«Ma noi andremo avanti lo stesso » di Alberto Rapisarda

«Ma noi andremo avanti lo stesso » IL DUELLO LA REPLICA DELL'ULIVO «Ma noi andremo avanti lo stesso » 77 leader ds: qualcuno vuol far arretrare il Paese ROMA ALGRADO le rinnovate asserzioni categoriche («la partita è chiusa»), l'impressione è che perda slancio l'offensiva-lampo di Silvio Berlusconi contro le riforme elaborate anche col suo assenso. Soprattutto perché si rivela impopolare l'azione di guastatore contro l'elezione diretta del Capo dello Stato, ormai convenuta, gradita a Fini e al 79,8 per cento degli italiani. Dopo cinque giorni di assalti a testa bassa si coglie come una punta di disagio nel capo di Forza Italia, ora impegnato soprattutto a difendersi dalle accuse di incoerenza, voglia di tornare al passato, cecità politica che gli vengono rivolte dagli avversari ma anche dagli esterrefatti alleati (An e Ccd) e dai forzitalisti dissidenti capeggiati da Gaetano Martino. Tutti temono che realmente Berlusconi possa far nascere «un centro a forte caratterizzazione postdemocristiana», come denuncia Marco Taradash che sta con Martino. Le indiscrezioni (pubblicate ieri da La Stampa) sui consiglieri politici di cui si starebbe avvalendo Berlusconi hanno ulteriormente fatto crescere sospetti e timori. Si tratta di una ampia pattuglia di democristiani di lungo corso come Cirino Pomicino, Andreotti, De Mita, Cossiga più il craxiano De Michelis. Berlusconi si deve essere reso conto che accostare il suo nome a questi influenti personaggi politici di un passato sepolto deve, a torto o a ragione, offuscare il suo smalto di rinnovatore. Si spiega così l'impegno col quale ieri ha cercato di negare di avere «consiglieri» di alcun tipo. Ma nessuno dei suoi lo ha seguito su questa strada. Solo Francesco Cossiga si è preso l'impegno di fare il difensore d'ufficio di Berlusconi: «Non mi sembra che sia persona da lasciarsi manovrare o traviare da strateghi, che siano pagati o no». Il tema dei «consiglieri» occulti è stato al centro anche del discorso fatto ieri da Massimo D'Alema all'assembela dei cristiano-sociali a Montecatini. «Silvio Berlusconi è strumento, più che promotore,, del disegno di rottura sulle riforme. E tra non molto sarà una possibile vittima di forze che possono avere questo interesse. Forze che puntano allo sfascio, come la furia leghista, e altre che puntano al fallimento delle riforme e si oppongono alla costruzione del bipolarismo». Voleva spaccare l'Ulivo e invece si ritrova con il Polo in pezzi, ironizza D'Alema. A questo punto gli conviene «li- cenziare in tronco» i suoi consiglieri. «Berlusconi rischia di fare gravi danni non solo al Paese, ma anche a se stesso» ha avvisato il segretario dei ds. «Non si il¬ luda di essere lui a rifondare la vecchia de. Ci sono politici ben più preparati». Ancora una volta, Cossiga difende Berlusconi da D'Alema che gli sembra uno che fa «bizze in¬ fantili» da ragazzino viziato a cui sta per essere tolto di mano il giocattolo e che usa «linguaggi altezzosi e prepotenti». Il proposito di D'Alema e dell'Ulivo è quello di accettare la sfida di Berlusconi e di andare avanti con le votazioni in Parlamento sugli emendamenti alla forma di Stato (martedì prossimo) e poi avanzando fino al voto finale. ((Alla fine, se qualcuno non ci vuole stare - diceva ieri un Franco Marini per nulla ottimista - che cosa si deve fare se c'è l'esigenza delle riforme? Dicono che medio, ma qui c'è poco da mediare». «D'Alema si sta comportando veramente bene» aggiungeva il vicesegretario dei popolari, Enrico Letta, che concordava sul fatto che si deve verificare in aula «fino in fondo» chi vuole buttare all'aria le riforme. In caso di fallimento delle riforme, la linea di riserva dell'Ulivo è quella di presentare in Parlamento tre disegni di legge costituzionali, come spiega Valdo Spini. Uno per l'elezione diretta del Presidente della Repubblica, senza poteri di governo. Il secondo per varare 3 federalismo già approvato in commissione e il terzo per una legge elettorale «che elimini il meccanismo insensato dello scorporo ed alzi lo sbarramento della quota proporzionale». Nessun accenno alla Assemblea costituente riproposta da Berlusconi come estremo rimedio per ricucire con l'alleato Fini. Il quale, scoraggiato e sfinito, continua a ripetere col pianto nel cuore che la partita delle riforme è chiusa, «i margini non ci sono più. Ciò che sento da D'Alema è un comizio. Mi sembra che sia già alla fase dello scontro». A un Berlusconi determinato ma isolato, ha di fatto dato un po' di respiro ieri il presidente del Senato, Mancino, che ha detto che «il bipolarismo non è una legge di Dio, ma un comodo strumento messo in essere dallo sfaldamento delle ideologie». E così «non si può fare una legge per cui tutti quelli che sono nell'Ulivo restano nell'Ulivo e quelli che sono nel Polo restano nel Polo. C'è mobilità nel Paese». Alberto Rapisarda «Furia leghista e altre forze si oppongono al bipolarismo» E anche Marini sembra rassegnato «Ma a questo punto cosa devo mediare?» Il segretario del ppi Franco Marini: da oggi riproverà a mediare fra D'Alema e Berlusconi

Luoghi citati: Fini, Montecatini, Roma