DIETRO IL TRIONFO DEL GIULLARE

DIETRO IL TRIONFO DEL GIULLARE DIETRO IL TRIONFO DEL GIULLARE tchcock, quando gli chiedevano i segreti di un buon film rispondeva: «Sono tre: the story, the story, the story». La storia, la storia, la storia. Chissà se Martone o Salvatores, per citarne due a caso, ci hanno mai pensato. Sulla scia di una cultura di casta che risale alle corti del Rinascimento, il cerchio degli addetti ai lavori - produttori, registi, sceneggiatori, critici - considera il pubblico pagante una fastidiosa e volgare appendice. Si girano film pieni di snobismi o di schifezze, ma i Nanni Moretti e i Vanzina partono da un presupposto identico: il disprezzo per lo spettatore medio. Quello che dai tempi di Omero, anzi di Gilgamesh, si accosta alla fiction sempre con lo stesso desiderio: vuole potersi identificare in una storia e in un personaggio, e vuole che questo 1 personaggio cambi durante la storia e agisca, anziché parlare, perché solo sotto pressione potrà rivelarci la sua intima natura. Questo tipo di spettatore non va al cinema per ascoltare un saggio filosofico o ammirare soltanto i costumi e la fotografìa: ci va per vivere un'esperienza emotiva più pura e completa di quelle che può offrirgli la realtà quotidiana della sua esistenza. Ma per preparare questa «spremuta di vita» occorrono autori autorevoli, capaci cioè di creare un universo anche piccolo, come quello di Bergman, ma completo e credibile. I nostri, invece, scrivono per lo più di argomenti che non conoscono e che non studiano. E così si rifugiano nei cliché o nei deliri onirici: non ho mai visto un giornalista autentico, nei loro film, e immagino che le casalinghe, i bancari, i manager e i droghieri po- trebberò dire lo stesso. Forse non è colpa loro, è un problema nazionale. Noi non abbiamo mai avuto romanzieri. L'unica cosa che sappiamo raccontare decentemente sono le barzellette. Ai nostri intellettuali la fiction ha sempre fatto un po' schifo: preferiscono i saggi, i diari, i pamphlet. Thelma e Louise, noi non le butteremmo nel deserto americano con la polizia alle calcagna: le faremmo conversare in un salotto sui limiti del femminismo. L'unica, a questo punto, è che il cinema imiti fino in fondo la letteratura. Nelle librerie esiste un reparto-saggi (dove gli italiani vendono un sacco) e uno per la narrativa (dove i nostri si danno arie da soubrette ma non li legge nessuna persona normale). Non resta che creare la stessa distinzione nelle sale: film di poesia, di saggistica e di narrativa. Con la consapevolezza che quest'ultima è ormai il linguaggio di popoli più freschi del nostro: anglosassoni e sudamericani. Massimo Grarnellini

Persone citate: Bergman, Martone, Nanni Moretti, Salvatores, Vanzina