Teheran s'inchina alla Bomba islamica di Mimmo Candito

Teheran s'inchina alla Bomba islamica Mentre i premier del subcontinente esaltano la pace, si parla già di nuovi test militari Teheran s'inchina alla Bomba islamica // ministro iraniano a Islamabad: uno scudo musulmano ISLAMABAD DAL NOSTRO INVIATO Non è affatto finita questa sporca storia, che ci ha riportato alle paure ossessive di 50 anni fa. Non è proprio finita, gli indiani tornano ora a parlare di nuovi esperimenti («subcritici», li dicono con ipocrisia indecente), e il Pakistan fa sapere che deve testare ancora una volta i suoi missili balistici. Ma, aggiunge poi subito il dottor Samat Mobank Band, quello che ha fatto scoppiare le atomiche di giovedì e di sabato scorso, «se sarà necessario possiamo già montarli con la testata radioattiva in meno di un'ora». Cinquantanni fa, questa la chiamavano la Corsa Atomica, a ogni fuga in avanti americana rispondeva una nuova fuga sovietica, e sapevamo tutti che al traguardo c'era comunque la morte del pianeta. In quegli anni, o forse anche in tempi più amari, Brecht scriveva che «i mercanti di cannone parlano di pace»; anche oggi qui Vajpayee e Sharif esternano ogni giorno a folle plaudenti il loro irrefrenabile desiderio di pace. Però i due leaders non hanno dietro di sé soltanto i cannoni di Brecht, un'angoscia senza frontiere accompagna ormai i balletti nazionalistici di questo quasi-continente che nelle proprie statistiche annovera la sua prima atomica ma anche 300 milioni di morti di fame. Siamo alla foiba. In questi giorni, un politologo pakistano ci diceva con il petto che pareva un tacchino: «Ormai siamo una grande potenza, abbiamo messo da parte voi dell'Italia, la Germania, il Giappone». Ci sarebbe da ridere, se questi due Paesi con un tasso di analfabetismo che va dal 50 al 65 per cento non avessero tra le mani un'arma della quale sono forse incapaci di misurare perfino la dimensione politica. Ieri la nuova misura di questa dimensione si è cominciato a provarla. Sotto un bel sole, e con l'inappuntabile camicia bianca chiusa al collo ma naturalmente senza cravatta, è sbarcato all'aeroporto Karnal Kharrazi, ministro degli Esteri iraniano; e sono stati baci e abbracci quab nemmeno Breznev quando incontrava un Gomulka o un Husak. Non è che qui siamo al grande Paese e ai Paesi satelliti (il Pakistan, anzi, la può guardare col binocolo, la ricchezza dell'Iran), però qualcuno comincia a scrivere sui giornali di «nascita dell'impero musulmano», e lo stesso Kharrazi ha dovuto pagare il tributo dei mullah petrolieri ai neo-ricchi di Islamabad. Ha detto: «Il Pakistan ci offre una sicurezza che prima mancava, a tutti i musulmani del Medio Oriente. Finora pensavamo che in questa regione soltanto Israele potesse rivendicare un arsenale atomico. Oggi ci sentiamo più fiduciosi, la capacità nucleare pakistana è un deterrente efficace nei confronti del sionismo». C'è da giurare che né a Washin gton, né a Gerusalemme, queste parole siano passate inosservate. Il dottor Abdul Kadir Khan, il padre dell'atomica pakistana, l'altro giorno, quando gli abbiamo posto l'ovvia domanda sulla nuova bom ba come Bomba Islamica è scop piato in una risata: «Ma perché ha chiesto allora lui - forse che voi dite che la bomba francese o inglese sia una Bomba Cristiana, o quella di Israele una Bomba Ebraica? Suvvia, caro signore, le bombe non hanno religione». Khan è uno scienziato, e ha il diritto di fingersi anche ingenuo; gli scienziati hanno sempre le mani pulite. Ma la realtà è assai più complessa e drammatica di quanto lui voglia venderci. E che quella bomba cambi molte cose in questa parte del mondo lo si era visto già giovedì scorso, poche ore dopo che il premier Sharif aveva dato il suo storico annuncio alla televisione. Quel pomeriggio, nel vecchio salone dell'ambasciata dell'Azerbaijan si cele¬ brava la festa nazionale della Repubblica ex sovietica. In altri anniversari era sempre stata una festa di serie B, per la quale molti ambasciatori trovavano scuse sempre valide per farsi sostituire da un giovane consigliere; questo giovedì invece il corpo diplomatico era schierato al completo, fra baffoni d'ordinanza e grisaglie a doppio petto. La circostanza era troppo ghiotta per poterla mancare, e infatti a nessuno sfuggì quel giorno che a fare le congratulazioni più vivaci ai dignitari pakistani che entravano per prendersi l'invidia e la sorpresa di molti convitati furono soprattutto l'ambasciatore palestinese Abdul Razzak al-Salman e quello iraniano Mohammed Akhunzade. Che il palestinese si aprisse in elogi e compiacimenti senza alcun freno, era un risultato che si poteva dare per scontato. Ma che anche l'iraniano volesse far sapere a tutti quanto febee fosse il suo Paese e quanto da sempre l'Iran sia stato al fianco del Pakistan e gli abbia dato mia mano in ogni momento di necessità, beh, questa è una bugia grossa come mia casa e che soltanto un ambasciatore professionista può pronunciare senza arrossire di vergogna. Iran e Pakistan sono concorrenti fin dai tempi di Khomeini, e in tutti questi anni la guerra che si è combattuta in Afghanistan è stata anche una guerra tra Pakistan e Iran. C'erano cento ragioni, dietro: le etnie, la fede sunnita o sciita, gli interessi americani o sovietici, l'oleodotto che deve portare verso i mari caldi i ricchi giacimenti del Turkmenistan, anche l'egemonia nel Golfo e nel Sud-Est asiatico, un intrico infernale insomma per il quale si fingevano sorrisi e neutralità ma tutti sapevano che là dove c'era un Kalashnikov di origine iraniana che sparava le sue raffiche, lì di fronte aveva sempre mi Kalashnikov che arrivava da Islamabad. Ora Akhunzade e Kharrazi dicono che no, che non era vero, e sono soltanto complimenti e grandi baci e abbracci. Ecco, che cosa fa la Bomba. Cambia gli equilibri politici, fa scalare di rango, assicura potenza e credibilità. La visita di Kharrazi non è che sia un'invenzione dell'ultima ora, stava da settimane nell'agenda diplomatica. Ma le due esplosioni dei giorni scorsi l'hanno trasformata, le danno un rilievo che mai, prima, avrebbe potuto sognarsi. E già si parla di nuovi contratti tra Teheran e Islamabad, di prestiti a basso costo, di joint-ventures per lo sfruttamento dei giacimenti di gas. Mimmo Candito Manifestanti a Karachi sollecitano il montaggio di testate nucleari sui missili