«Noi, miserabili con l'atomica» di Mimmo Candito

«Noi, miserabili con l'atomica» IA SFIDA MUSULMANA «Noi, miserabili con l'atomica» Un'ondata di nazionalismo acceca lefolle ISLAMABAD DAL NOSTRO INVIATO Quando la radio ha interrotto i programmi, il giovanotto sfilato che stava mangiando un solido pezzo di montone non ha mollato la sua presa nemmeno un attimo. «Il governo - diceva la voce - annuncia che questa mattina le autorità scientifiche e militari pachistane hanno condotto felicemente altri due test di esplosione atomica nella provincia di Chagai. A nome del Paese, il governo si congratula con i responsabili del programma nucleare». Poi music^tìfl,^K',Mentre l'interprete ascoltava e traduceva simultaneamente lda}]iurdu,.nu,gi^^^ del montone non ha mai alzato la testa dal piatto. Eravamo in una piccola trattoria del Punjab, una capanna di legno grezzo tirata su accanto a un canale, tra campi di grano verde che si aprivano nel sole. La trattoria ha anche un nome, si chiama «Sher», che vuol dire leone, e il proprietario spiegava che «Leone» in realtà è il nome che qui danno al grande fiume Indo e che lui aveva invece soltanto quel piccolo canale artificiale e doveva accontentarsi. Il Pakistan è pieno, di gente che deve accontentarsi. Qui la vita è dura, pochi quattrini, poco lavoro, una lunga fame, e una corruzione che è stata classificata come la seconda al mondo (capoclassifica non è quella italiana, comunque). Le prime cinque bombe dell'altro ieri avevano scatenato la festa popolare, e il delirio di potenza si rifletteva sulle miserie quotidiane di ognuno, le cancellava, gli dava nobiltà e riscatto; ma questa sesta bomba è un'altra storia, questa ormai è una faccenda consumata, e le miserie spigolose già tornano a contare assai di più, nella cronaca della vita di ogni giorno. Il montone, lui, doveva essere di quelli d'annata, con la carne dura, stopposa. Però il giovanotto seduto al tavolo accanto ha continuato il suo assalto senza fermarsi nemmeno a respirare. Tra fame e bomba, vince la fame. E qualcosa dev'essere cambiato, in questi due giorni. L'altro ieri il ministro degli Esteri aveva parlato come nemmeno Goldwater ha mai fatto, cioè un vecchio uomo politico gonfio d'orgoglio e di intransigenza, duro, quasi sprezzante. «De-vastan-te», sillabava al giornalista straniero, per spiegargli come sa rebbe stata la reazione militare se soltanto l'India avesse osato tenta re di attaccare il Pakistan armato ora di bomba atomica. Ieri, invece, il sottosegretario agli Esteri ha parlato come forse soltanto un monsignore potrebbe fare, predicando il desiderio di negoziare una soluzio ne pacifica e rassicurando che mai e poi mai il Pakistan vuol minacciare nessuno. Certo, il tono conciliatorio si accompagnava a un duro rituale di critiche contro l'India, accusata di essere espansionista, ambiziosa, malata di egemonia. Però questa sequela di imputazioni suonava come una formula obbligata, e l'ac cento che nel discorso spiccava con sonorità più forte era quello della necessità di trovare un tavolo per sedersi finalmente a discutere. Nawaz Sharif, il primo ministro, quello che giovedì ha fatto il solen ne discorso alla nazione, non è un uomo politico dalla testa calda, e conosce assai bene quali grosse difficoltà di bilancio abbia il suo governo, che senza i 6 miliardi di dol lari di aiuto dall'estero non riusci rebbe mai a far quadrare i conti di fine anno. Ma qui la bomba atomi 4. vV ca indiana aveva scatenato un'ondata di foiba collettiva che ha certamente travolto anche la moderazione di Sharif: «Ho buttato via la ciotola da mendicante», ha detto ieri riferendosi alla sfida lanciata ai principali fornitori di aiuti al Paese - gli Usa e il Giappone - che avevano chiesto «moderazione» e che hanno deciso le sanzioni. Tra India e Pakistan non c'è mai stata amicizia vera, già fin dalla nascita, cinquant'anni fa, quando il Pakistan venne creato soltanto dal fanatismo intransigente di Jinnah che fu sordo alle resistenze degli inglesi quanto alle suppliche del vecchio e sempre più stremato Mahatma Gandhi. I cinque milioni di persone ammazzate in quell'agosto del -A '47 non li ha più dimenticati nessuno, non gli indiani, ma soprattutto non i pachistani, che sentono ancora come una minaccia costante la continuità del gigantesco vicino, forte del suo miliardo di uomini. Figuriamoci ora che l'India aveva fatto esplodere la sua bomba atomica, e che dall'altra parte della frontiera faceva la voce grossa spiegando a questi di qui come voleva disegnare il futuro dell'Asia ora che poteva avere i muscoli che corrispondono al suo gigantismo demografico. L'India di questi tempi è governata dai nazionalisti del Bjp, e i nazionalisti non sono una forza politica fatta per tranquillizzare i vicini di casa, soprattutto quando la ruggine sta nel Dna dell'atto di naé scita dei due Paesi. Da queir 11 maggio del test indiano, per Sharif si è fatto impossibile resistere alle pressioni dei politici locali e della piazza che montava di paura e di furore. E l'altro ieri è arrivata anche la bomba pachistana. Le due settimane che ci son volute perché gli scienziati e i militari di Islamabad mettessero a punto il loro giocattolo radioattivo sono passate nell'attesa di «una condanna della comunità internazionale contro l'India» che non è mai arrivata. Qui dicevano «condanna» ma, naturalmente, intendevano dire aiuto concreto. Tra falchi e colombe, Sharif si barcamenava aspettando che qualcosa di serio, di solido, gli venisse offerto: la cancellazione del debito pachistano forse, o comunque una condanna vera dell'India e un superaiuto economico che rendesse credibile - e nobile - il sacrificio che lui avrebbe fatto di rinunciare al test della bomba. Però né i G-8 né l'Unione Europea sono andati al di là di vaghe e generiche formule di esortazione alla ragionevolezza; e con le sole esortazioni è difficile tenere tranquilla una piazza che freme di paura e di vendetta. Quando Clinton ha fatto l'ultima «implorazione» (così lui stesso l'ha definita), nella notte tra mercoledì e giovedì, ormai era troppo tardi per fermare la macchina del test atomico. E il giocattolo è stato montato. La Bomba Islamica - la bomba che Saddam, Khamenei, Gheddafi, il Già, l'Hamas dei palestinesi più duri, tutti costoro vorrebbero già avere e che comunque sperano un giorno di avere - è ormai una realtà che non può essere cambiata; ma fare di tutto per impedire ora che ci possano mettere su le loro mani irragionevoli i Saddam del mondo, questo può essere tentato. E ieri il vicerninistro degli Esteri lo ha detto chiaramente (per come possono essere chiari i messaggi cifrati che lanciano i politici), che «il Pakistan è fermamente intenzionato a non passare ad altre entità le proprie conoscenze nucleari». Shamshad Ahmad voleva dire che ora Islamabad ha un buon asso da calare sul tavolo delle sanzioni economiche; e Washington, Londra, Tokyo e Canberra ne prendano nota e aprano i cordoni della borsa. In questa brutta faccenda atomica i giochi non sono mai stati puliti, la doppiezza e l'ipocrisia hanno dominato in ogni mano che veniva tentata di fronte agli occhi atterriti del mondo. Ieri la radio governativa di qui ha parlato di «due nuovi test atomici», e così anche la tv locale, e c'è stato perfino un giornale che è uscito nel pomeriggio in edizione speciale annunciando a tutta pagina «Altri due test». Però il Pentagono ha fatto sapere che i suoi strumenti dicevano una sola esplosione, non due. Insomma, si può anche avere la bomba atomica, però poi essere una potenza nucleare è un'altra faccenda. E quello che il resto del mondo sta tentando è proprio questo, di impedire che ora indiani e pachistani trasformino la loro capacità nucleare in armi atomiche da montare sui missili balistici. La partita è drammatica, perché la morte radioattiva può sfuggire di mano a ogni controllo, soprattutto in Paesi nei quali la misura della responsabilità internazionale è sottoposta a troppe variabili emotive, a spinte di nazionalismo fanatico, a tentazioni fondamentaliste. Qui nessuno ha la chiavetta del doppio controllo, e un generale o un ministro impulsivi potrebbero troppo facilmente schiacciare il pulsante che scatena il fungo atomico. Per questo qui tutti hanno paura della voragine che si è aperta davanti al mondo. L'apprendista stregone va fermato. Mimmo Candito f Il primo ministro Sharif reagisce alle sanzioni decise da Washington e dalla Comunità internazionale «Abbiamo buttato via la ciotola da mendicante» Sopra il premier indiano Vajpayee. A destra, giubilo a Islamabad per i test atomici

Persone citate: Clinton, Gheddafi, Goldwater, Jinnah, Khamenei, Mahatma Gandhi, Nawaz Sharif, Sher