Ritz, cento anni da re

Ritz, cento anni da re la memoria. Il leggendario hotel parigino apriva i battenti nel giugno del 1898 Ritz, cento anni da re Fra Chanel e Hemingway, Goering e Evita PARIGI DAL NOSTRO CORRISPONDENTE I suoi primi 100 anni, il Ritz li ha compiuti ieri, ma alla chetichella. Guai a fargli gli auguri: temendo che nel battage per gli onnai vicinissimi Mondiali l'augusto genetliaco non riceva le dovute attenzioni, l'albergo sul quale Hemingway giurava «credo il Paradiso gli somigli», celebrerà la ricorrenza solo in autunno. Quando cioè la sbornia pallonaro (e il primo anniversario della morte di Diana Spencer, schiantatasi dopo un'«ultima cena» al Ritz con Dodi Al Fayed) non turberanno più i festeggiamenti. Nessuna indiscrezione sul gala centenario. Ma il Ritz ci ha abituati agli eccessi. Il 9 luglio '900, per esempio, il giardino venne camuffato da banchisa polare e la grande sala in lussureggiante foresta dei Tropici. Altri tempi, si dirà. Ma per il Ritz, il tempo non passa. Anche se Coco Chanel non abita più qui, e solo il fantasma di Wallis Simpson si aggira fra le colonne di marmo rosa, l'Hotel vive un'eterea seconda giovinezza. Non è merito solo della leggenda. Al Fayed senior vi ha speso negli ultimi 19 anni la bagatella di 250 milioni di dollari, vale a dire 8 volte l'esborso iniziale necessario per acquistarlo. Voleva il Ritz tornasse a meritare la sua fama. Fatto. La clientela odierna - e ricordiamo Woody Alien che in Tutti dicono I love you gli riserva alcune sequenze gustose - si ritrova ostaggio di un vero Eden alberghiero. Ci mancherebbe, con la singola che sfiora il milione. E tuttavia il prezzo da capogiro non basta per garantire l'eccellenza. Ma se la «cave» allinea 100 mila bottiglie (l'etichetta più antica risale al 1812), la piscina è un gioiello liberty da 16 metri x 7, il personale supera del doppio i clienti e l'ex direttore è citato nella Recherche proustiana, be' forse ci troviamo sulla buona strada. In ogni caso, Edoardo VII, Charlie Chaphn, Cole Porter, Francis Scott Fitzgerald (che fece scandalo divorando il mazzo di fiori ri- fiutato da una bellissima e sconosciuta destinataria), Malraux... non ebbero dubbi. E neanche Goering, se vogliamo alzare il velo sugli Anni Bui, quando il Ritz ospitava il quartier generale della Luftwaffe e tra gli ospiti abbondavano gli «italienischen Kamaraden» come Teruzzi o Farinacci. La Sinistra, effettivamente, latita. Con qualche eccezione per confermare la regola. Si mormora De Michelis avesse un debole per il Ritz. Sartre no, ma ci andò lo stesso per incontrare l'immancabile Hemingway (che nell'agosto '44 raccontano le cronache, «liberò» l'hotel, revolver in pugno come un cow-boy, ottimo alibi per l'ennesima sbornia). Lo accompagnava Simone de Beauvoir. Stanco, il filosofo rincasò a sera. Ma Simone tirò l'alba. E dalle confidenze che il poco galante Ernest fece a un suo connazionale trapelano dettagli assai scabrosi. Perché, malgrado l'aplomb, il Ritz alberga volentieri passionacce. E personaggi non esattamente british. Eva Perón, ad esempio. Sbarcò nel primo dopoguerra come una starlet affamata di sguardi voluttuosi. L'attendevano, sul famoso peristilio, orfanelle inneggianti. Madame giunse in scena come una soubrette d'antan. Cappelliere, valletti, fans. Anziché uscire per il tradizionale shopping in Place Venderne, convocò - e fu la prima - i couturiers. Il Ritz si trasformò in un goldoniano caravanserraglio. E fu il trionfo della capricciosa Evita. Ma torniamo al primo giugno 1898. Quel giorno, Ritz smise di essere un cognome per entrare nel mito. Grazie a uno svizzero. Originario di Niederwald, Cesar Ritz testimoniò giovanissimo una vocazione per l'hòtellerie top. Il suo paesino tra i boschi gli andava stretto. Fu il Mozart dei sommelier. Diploma a sedici anni! Lasciò ben presto il natio borgo selvaggio per conoscere il Gran Mondo. Ca- meriere, indi maitre, impiegato, gerente e... padrone. Ad ogni tappa, imparava qualcosa. Nel Baden conquistò i tedeschi proponendo raffinatezze che lo spirito teutonico neppure immaginava. A Londra vide esordire il Savoy. Ma trovava il servizio deplorevole, e la cucina opaca. Non ne avrebbe promise - ripetuto gli errori. Con un bel gruzzolo in banca, si guardò attorno. Toccava a lui. Il suo motto: «Creare un albergo ove i Grandi si sentano a casa». L'idea finì per stregare il Principe di Galles. «Seguirò Ritz ovunque vada», si lasciò sfuggire. Ma il Trono gli impedirà di mantenere la promessa. Cesar Ritz aveva deciso, in effetti, che Parigi era ideale per un esordio. Comprò una dimora patrizia che appartenne al segretario di Luigi XIV. E ne fece il suo regno. Acqua corrente e luce elettrica in ogni stanza, sanitari di lusso. Qualcuno ironizzò. «Chi vorrebbe vivere con una euvette inamovibile in camera?», s'indignava Oscar Wilde. Ma il leggendario igienismo elvetico conquistò la Parigi bene che al sapone preferiva, da sempre, i profumi. Il Ritz esordì, insomma, già al top. In cucina, nientemeno che Escoffier. Battezza le sue creazioni con appellativi femmmili, introduce (nel 1901) il caviale, e veglierà come un cerbero gourmet sui propri exploit. Con il '14-'18, la sontuosa dimora sarà nondimeno costretta a improvvisarsi ospedale. Ma insieme con la vittoria giunge la ripresa del blasone alberghiero-gastronomico. La famiglia Ritz succede al fondatore. Però non ne possiede il genio manageriale né i talenti da entertainer. E inizia il declino. Invisibile dall'esterno, agro per gli aficionados. Con Mohamed Al Fayed la svolta. Dopo la Svizzera, è l'Egitto a miracolare il Ritz. La Francia e il mondo, commossi, ringraziano. Enrico Benedetto Grande esordio con Escoffier in cucina; oggi una singola costa un milione Festeggiamenti rinviati all'autunno, ma il programma è segretissimo Un esterno del Ritz; il suo fondatore. Cesar Ritz, arrivava dalla Svizzera e aveva fatto carriera negli alberghi tedeschi e inglesi Da sinistra Hermann Goering, che fece del Ritz il quartier generale tedesco durante l'occupazione, e Ernest Hemingway

Luoghi citati: Baden, Egitto, Francia, Galles, Londra, Parigi, Svizzera