« Ancora 6 anni sul filo del rasoio»

« Ancora 6 anni sul filo del rasoio» IL PIANO DEL PRESIDENTE « Ancora 6 anni sul filo del rasoio» Demattè: disponibile a dialogare coi sindacati OROMA UE STO Purgatorio durerà ancora due anni, poi il servizio migliorerà sensibilmente, anche se per risanare le Ferrovie dello Stato ci vorranno almeno seisette anni». Così parla Claudio Demattè, presidente delle Ferrovie. Sono le quattro del pomeriggio, ha saltato il pranzo per tenere una lunga e agitatissima conferenza stampa. Alle nostre domande risponde mentre un'auto lo porta in aeroporto. Professore, l'esasperazione avanza. La gente vuole sapere se prendere il treno sia un tentativo deliberato di suicidio o esistano ancora margini di sicurezza che possano essere garantiti. «Le dò una risposta secca e una argomentata. La prima: le ferrovie italiane sono tra le più sicure del mondo - e non sorrida per favore con il minor numero di incidenti lesivi alle persone, rispetto agli altri Paesi europei. Le basti sapere che noi abbiamo avuto 146 incidenti nel '97, quando l'Inghilterra ne ha avuti 317 e la Germania 616. E ora le dò la seconda risposta, ricorrendo a una similitudine: se uno guida una macchina che ha già fatto 300 mila chilometri, sa di guidare uno strumento che con ogni probabilità subirà dei guasti. Indipendentemente dall' abilità del conducente, perché la macchina è quello che è. Si possono solo adottare delle precauzioni affinché f guasti non si trasformino in inci denti, le disfunzioni inevitabili, cioè, non diventino infortunio per le persone. Ecco: le ferrovie sono così, una macchina vecchia, per anni e anni trascurata, che deve es sere riparata senza sospenderne il servizio». E dunque, professore, mettia moci l'anima in pace: per un po' di anni i nostri treni si romperanno. Chiaro? «No, la prego, mi aiuti a non lanciare allarmismi che non giovano a nessuno. Ho detto che la struttura è usurata e che quindi dei guasti possono insorgere, ma che la priorità che ci siamo data, d'accordo con il ministro Burlando, è quella della sicurezza: ci muoveremo con prudenza, ma vogliamo che i nostri clienti viaggino in condizioni di assoluta sicurezza. Poi - e le rispondo sui tempi - spenderemo 3 mila miliardi nei prossimi 3 anni per la sola manutenzione e il rinnovamento della rete, interventi che ci consentiranno di migliorare enormemente il servizio. Seguirà, quindi, una seconda fase di interventi strutturali definitivi - come per esempio la quadruplicazione della rete - che si protrarrà fino al 2007 e costerà 34 mila miliardi». Di questo passo, ovviamente, la privatizzazione dell'Ente è di là da venire. «Certo, in queste condizioni le ferrovie non sono privatizzabili. Ma comunque si va in quella direzione. Contiamo infatti di operare una divisione tra Infrastrutture - che di per sé sono più difficili da privatizzare e costituiscono una sorta di monopolio naturale - e Trasporto. Dal 1° luglio queste attività cominceranno ad avere una separazione contabile, e questo permetterà di valutare meglio costi, ricavi, attività di ogni settore. Poi, entro quest'anno, il settore Trasporto verrà articolato in 3 divisioni interne, una per i passeggeri di media e lunga percorrenza, una per il trasporto locale e una per le merci». Questo per quanto riguarda il make up dell'Ente, ma resta il problema del risanamento economico. «Che è la grande questione, in vista delle privatizzazioni. Ci sono almeno due punti principali, in questo ambito: il costo del capitale, che è enorme, per gli ammortamenti e per gli oneri finanziari...». Professore, ce lo spieghi in termini meno tecnici, per favore. «Allora diciamo che ci sono dei costi enormi, legati alla rete ferroviaria, di cui lo Stato dovrà sempre farsi carico, almeno in parte, in quanto le ferrovie sono anche un servizio pubblico, un mezzo di trasporto a basso impatto ambientale, sono insomma un bene collettivo che ha un prezzo. E poi c'è il costo del lavoro. I ferrovieri costano complessivamente 10 mila miliardi l'anno: il 25% in più di quanto costino in Francia e il 40% in più di quanto costino in Germania. Capisce bene che se parliamo di privatizzazione e quindi di libera concorrenza sul mercato, la questione diventa sostanziale». In sostanza: la privatizzazione va avanti a piccoli passi e sarà possibile solo quando si sarà trovata una soluzione per i conti complessivi e per il costo del lavoro in particolare. Quindi a questo punto entrano in scena i sindacati. Con i quali lei ha avuto un rapporto brusco, ma che due giorni fa, attraverso il segretario della Uil Larizza, le hanno offerto dalle colonne della «Stampa» il calumet della pace. Cosa vede in prospettiva? «Sistemiamo prima la controversia. Me la sono presa con alcuni di loro che vanno facendo i moralisti, quando sono stati corresponsabili di più o di meno a seconda dei casi - dello sfascio che dobbiamo gestire. Ciò detto, Larizza proponeva di riprendere un dialogo abbandonando le mutue diffidenze. Mi sembra un'idea eccellente e mi vede assolutamente disponibile. Ma il tema del costo del lavoro è ostico: qui ci sono manager con stipendi ridicoli e ferrovieri pagati come professionisti. La collaborazione con i sindacati è indispensabile per risanare le ferrovie ma - sia chiaro - bisogna mettere mano al portafoglio». Raffaello Masci «Nello sfascio che dobbiamo gestire il tema del costo del lavoro è ostico Qui ci sono manager con stipendi ridicoli e ferrovieri pagati come professionisti Sia chiaro che per poter risanare le Ferrovie bisogna mettere mano al portafoglio» sisd Claudio Demattè, presidente delle Ferrovie. A destra, ispezione sul treno deragliato ieri a Monterotondo

Persone citate: Burlando, Claudio Demattè, Demattè, Larizza, Raffaello Masci

Luoghi citati: Francia, Germania, Inghilterra, Monterotondo