ETICA E ANIMALI : LA ZANZARA HA I DIRITTI DEL VITELLO?

ETICA E ANIMALI : LA ZANZARA HA I DIRITTI DEL VITELLO? ETICA E ANIMALI : LA ZANZARA HA I DIRITTI DEL VITELLO? Luisella Battaglia (a cura di) ETICA E ANIMALI Liguori pp. 352 L. 46.000 Luisella Battaglia (a cura di) ETICA E ANIMALI Liguori pp. 352 L. 46.000 N vitello in allevamento intensivo vive dai 13 ai 15 mesi in un involucro lungo 60 centimetri e alto 140, legato con una catena perché non possa muoversi (e così sviluppare muscoli poco gustosi). E' alimentato con una dieta liquida priva di ferro perché la sua carne rimanga tenera e bianca. E' sempre al buio, per ridurne al minimo l'irrequietezza, ed esce soltanto una volta, per andare al macello. E' indubbio che descrizioni del genere ci turbino e (se ci piace la carne di vitello) possano anche metterci in crisi; ma non è chiaro se questi sentimenti costituiscano premesse adeguate per un discorso morale. Etica e animali, a cura di Luisella Battaglia, è un'utile raccolta di testi sull'argomento. Sono testi non nuovissimi (gli originali, tutti di lingua inglese, risalgono ai primi Anni Ottanta), ma da allora il dibattito non ha fatto grandi progressi e leggendo questo libro se ne possono capire i motivi, Ci si rende conto che da un lato il problema di come trattare le altre ' specie è delicato e complesso, tale da costringerci a un ripensamento dell'etica, e dall'altro gli strumenti con cui lo si è affrontato finora non promettono un luminoso futuro. Reagendo all'importanza assoluta accordata dal fondatore dell'utilitarismo Jeremy Bentham alla quantità di piacere e dolore provata da ogni essere senziente, John Stuart Mill asseriva che è meglio un Socrate insoddisfatto di un maiale soddisfatto. Era una battuta formulata con ottime intenzioni e con ovvio (e valido) intento educativo, ma era anche fondata su un pregiudizio tanto naturale quanto gratuito: che cioè Socrate fosse giudice esperto non solo dei piaceri e dolori propri della sua attività filosofica ma anche di quelli (per esempio mangerecci) del suino, e non viceversa, e dunque a Socrate, ma non al suino, si dovesse dar credito quando sceglieva di confabulare con i suoi discepoli invece che (mettiamo) di rotolarsi nel fango. Ma, si domanda qui Edward Johnson, come faceva Mill a sapere che così stavano le cose? Non è possibile invece che Socrate capisse tanto poco dei piaceri del maiale quanto quest'ultimo capisce delle gioie della filosofia? E se la nostra pretesa superiorità si riducesse così a una semplice diversità, come potremmo ancora evitare di prendere in seria considerazione le preferenze (e sofferenze) di vitelli e maiali? I tredici interventi raccolti da Battaglia esplorano varie strategie di risposta a queste domande. C'è chi suggerisce di usare la complessità mentale (James Rachels) o l'autocoscienza (Dale Jamieson) per tracciare distinzioni tra uomini e (altri) animali; chi ritiene (Bernard Rollin) che gli animali abbiano precisi diritti, da salvaguardare eventualmente mediante opportuni tutori umani; e chi (Peter Singer), per quanto vegetariano, sarebbe disposto a mangiare un agnello accidentalmente travolto da un'automobile. C'è anche chi (Annette Baier) propone, sulla scia di Hume, di partire dalla «simpatia» che proviamo per gli altri esseri viventi per costruire un'etica meno unilateralmente «razionale». Questo libro è un'impietosa radiografia di una situazione intellettualmente e moralmente insostenibile. All'indomani di Auschwitz e delle lotte contro la segregazione razziale, non siamo più in grado di sottoscrivere senza perplessità le tesi promulgate con bella sicurezza da Cartesio e Kant: che gli animali siano macchine più o meno sofisticate, e che sia legittimo trattarli come cose. Inevitabilmente, ci affiorano alla coscienza dichiarazioni analoghe a proposito di neri o ebrei, enunciate con altrettanta sicurezza, e ci chiediamo se queste abbiano il diritto di essere giudicate meno orribili. E, mentre r antropocentrismo assoluto comincia così ad apparire tanto dubbio quanto il razzismo dei tempi (si spera) passati, rimane il problema di quanto in là sia ragionevole andare nella «liberazione animale», e magari vegetale. Basterebbero condizioni di allevamento meno crudeli, o si tratta proprio di estendere l'ambito del quinto comandamento? Estenderlo solo ai vitelli, o anche a cozze e zanzare? Alle sequoie? Alla cicoria? E' un problema insieme profondo ed estremamente concreto, su cui fa piacere vedere i filosofi discutere. Ma il libro di Battaglia radiografa anche, con uguale (seppur involontaria) chiarezza, la situazione schizofrenica in cui versa l'etica contemporanea. Mentre autori come quelli presenti qui, di scuola anglosassone, si muovono perlopiù con strumenti storici e concettuali piuttosto limitati (basta vedere le castronerie che dicono di Hegel), stretti tra alternative esili come l'utilitarimo, il libertarismo alla Nozick e il contrattualismo alla Rawls, chi sembrerebbe avere a disposizione strumenti più raffinati preferisce invece occuparsi dei destini dell'Essere e guarda a ogni situazione (o anche espressione) concreta con orrore elitario. Così da un lato la discussione diventa presto vana: incapaci di riflessioni ricche e articolate, i filosofi che si occupano di animali (o di aborto, di eutanasia, della pena capitale, della fame nel mondo) si riducono a criticarsi l'un l'altro (io magari non avrò niente da dire, ma posso dimostrare con logica rigorosa che tu non sei in condizioni migliori). Dall'altro lato però c'è solo silenzio e allora, in questa dialettica perversa, devo dire che la mia «simpatia» (humiana?) va tutta alla buona volontà di Singer e compagni. Ermanno Bencfvenga Esce da Liguori «Etica ed animali», il punto sul dibattito filosofico che, partito dagli Usa, ora è arrivato anche da noi

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