«Busta con le evasioni, mi arrendo»

«Busta con le evasioni, mi arrendo» «Busta con le evasioni, mi arrendo» Vallanzasca: ho perso la sfida e poi non saprei dove andare INTERVISTA SL TRAMONTO NOVARA DAL NOSTRO INVIATO Supercarcere: arrwa dal fondo della galera e del tempo -.dopo tre muri esterni, otto cancella due corridoi pieni di luce acciaio -, circondato da quattro guardiani e da una leggenda fatta di sangue, bottini, evasioni e inchiostro. Cammina dinoccolato, giubba blu, camicia rosa, jeans. Prima di sedersi fa: «Oè, dobbiamo parlare con tutta sta gente attorno?». Nessuno si muove. Lui gira lo sguardo burbero, poi di colpo scoppia a ridere: «Fa niente, dai. Credono sempre che io voglia levare le tende. Amen. E così sei venuto a trovare il vecchio René? Bravo, mettiti comodo. Com'è che gira D mondo, là fuori?». Renato Vallanzasca ha sempre i suoi occhi veidi, veloci e svegli. La catena d'oro al collo e la mandibola che si lavora il chewingum. Ha diciotto cicatrici addosso, sette omicidi, tre sequestri, una trentina di rapine, tre evasioni, quattro ergastoli e nessun rimpianto. Ride e accavalla le gambe: «Tutto quello che ho avuto, i soldi, le donne, la fama, la galera, le botte, me lo sono cercato. Avrei potuto fare il ragioniere, diploma nell'anno 1968, pensa te, ma ho scelto di occuparmi di banche alla mia marnerà: saltando il bancone. E ai miei tempi sono stato il miglior bandito su piazza». Lei sta parlando al passato... «Cos'è, mi dai del "lei" per farmi sentire ancora più vecchio? Dammi del tu, fa' il bravo». Dicevo che stai parlando al passato, non l'avevi mai fatto. «Al passato, sì. Guarda qui, ho smesso di fumare 5 mesi fa e sono ingrassato di 10 chili. Sai quanti anni ho? Non te lo dico, ma sono tanti. Così se vuoi ti regalo una notizia, scrivi: Vallanzasca Renato ha perso la sua scommessa, si è rotto i coglioni di scappare perché tanto non ce la fa, e adesso si arrende». Tu ti arrendi? «Mettila così: ho provato a evadere ogni giorno e ogni notte della mia vita qui dentro. Non ho mai pensato ad altro. A tutti dicevo: non mi rompete, io qui sono di passaggio, perché un leone non può stare in gabbia». Ci sei riuscito tre volte... «E ci sono arrivato vicinissimo almeno cinque. Ma di evasioni ne ho pensate più di cento». Ora basta? «L'ho capito il 30 dicembre del 1996, a Badu e' Carros, quando sono entrati nella mia cella e hanno trovato il cellulare a la 7,65». Li avevi nascosti dentro alla scatola di detersivo. «Sarei evaso 20 ore dopo, nella notte di Capodanno. Ci sarebbe stata la festa, e un grande casino in tutto il braccio. Io avevo i capelli lunghi fino alle spalle, me li sarei tagliati un minuto prima di uscire. Avevo il cappellino da mago e pure un naso rosso da clown. Me ne sarei andato senza fare rumore». Con la pistola, però. «Quella mi serviva per fare stare zitta la prima guardia. E poi per procurarmi l'indispensabile appena fuori: una macchina, dei soldi». Per quella tentata evasione hanno incriminato Susanna Pinna, la tua avvocatessa. «Lo so, ma sono balle, lei non c'entra niente. Figurati se, con tutti quei controlli, un avvocato poteva portarmi dentro il ferro e il telefono». Si disse che era innamorata di te. «Cazzate». Ti scriveva cose tipo: ituoi occhi mi bruciano addosso... «Ho ricevuto centinaia di lettere così, da donne che neanche conosco...». Quindi? «Quindi gli attrezzi sono entrati in un altro modo». Lo dirai al processo? «Io non ho mai detto niente ai processi se non le cose che riguardavano me». Allora parliamo di te. La prima volta che hai caricato un'automatica era il 1966. «Ero un ragazzino, sì. Facevo benzinai e supermercati. Mi beccarono, la prima volta, che stavo dietro a un portavalori». Riformatorio e poi di nuovo a scuola. «Mia madre voleva a tutti i costi che mi diplomassi. Non me ne fregava niente, ma lo feci». Era una buona famiglia la tua. «Sì, era brava gente. E infatti quando un cretino, a un processo, disse che io ero una vittima della società, gli scoppiai a rìdere in faccia e gli dissi: ma non diciamo cazzate». Cosa volevi, allora? «Volevo i soldi. Volevo la vita facile. Mi piacevano le donne, le auto, i cavalli. La sola idea di lavorare mi faceva schifo: sono nato delinquente e l'ho fatto. Tutto qui». Quante rapine hai fatto? «E chi se lo ricordai Tantissime. Non c'è niente di più bello che entrare in un posto, sdraiare tutti, restare calmi, e portarsi via il sacco». Bello in che senso? «Adrenalina, dominio, euforìa. La rapina è un concentrato di lampi, i tuoi e quelli degli ostaggi. Tu controlli tutto. Sai che stai portando via soldi a chi ne ha tanti, la banca, e insomma ti senti a posto... Fare i sequestri è un po' più infame, perché giochi sui sentimenti...». Per la verità tu ne hai fatti tre. «Sì, lo so». E allora? «Li ho fatti perché erano cambiati i rapinatori e le banche. Gli sbarbati per vigliaccheria si riempivano di coca e poi finivano per lasciarsi il morto alle spalle. Le banche cominciavano a mettere i Mondialpol alla porta e le casse a tempo. Era diventato un casino». E' vero che una volta sei rimasto dentro a una banca due ore? «Sì, a Como. Sono entrato con due ragazzi da nulla e ci siamo accorti che non c'era il direttore con le chiavi. Ogni tre minuti entrava qualcuno e alla fine avevamo cento ostaggi sul pavimento. I due ragazzi erano andati fuori di testa. Ho dovuto stenderne uno con un cazzotto e scaricargli le armi se no avrebbe fatto una strage. Con tutto comodo è arrivato il direttore. Gli ho detto: ma dove cazzo eri, stronzo! Ci siamo presi 300 milioni e ce ne siamo andati». Così passasti ai sequestri. Si disse che ci fu una storia d'amore tra te e Emanuela Trapani, figlia del padrone della Helene Curtis, 2 miliardi di riscatto. «Ma quale storia d'amore!». Non è vero niente? «Cazzate di voi giornalisti». Perché ridi? «Perchè sto ripensando alla Trapani, che era sveglia e pure simpatica, le dissi: se fai casino ti lego come un salame. Se fai la brava, puoi avere tutto quello che ci chiedi. Mi sono comportato così anche con gli altri sequestrati». Nel senso? «Nel senso che mi toglievo il passamontagna e gli facevo un discorsetto: mi riconosci, bravo. Se vuoi puoi stare ammanettato al letto con due Simmenthal al giorno. Se invece collabori, non pongo limiti: puoi avere pasti da ristorante, coca, champagne. Alla Emanuela Trapani sono andato pure a rubare un albero di Natale». E perché? «Perché lo voleva». Ci tieni al tuo personaggio? «Sono un megalomane, no?». Quelli sono stati anche anni pieni di sangue. «Lo so». Sei stato condannato per 7 omicidi. «So anche questo, ma ne ho fatti quattro. Tre me li hanno tirati dietro e tanto vale... Una volta che hai un ergastolo non c'è bisogno di far condannare qualcun altro». Quand'è la prima volta che hai ucciso? «Uscivo dalle Poste dopo una rapina a Milano. Ci intercettarono i carabinieri. Era il 1976, credo. Un brigadiere mi stavo correndo dietro e io gli sparai». Ci hai mai ripensato? «Onestamente no. In quei casi il primo che spara vive». E l'ultima volta che hai ucciso lo hai fatto in carcere, anno 1984, proprio qui a Novara. Era un ragazzo di 20 anni, si chiamava Massimo LoL «L'ho ucciso io e guai a chi me lo tocca». Perché? «Perché io stravedevo per quel ragazzo, gli volevo bene. E lui mi tradì. Quando uscì di galera fece una brutta rapina picchiando una donna anziana. Poi andò dalla mala a chiedere a nome mio un chilo di eroina. A nome mio! E se c'è una cosa con cui io non mi sono mai sporcato è la droga. Ho pensato: prima o poi torna dentro e regoleremo i conti». Come andò? «Che per sua sfortuna, qualche mese dopo, rientrò in galera. Lo incontrai, gli dissi: io e te dobbiamo parlare. I detenuti bloccarono il braccio. Andai da lui con due coltelli. Gli dissi: cornuto, adesso difenditi perché ti ammazzo. Ma lui lasciava andare il coltello, piangeva: sono il tuo figlioccio, non puoi ammazzarmi. E io: riprendi il coltello e difenditi. Alla fine mi diede una coltellata alla coscia. E quello mi scatenò». Gli staccasti la testa e la testa fu ritrovata nel cesso alla turca. «Non sono stato io, l'ho ucciso e basta». Rimorsi? «Mi è dispiaciuto per la madre che conoscevo. Lui si meritava quello che ha avuto». Pensi mai alla morte? «Ci penso sempre, da quando ho visto un sacco di miei amici morire. La dama nera è una buona compagna». Non ne hai paura? «No». Nel 1980, ti salvasti per un pelo. Stavi correndo fuori da San Vittore e ti tirarono una raffica. «Sì, mi presero che avevo fatto sì e no cento metri. Due colpi in testa e il resto in pancia». Che cosa ti ricordi? «Una grande calma, molto caldo, la sensazione di galleggiare». Credi in Dio? «Spero che non ci sia, visto come è fatto il mondo. No, non ci credo». Cosa pensi della pena di morte? «Che per certi versi è meglio della galera». Se ci fosse tu saresti tra i primi in lista. «Se io fossi un magistrato, spedirei Vallanzasca in una camera a gas». L'ultima volta che sei evaso, dal traghetto di Genova, nel luglio 1987, sei stato fuori 42 giorni. «Oh, sì è li ho passati a tutta velocità. All'inizio fu complicato allontanarmi perché non avevo niente di preparato». Come andò? «Che scesi dal traghetto fregando i tre sbarbati che mi facevano da scorta, salii su un autobus, scesi alla stazione, ma all'ultimo non mi fidai a entrare. Sai come arrivai a Milano?». No. «Non lo sa nessuno: ci arrivai a piedi». Come a piedi? «Non sapevo quanto vantaggio avevo sugli sbirri e non sapevo se c'erano già i blocchi in giro. Così mi infilai nelle campagne tenendomi a destra la ferrovia e a sinistra l'autostrada. In due giorni e due notti, a piedi, sono arrivato a Vigevano». I Ti ripresero a Grado, Veneto, ; in una pensione, con una don- i na. «Era una cameriera che avevo appena conosciuto. Avendo i minuti contati, con le donne sono sempre andato di fretta». E' vero che hai cinquecento foto di ammiratrici in cella? «Un po' meno. Ma adesso non succede più, chi se lo ricorda Vallanzasca?». E' anche per questo che ti sei arreso? ((Anche per questo, sì. Tra una balla e l'altra sono 21 anni che sto dentro. Mi sono fatto tutti gli speciali, tutti gli anni duri. La gente che conoscevo o è morta, o sta in galera, o ha messo su famiglia. Se anche riuscissi a evadere non saprei più dove andare. E quello che so del mondo là fuori non mi piace». In che senso? «Che non lo capisco più. L'eroina e le mafie hanno rovinato la mala. Ai miei tempi c'erano i delinquenti e gli sbirri. Punto. Oggi in galera ci vanno politici e magistrati. Non che mi dispiaccia... Ma ci sono pure fior di assassini che si pentono e il giorno dopo escono... Li odio talmente anche perché sono riusciti a farmi diventare simpatico uno come Andreotti. Dove sono finite le regole?». E quindi che farai? «Magari un corso di informatica. Magari scriverò la mia storia. Vorrei fermarmi un po', respirare, smetterla di prendermi per il culo. O magari farò il giornalista, che è un po' delinquere ma con altri mezzi. Un settimanale mi ha chiesto di tenere la rubrica lettere... Ho pensato a un titolo bellissimo». Sarebbe? «L'angolo di Caino. Perché in fondo io sono Caino, no?». PinoCorrias «Volevo i soldi e la vita focile Sono nato bandito e l'ho fotto» GLI AMORI «Nessuna storia con la mia avvocatessa Ho ricevuto centinaia di lettere d'amore da donne che neanche conoscevo» LE FUGHE «L'ultima la tentai in Sardegna nel '96 Per mimetizzarmi avevo un cappello da mago e un naso rosso da clown» I SEQUESTRI «A Emanuela Trapani andai persino a rubare un albero di Natale» CARRIERA NEL SANGUE MAGGIO'50. Nasce a Milano. FEBBRAI01972. Rapina un supermercato, 27 LUGLIO 1976. Dopo due tentativi falliti evade dall'ospedale. 23 OTTOBRE '76. Uccide un agente a Montecatini. 13 NOVEMBRE '76. La banda assalta una banca ad Andria e uccide un impiegato. 17 NOVEMBRE '76. Sparatoria a Milano, uccisi un agente e un bandito. 13 DICEMBRE '76. Sequestro di Emanuela Trapani, rilasciata il 22 gennaio 77 per un miliardo. 7 FEBBRAIO '77. La gang uccide due agenti, uccisoun bandito, lui è ferito. 16 FEBBRAIO '77. Arresto a Roma. 9 GIUGNO '78. Primo dei 4 ergastoli. 19 LUGLIO '79. Sposa Giuliana Brusa, un anno dopo divorziano. 28 APRILE '80. Evade da S. Vittore ma è ripreso. 21 MARZO '61. Rivolta a Novara, uccide un detenuto. 30 DICEMBRE '85. A Spoleto spara e prende in ostaggio il direttore. 18 LUGLIO '87. Evade da un traghetto a Genova, 20 giorni dopo è ripreso. 31 DICEMBRE '95. Nella cella a Nuoro è trovata una pistola. GENNAIO '96. La sua avvocatessa indagata per tentativo di evasione, gli scriveva lettere d'amore. durante il dibattito sulla mozione di sfiducia verso i ministri FHck e Napolitano. L'aula ha respinto la richiesta di ciimissionì con 310 voti contro 46; An, Fi e Ccd non hanno votato contestando la legittimità della doppia sfiducia contemporanea, mentre la maggioranza ha accusato il Polo di screditare il Parlamento. Nel suo discorso Prodi ha riconfermato il pieno chino i tepi della custodia cautelare ma evitino il pericolo di fughe». Gli uffici legislativi del Viminale e di via Arenula sono al lavoro da tempo, i progetti potrebbero essere pronti entro pochi giorni, e nel Transatlantico di Mon¬ bloccare i Cuntrera o i Gelli di turno. Di qui la necessità di nuove leggi. L'introduzione della presunzione del pericolo di fuga dopo due condanne si realizzerà modificando l'articolo 307 del codice di procedura penale. Lì c'è scritto che quando un imputato viene scarcerato per decorrenza per una particolarereato. Salvo che il dimostri che non htenzione di fuggiredella prova spetterCon una simile esempio, Licio Gepotuto essere riarredella pronuncia delne. E Cuntrera? Il camafioso scappato e è diverso. Lui fu mdalla Cassazione pesteriori, la Corte subilì che nel suo castevano «congelare» custodia cautelare. nel quale era stato a 21 anni di galera nva tra quelli «partcomplessi» per i qua304 del codice di pr A lato Renato Vallanzasca nel carcere di Novara. Sotto Emanuela Trapani, rapita dalla sua banda il 13 dicembre del 1976 [FOTO GERARD BRUNEAU-GRAZ1A NERI)