lui. Bisogna superare il gap tra ricchi e poveri, diceva. Bisogna investire di più nell'educazione dei nostri figli. Poi chiudeva con queste parole: «Se volete andare avanti così, non votate per me». Ieri, giorno di «primaries» in California, gli elettori (o meglio, quel 40 per cento di californiani che si prende la briga di votare) sono finalmente andati alle urne. E stando ai sondaggi sembrano aver preso alla lettera il consiglio di Checchi, nel senso che nella gara a tre per la «nomination» del partito democratico, l'imprenditore sarebbe stato umiliato in ultima posizione. L'uomo che sfiderà il repubblicano Dan Lungren in novembre sarà invece Gray Davis, un politico di professione incolore come il suo nome ma che ha saputo sfruttare a suo favore la macchina del partito e 23 anni di vita pubblica. «Un'esperienza che il denaro non può comprare», era il suo slogan. Di denaro, questa volta, ne è corso davvero tanto. Se si contano la contesa per la «nomination» alla carica di governatore, quella per il candidato repubblicano che sfiderà in novembre la senatrice Barbara Boxer e solo due dei nove referendum in ballottaggio, sono stati superati i 100 milioni di dollari, una cifra da elezioni presidenziali. Ben 40 di questi milioni (circa 70 miliardi di lire) sono arrivati dalla fortuna personale di Checchi, che ha condotto una campagna virtuale fatta quasi esclusivamente di spot televisivi. Spot spesso negativi, di attacchi pesanti ai suoi avversari. E che, sorpresa, non hanno funzionato: anzi, gli si sono ritorti contro. Più attaccava Davis e più attaccava la terza contendente, quella Jane Arman che a sua volta ha speso 20 milioni di dollari presi dal patrimonio del marito, e più gli indici di Checchi andavano verso il basso. Così tanto che adesso, invece di entrare nella storia con la sua elezione a governatore per quindi esplorare altre cariche nazionali, il nome di Checchi inizia a circolare per ben altri motivi. «Il suo è stato uno straordinario esempio di relazione inversa tra quattrini e risultati - spiega il mago dei sondaggi Mervin Field -. Una storia che verrà studiata nei libri di testo di pubblicità». La probabile sconfitta di Checchi rappresenta una sconfitta anche per il mito dell'imprenditore che viene dal di fuori e che si sacrifica per il bene della nazione, almeno in questi tempi di prosperità in cui il dibattito economico batte su che cosa fare con i surplus di bilancio e con il problema per le aziende che non riescono a trovare abbastanza lavoratori. Tempi in cui si tende a discutere più di principi che di programmi economici: infatti ancora una volta gran parte del dibattito è stato riservato a due iniziative referendarie con chiare implicazioni nazionali: la «proposition 227», che intende porre fine ai programmi di educazione bilingue, e la «226», che vuole costringere i sindacati a ottenere il consenso dei loro iscritti prima di fare donazioni per cause politiche. «Due iniziative estremamente importanti», sostiene Dan Schur, un consulente del partito repubblicano che insegna alla scuola di scienze politiche di Harvard. «Anche perché tutto ciò che accade in California tende ad avere un'eco nel resto del Paese». Il referendum sui sindacati ha assunto una chiara colorazione politica. Le «Unions» gravitano tradizionalmente attorno al partito democratico e i loro soldi hanno avuto un effetto determinante nelle elezioni del '96. Adesso è il momento della ritorsione e il partito repubblicano si è schierato in massa per la «226». Sostiene che è una questione di rappresentanza democratica anche se la vera ragione è quella di bloccare uno degli alleati più forti e più ricchi del partito avversario. Ma se passa il principio che i sindacati devono chiedere il permesso ai loro iscritti, perché non esigere dalle società quotate in Borsa il consenso degli azionisti prima di versare contributi alla campagna di questo o quel partito? Anche il mondo del business, un tradizionale alleato dei repubblicani, si è trovato diviso e adesso il passaggio della «226» appare incerto. Lorenzo Soria Il miliardario italoamericano Al Checchi (nella foto con dipendenti della sua compagnia aerea) ha partecipato alle primarie del partito democratico per designare il candidato alla carica di governatore della California finendo in terza e ultima posizione

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