Rissa tra i padri dell'atomica pachistana di Mimmo Candito

Rissa tra i padri dell'atomica pachistana Rissa tra i padri dell'atomica pachistana E Islamabad annuncia il test del missile balistico L'ARMA DELL'BSLAM ISLAMABAD DAL NOSTRO INVIATO Le liti tra gli scienziati non sono molto diverse da quelle tra comari. La raffinatezza dell'intelligenza pare protegga poco dalle baruffe di cortile; la storia Di Bella vale per tutti. Ma qui, a Islamabad, ora siamo a un livello che forse nemmeno Pazzaglia avrebbe accettato. Ieri, il dottor Khan, il padre della bomba pachistana, ci ha spiegato che anche le coscienze ormai vanno al supermarket del collocamento. Finora, nella storia dell'uomo due immagini fissavano per sempre la Bomba, e in dissolvenza luna sull'altra: la prima era il fotogramma di Hiroshima come uno scheletro vuoto; l'altra, la figura tesa, ossuta, consumata, di Oppenheimer. Le colpe della nostra coscienza comune riversavano in questa dissolvenza la tragedia della responsabilità che lo scienziato si assume, in nome di un" dovere del quale nemmeno lui stesso è convinto. E nulla più della faccia prosciugata del vecchio Oppenheimer (o della biografia difficile di Sakharov) era simbolo assoluto di questa responsabilità. Da Islamabad ora possiamo offrire alla memoria del tempo la faccia sorridente del dottor Abdul Qadir Khan, che, pregato di manifestarci i dubbi e i tormenti del suo animo su una decisione nella quale poteva apparire che le ragioni politiche prevalessero su quelle della scienza, ci ha detto soddisfatto: «Gli scienziati sono come i cuochi, che preparano i piatti su ordine del padrone. E allora, se il governo ci chiede di fare una cosa, noi scienziati la facciamo». A quest'uomo non è stato ancora chiesto di far partire il missile atomico, forse mai gli verrà chiesto. Speriamo. Ma quella notte, certamente, lui non avrebbe incubi. Il dottor Khan è una figura assai speciale, che nell'ambiente scientifico internazionale gode comunque di non poca popolarità (ma una popolarità piuttosto controversa). La sua storia, infatti, che parte dagli anni del lavoro nucleare in Olanda e in Germania, si trascina dietro anche una coda poco commendevole, legata al furto di disegni e progetti che gli consentirono poi di montare il laboratorio atomico pachistano. Per questo furto il dottor Khan fu condannato a 4 anni di galera in Olanda (la sentenza fu can- celiata successivamente per un vizio procedurale); e ancora qualche tempo dopo, gli ispettori delle Nazioni Unite trovarono in Iraq un documento che registrava un'offerta di aiuto da parte di uno scienziato pachistano - lui, naturalmente, Khan - per far produrre a Saddam «uranio arricchito e un ordigno nucleare». Va detto che Khan ha sempre smentito questa offerta, e bisogna credergli; ma il suo ruoli¬ no claudicante lo garantisce poco dai dubbi di molti. Rispetto alle figure piuttosto riservate degli scienziati alla Einstein, Khan è comunque una personalità atipica, estroverso, brillante, padrone di buone quote azionarie in alberghi, ristoranti, anche nell'unico night club di Islamabad. E' un uomo che ama vivere, insomma; e questa non è nemmeno una colpa. Solo che le abitudini monda¬ ne del suo spirito hanno finito per deviarlo, e ora è venuta alla luce delle cronache popolari anche la lite furibonda che sta intrattenendo con gli altri scienziati pachistani. Lui si muove e si comporta come se lui e lui soltanto, il magnetico, celebre, spregiudicato, dottor Khan, fosse il padre genetico della bomba; di fronte, gli sta l'altra équipe della Commissione Pachistana per l'Energia Atomica, guidata dal dot¬ tor Samir Mubarak Mund, un uomo riservato, tutto occhiali e naso. In queste ultime settimane, Samir e i suoi 12 scienziati hanno lavorato duro, confinati nel deserto del Beluchistan, chiusi spesso anche in hangar di lavoro dove la temperatura cuoceva a più di 55 gradi. E non gli è andata molto giù la scioltezza con la quale il loro «nemico» si sta muovendo tra interviste e riflettori di tv. Allora hanno anche protestato. «Ci sono stati 25 gruppi di lavoro, dietro questa bomba», ha detto il dottor Munir Ahmed, che fino a qualche breve tempo fa era il presidente della Cpea. «Nessuno può presumere di essere lui soltanto il meritevole di ogni lode». Khan non ha aspettato nemmeno un secondo per ribattere a questo tentativo di riflessione. «Samir è soltanto il portaborse di Munir Ahmed. E non ve- do proprio quale merito pretenda di arraffarsi: per schiacciare quel bottone che ha fatto scoppiare l'atomica, bastava un tecnico». E' solo spazzatura, da coprire subito. Ma il dramma che comunque resta sotto il coperclùo della decenza è l'amara consapevolezza che ormai la tecnologia nucleare ha rotto le barriere della riservatezza responsabile e del tormento ideologico che comunque tenevano lontani gli apprendisti stregoni; in questi giorni, nei deserti che affondano dentro il cuore dell'Asia un confine è stato superato, e in questo territorio mondato da ogni saralità - la sacralità che gli dava il rischio nucleare - ora la caccia si apre a tutti, indiscriminata, senza più nemmeno i dubbi della coscienza. La corsa rischia anche di diventare folle: Samir Mubarak annuncia che presto, «prima di fine mese», sarà sperimentato un missile con testata nucleare, il Ghauri, portato ormai a una gittata di 2500 chilometri, che verrà lanciato da una base del Beluchistan; e anzi, prestissimo, «già nei prossimi giorni», ha detto lo scienziato nasone, verrà provato anche il missile Shaeel-I, capace di trasportare a 700 chilometri una testata nucleare. «Questo Shaeel-I è già sulla rampa di lancio, aspetta soltanto che il governo mi dica che posso sclùacciare il bottone». Come ai tempi della Guerra Fredda, una volta partita ora la corsa non si ferma più. L'India ha comunicato ieri di aver aumentato del 14 per cento il bilancio della Difesa e fa sapere che ha in fase di preparazione altri due test missilistici. La Cina risponde subito che sta «seriamente considerando» di riprendere i test nucleari che aveva sospeso nel luglio del '96. «Non siamo e non voghamo essere nemici dell'India, ma non possiamo non tener conto di quello che è accaduto vicino alle nostre frontiere in queste settimane. Noi non minacciamo nessuno, ma nemmeno voghamo essere un bersaglio immobile». Per molte delle nostre generazioni di sopravvissuti al rischio atomico, queste suonano come storie vecchie, sentite e risapute. Nell'89 queste storie cominciarono a finire senza l'ultimo olocausto; ma il percorso della speranza ora si è interrotto. Mimmo Candito