La scelta più sofferta di Pietro il «Grande» di Zeni
La scelta più sofferta di Pietro il «Grande» La scelta più sofferta di Pietro il «Grande» NMILANO ESSUNO è insostituibile», aveva detto un anno fa quando, dopo la rottura improvvisa del matrimonio con l'Hdp che allora si chiamava Hpi, qualcuno mormorava di un malumore diffuso dei Marzotto, fratelli, figli e nipoti, nei confronti di zar Pietro il grande, il timoniere di Valdagno. Non era vero niente e le voci chissà da dove venivano e da chi erano messe in giro. Ma lui, Pietro Marzotto, non aveva battuto ciglio: c'è chi può fare meglio di me? Pronti, si accomodi. Esplicito, diretto. Poche battute ma chiare, come sempre. Impossibile, per lui, comportarsi diversamente, nascondersi dietro giri di parole, giudizi fumosi, commenti contorti. Mai. E così, tanto per tornare all'oggi, ecco spiegato perché, adesso che Pietro il grande ha deciso di lasciare la presidenza del gmppo a un manager, è impensabile immaginarlo, un domani, in politica. «Lo escludo nella maniera più as-so-lu-ta», dice scandendo le sillabe. E sorride accendendosi l'ennesima sigaretta, la ventesima, la trentesima, chissà? La politica - ma figuratevi con i suoi riti e le sue ipocrisie: non che non ci abbia navigato, quando è stato necessario, tra i risvolti della politica, Pietro Marzotto. Ma a modo suo: mai schierandosi, mantenendo sempre quell'autonomia di giudizio che per qualcuno è supponenza e per altri è il naturale distacco che dovrebbe esserci sempre tra imprenditoria e politica. Erede naturale, dicono di lui a Valdagno, di nonno Gaetano, quello della statua nel centro del paese abbattuta in pieno '68. Anche Gaetano non amava la politica: se ne serviva, da buon conservatore, ma pensava anche agli operai, alle case, agli asili, agli ospedali, altri tempi, certo, rispetto a questo Nord-Est ricco e industrializzato cresciuto pian piano sull'eredità di padri e nonni contadini. «Un po' contadino lo sono anch'io», raccontava anni fa Pietro riconoscendo di apprezzare valori antichi, la buona tavola, l'amicizia, prudenza e previdenza. Così, a sessantanni e mezzo, ha deciso di lasciare, Pietro il grande. Per scelta, dopo aver attentamente pilotato il passaggio della sua Marzotto da impresa familiare, o quasi, ad azienda in mano ai manager. Dopo cinque generazioni il bastone del comando non sarà più in mano a un Marzotto: lui, due fratelli, Paolo e Umberto, due nipoti, Gaetano e Stefano, siederanno in consiglio, ovviamente conteranno più di chiunque restando loro gli azionisti di controllo, peserà più di tutti Pietro («Continuerò - ammette ad assistere il nuovo presidente ogni volta che lo chiederà») che tra i Marzotto è l'azionista numero uno, quello con più azioni, con più peso, con maggior carisma. Ma il dado è tratto, dopo 25 anni, addio ufficio. Doveva succedere: anche a Valdagno, provincia apparentemente ricca e felice, le successioni hanno i loro riti. Come a Milano per i Pirelli o a Torino per gli Agnelli. Primo o poi succede che le grandi famiglie industriali lascino il passo a un manager, a un Marco Tronchetti Provera, a un Paolo Fresco, a un Jean De Jaegher, l'importante è farlo al momento giusto con gli uomini giusti: così la pensa Pietro Marzotto, classe 1937, tre figli, esponente di punta del capitalismo familiare made in Italy, che ieri ha lasciato il gruppo a un belga, De Jaegher appunto, che in trent'anni ha imparato il veneto. «Ho bisogno di più tempo per stare coi miei figli e nipoti», ha detto, ieri, nella sua ultima assemblea a Valdagno. I presenti l'hanno applaudito commossi. Uno, amico d'infanzia, ha sussurrato a bassa voce: «Ma Pietro se ne va sul serio?». Armando Zeni
Persone citate: De Jaegher, Jean De Jaegher, Marco Tronchetti Provera, Paolo Fresco, Pietro Marzotto
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