SAVONAROLA A TUTTO FUOCO di Anacleto Verrecchia
SAVONAROLA A TUTTO FUOCO SAVONAROLA A TUTTO FUOCO Una «vita» impareggiabile SAVONAROLA OLA RIVOLUZIONE DI DIO Ivan Cloulas Piemme pp. 437 L. 35.000 SAVONAROLA OLA RIVOLUZIONE DI DIO Ivan Cloulas Piemme pp. 437 L. 35.000 ISOGNA riconoscerlo e togliersi il cappello: i francesi sono impareggiabili nello scrivere biografie. Non hanno né la pesantezza dei tedeschi, né la legnosità accademica degli italiani. Leggete la biografìa di Byron scritta da Maurois, oppure quella dell'imperatore Giuliano scritta da Benoist-Méchin. Ma anche Ivan Cloulas è francese, e la sua biografia di Savonarola supera tutte le altre, compresa quella scritta da Ridolfi, per stile, immediatezza é drammaticità. Qui la figura del frate domenicano e predicatore apocalittico rivive pienamente con tutta la sua megalomania, i suoi chiliasmi, la sua fede incrollabile, i suoi slanci, i suoi fanatismi e anche la sua pazzia mistica. Il libro procede spedito e ha quasi l'andamento di una tragedia. L'autore domina la materia e conosce l'arte della narrazione, senza perdersi in lungagnate sociologiche o psicologiche, come di solito fanno quelli che non hanno niente da dire. Non mi stancherò mai di ripeterlo: oggi si psicologizza o si storicizza tutto, perché non si è più capaci di pensare. Diciamolo francamente: come tutti quelli che si credono Weltverbesserer, miglioratori del mondo, Savonarola era un fanatico e come tale anche pericoloso. Possiamo a buon diritto considerarlo un precursore di Calvino, il cacicco teocratico di Ginevra. Ma la Firenze del Rinascimento non era la Ginevra di Calvino; e instaurarvi un regime da Vecchio Testamento, come in fondo voleva fare Savonarola, significava avere poca conoscenza del mondo e degli uomini. Era dunque prevedibile che prima o poi la folla da lui aizzata gli si rivoltasse contro. Savonarola vide nell'arrivo di Carlo VETI un segno deUa Provvidenza. Ma i fiorentini non furono da meno e accolsero con grida di giubilo il sovrano francese, mentre Marsilio Ficino, in una vibrante orazione latina, lo paragonava a Giulio Cesare e magari anche al Padreterno. Che popolo strano e paradossale! Il ritmo del libro diventa sempre più incalzante a mano a mano che ci si avvicina verso l'epilogo. A segnare la fine di Savonarola fu la sfida alla prova del fuoco lanciatagli da un francescano: le fiamme avrebbero fatto da giudice, risparmiando chi era nel giusto e divorando chi era nel torto. Insomma quei frati ossessi e fanatici ricorrevano all'ordàlia, come se il Dio cristiano fosse un fuochista. A impedire quella prova di barbarie e di pazzia religiosa fu Giove Pluvio, che assennatamente fece cadere un violentissimo acquazzone sul palco allestito per la bisogna e sull'immensa folla di balordi che si erano radunati in piazza della Signoria. Ma la credibuità profetica di Savonarola ne uscì sconfitta. Ciò avveniva il 7 aprile del 1498. Il giorno dopo la marmaglia, sobillata dagli Arrabbiati, prese d'assalto il convento domenicano: «All'arme! All'arme! A San Marco, a fuoco!». La Signoria ne approfittò per far arrestare Savonarola e due dei suoi seguaci più fedeli, fra Domenico e fra Silvestro. E qui cito l'autore: «Quando i frati compaiono sulla piazza tra le guardie, incatenati come malfattori, dalla folla si alza un tremendo urlo di odio. I domenicani avanzano tra sputi, ingiurie e bestemmie. Il volgo si diverte a insultare colui che a lungo è stato venerato come un santo e considerato il signore della città. Al lugubre bagliore delle fiaccole, Savonarola non vede che volti stravolti dall'o¬ dio». Qualcuno lo prese anche a calci nel sedere, sghignazzando e dicendo che quello era il punto da cui Savonarola «profetava». Non c'è niente di peggio, soleva dire il mio vecchio amico Prezzolini, della marmaglia inferocita; e ora Savonarola, che per molto tempo l'aveva aizzata in nome di Dio, ne faceva esperienza sulla propria pelle. Per oltre quaranta giorni egli e i suoi due confratelli furono interrogati, torturati e seviziati come sa fare solo la malvagità umana. Colui che, al pari di Gioacchino da Fiore, aveva preconizzato l'avvento dello Spirito Santo dovette subire perfino l'oltraggio di essere spogliato completamente nudo: volevano esaminare i suoi genitali e vedere se per caso fosse ermafrodito. Così, oltre a torturarlo nella carne, lo umiliarono nello spirito. E Francesco Romolino, capo dei commissari apostolici che Alessandro VI aveva mandati a Firenze con la condanna a morte già bell'e pronta, esultava: «Morrà ad ogni modo. Noi faremo un bel fuoco, ho già la sentenza in tasca». Ma un vero aguzzino non ama veder morire subito la sua vittima: ci sarebbe poco gusto. Così il giudice papale ordina che Savonarola venga ancora una volta spogliato nudo e torturato. L'infelice mostra le sue carni straziate e implora pietà, ma Romolino non si lascia commuovere. Affrettiamoci almeno noi, perché il cuore non regge alla lettura di certe cose. L'esecuzione dei tre frati avvenne la mattina del 23 maggio 1498 in piazza della Signoria, dove era stato preparato il rogo. Un testimone oculare riferisce che «pioveva viscere e sangue», e che l'orrendo spettacolo accresceva (da soddisfazione bestiale» dei presenti. Ma perché bestiale! Umana, bisogna dire, molto umana! Nessun animale uccide per il piacere di uccidere, ma solo per necessità. C'è anche da dire che molti arumali, come mi diceva Konrad Lorenz a Vienna, sono cavallereschi e si arrestano dinanzi a una preda indifesa. Per esempio il lupo. Ma non si arrestarono i giudici papali dinanzi al corpo straziato di Savonarola e vollero anche vederlo tra le fiamme. Eppure Santa Madre Chiesa ci assicura che gli uomini hanno l'anima e gli animali no. Io mi regolo in senso opposto. Anacleto Verrecchia Girolamo Savonarola andò al rogo giusto cinque secoli fa, il 23 maggio del 1498 Al domenicano ha dedicato una biografìa il francese Ivan Cloulas
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